Dai molteplici territori della crisi
bisognerà, alla fine, trovare una strada che ci possa portare in luoghi più
adatti alla vita. L’idea corta che ci ha guidato fin qui inseguiva solo un
continuo potenziamento che irresistibilmente si è autoprogrammato, espellendo
via via ogni traccia di umanità e costringendo tutto a sottomettersi alla sua
logica astratta. Questa idea appare, a chi ci vive dentro, come l’unica
possibile solo perché la sua luce abbagliante impedisce di vedere i paesaggi
che sono sotto i nostri piedi.
Questi sono stati fatti nel tempo, da
mille mani diverse, con la cura e l’amore necessario per costruire qualcosa
bene, lentamente, perché duri. In essi si vive sostenuti dal senso che il lungo
deposito delle generazioni ha preparato con la propria esistenza stessa.
Fino alla ultima parte del novecento la
società questo lo ricordava: il territorio era la matrice dalla quale scaturiva
il potere e dal quale il valore poteva essere prodotto. Poi qualcosa si è rotto
nel profondo, e senza un programma preciso ha iniziato ad andare oltre. A me questo
tempo, al passaggio del secolo e millennio, nel quale ci troviamo sembra una
nave che perde l’ancora ma senza timone.
Abbiamo pensato a lungo che si potesse
trovare nella riduzione dell’attrito del mondo quella forza e quella capacità
di superarci che molti volevano. Abbiamo immaginato che mettendo in contatto
tutto potesse emergere da solo il meglio e prendere il sopravvento. Abbiamo desiderato
in sostanza la pienezza del potere e della ricchezza.
Non sapevamo però come governare le
forze immense che si erano messe in movimento, e che spazzavano come una
tempesta ogni cosa sul loro cammino, ci siamo quindi detti che non era
necessario. Che, ma sì, in fondo bisognava solo lasciare che facessero il loro
corso. Ci avremmo guadagnato tutti.
In Europa forse abbiamo raggiunto il
massimo grado di questo ubriacante sentimento, abbiamo oltrepassato tutte le
frontiere svuotandole con il semplice potere del denaro. Abbiamo lasciato che i
sacerdoti della finanza, con i loro consiglieri che vengono dalle facoltà di
economia, ci dicessero che il denaro conteneva la somma giustizia, lui separa i
“buoni” (chi ne ha e lo risparmia ed investe) dai “cattivi” (chi non ne ha, o
lo chiede), individua l’azione giusta (quella che lo massimizza), crea un mondo
più efficiente, nel quale vivere più sicuri. La somma promessa, per la quale
sacrificare tutto e tutti, era probabilmente questa: la sicurezza.
Per questa abbiamo accettato di legarci
e di rinunciare a tutte le prerogative che consentono ad un territorio di
restare se stesso, se vuole; di dirigere il proprio destino. Di scegliere.
Nel mondo che abbiamo fatto, nessuno in
realtà decide. Neppure mr. Weinmann nella sua torre luccicante, anche lui è
solo un agente che deve assecondare la dinamica propria del vero dominus. Che
probabilmente non è neppure il denaro,
ma qualcosa di più essenziale: ciò che ci governa è la razionalizzazione
astratta espressa nel linguaggio informatico. Quel che sta cambiando il mondo,
travolgendo ogni argine (questa parola la userà Lanier
e mi pare appropriata) è il dispiegarsi di questo linguaggio che schiaccia per sua propria conformazione ogni
individualità. L’informatica è un dono prezioso, ma contiene anche –come ogni
pharmakon- il proprio amaro, “il calcolo
informatico è la delimitazione di una piccola parte di universo costruita per
essere ben compresa e controllabile,
così da approssimarsi ad un processo deterministico, non entropico”
(Lanier, La dignità ai tempi di internet,
p. 155). Proietta l’entropia fuori di sé, come resto, rifiuto, rumore di sfondo
da non ascoltare.
La finanza è diventata quindi solo un
altro nome che diamo al linguaggio informatico applicato al denaro (la cui natura
ci continua a sfuggire); la stessa produzione degli oggetti si sta piegando
sempre di più e –automatizzandosi- sta espellendo sempre più uomini; gli stessi
servizi, che reciprocamente ci prestiamo, stanno irresistibilmente venendo
trascinati in questo processo di ottimizzazione miope.
Quel che potrebbe diventare l’occasione
che Keynes vedeva
negli anni trenta di liberare l’uomo, sta diventando la sua nuova gabbia.
Ma
la promessa di sicurezza è stata tradita.
Ci troviamo in un mondo violento, nel
quale non sappiamo più dirigere il nostro destino e nel quale troppi
sono condannati al ruolo di “rumore di fondo”.
Credo, per non volere arrendermi a
questo destino, che dovremmo ripensare con coraggio ad una economia troppo
disincarnata che perde qualcosa di essenziale, e nel perderlo svuota dall’interno
–per semplice applicazione logica- qualsiasi ruolo all’azione collettiva intenzionale
umana, alla possibilità e desiderabilità del governo. Questo viene limitato all’assecondare
e rimuovere i residui ostacoli al pieno dispiegarsi della logica del flusso più
forte. A dare regole minime e lasciare che vinca il più forte.
Questa pratica dimentica che tutte le
cose avvengono sul campo, che tra “nomadi”
e “stanziali” si può essere anche “viaggiatori” e riscoprire il senso di
attraversare diversi territori arricchendosi della diversità che si incontra,
invece di ricondurla a codice e messaggio.
Per provare a risintonizzarsi su questa
sensibilità e dimensione del desiderio (per avere qualcosa bisogna prima
desiderarla), bisognerebbe riflettere su come la forma influenza i flussi e
quindi, anche, l’esercizio del potere del denaro. Distinguere tra utilizzi “caldi”
(rapidi, violenti, frettolosi, astratti, irresponsabili) e “freddi” (pazienti,
seminali, attenti) del denaro investito.
Il
primo modo è tipico della finanza, del risparmio caro ai nordici, che si muove
tramite i suoi agenti provvisori ed occasionali atterrando in qualche luogo,
talvolta, solo quando trova qualche enclave da sfruttare per ri-decollare
nuovamente dopo averla utilizzata. Questo modo, nella dimensione territoriale
che è quella che ora ci interessa, determina effetti ben riconoscibili:
utilizza la crescita immobiliare normalmente per grandi tasselli, per “grandi progetti urbani” (che non a caso
iniziarono a diventare famosi negli anni novanta), che si appoggiano sul
territorio con poche giunture determinando una crescita del territorio per
enclave, per blocchetti, per aree recintate, culturalmente ed anche fisicamente
e come segno urbano distinte.
Una immagine propria della
frammentazione della nostra società, del suo essere diventata spezzettata e
plurale in senso negativo. Reciprocamente estranea.
Un esempio diretto di questo fenomeno è
il grande progetto urbano del nuovo
stadio della Roma (alla quale auguro ogni fortuna), che si cala in modo
anche in certo senso indifferente (almeno per il tentativo di passare sopra una
piccola area protetta) in un territorio denso e delicato per collocarvi un “tassello”
funzionale proprietario generato esattamente con la logica dell’attrazione dei
flussi finanziari mobili. Dal punto di vista tecnico l’operazione è di attrarre
capitali mobili, costruendo un pacchetto di prodotti finanziari evoluti
(prodotti derivati fondati sul ferro e cemento dell’operazione edilizia) che
valorizzano la promessa di flussi economici estratti dalla domanda interna
della città di Roma. Questi capitali, in certo senso, sono creati dalla
promessa della valorizzazione che riuscirà ad estrarre dal territorio grazie
alla macchina di spettacolo che è la Roma F.c. e in parte, ovviamente, faranno
bene alla città di Roma, creando attività e lavoro soprattutto.
Ma funzioneranno, nel tempo, come una pompa estrattiva. I prodotti
finanziari derivati che sull’operazione sono creati (o meglio, che ne
utilizzano l’etichetta inserendola entro pacchetti in cui sono innumerevoli
titoli di debito) saranno collocati a risparmiatori tedeschi, olandesi,
americani, attraendo le loro risorse e distraendole da altri potenziali usi (un’industria
locale, un bar, un’attività), grazie alla promessa di un rendimento più alto e
più sicuro. Della sicurezza abbiamo avuto contezza nel 2008, la maggiore entità
del rendimento deriva proprio da questo rischio, che però non è percepito.
Cosa resta a Roma? Un enorme contenitore
generato per avere un equilibrio finanziario
tra costi specifici (inclusi quelli necessari per la confezione di qualche
famosa banca d’affari) e rendimenti da garantire. Un contenitore che utilizza
propriamente l’occasione determinata dall’esistenza della squadra di calcio e
della città millenaria e famosissima che la ospita, per attivare un volano.
Non voglio, con questo, giudicare la
qualità specifica del progetto, non conoscendolo abbastanza, e non sto dicendo necessariamente
che la cosa sia nello specifico caso sbagliata (lo decideranno gli enti
competenti nella fase essenziale dell’apposizione del vincolo di “interesse
pubblico”), ogni singola operazione in sé ha senso ed io probabilmente farei lo
stesso se fossi il proprietario della Roma F.c., ma un territorio che cresce
con questa logica alla lunga perde se stesso.
Una crescita per tasselli, supporto per i flussi finanziari
senza patria, genera quegli effetti che l’ultimo
libro di Bernardo Secchi giustamente sottolinea.
Avremmo bisogno di una ripresa della
responsabilità verso se stessi e verso il nostro ambiente, di un crescere e
mettere frutti lento, amorevole. Di un nuovo amore per le cose fatte bene ed
appropriate. Per l’incrocio di sguardi che feconda.
Di un regime energetico locale che
governi i propri dati, comprenda e possieda il loro potere.
Sottoponga nuovamente a spazio e tempo
la hybris che ha preso l’uomo. Avremmo bisogno
di saggezza.





La tecnologia, l'informatizzazione di per se non è negativa, neanche il suo linguaggio, anzi, forse codifica pure meglio il progetto. Manca il tempo, secondo me è stato fatto semplicemente il passo più lungo della gamba, specie nell'economia. Il punto è che se i vari centri nevralgici del potere si fossero lasciati fallire, eliminando gli odierni TBTF avremmo sofferto istantaneamente, tutti insieme, molto di più ma magari l'umanità si sarebbe unita e avrebbe creato una società diversa, con presupposti differenti, con in testa la democrazia, la tutela del territorio e dei suoi abitanti... e poi il resto. Invece chi oggi ha il potere vuole semplicemente non solo non perdere, ma continuare a guadagnarci come se negli ultimi anni niente fosse successo, come prima e peggio di prima.
RispondiEliminaPurtroppo il peggio deve ancora venire, le scorte delle energie fossili diminuiscono, le energie rinnovabili vengono comunque ostacolate, ogni iniziativa per migliorare la nostra Italia viene affossata, anche la più banale, dall'Open Source alle piste ciclabili, per citare due iniziative banali che creerebbero reddito invece di debito.
Si pensa agli accordi TTIP o ad un QE (che peggiorerebbero ulteriormente le cose) piuttosto che ad uscire dall'Euro, tanto per dire una cosa che potrebbe almeno in parte riequilibrare le cose senza danneggiare la povera gente alla quale la fantastica "distruzione del mercato interno" per guadagnare competitività ha portato in dote disoccupazione e prossime "riforme strutturali" che sarebbe più giusto chiamare con il loro nome "diminuzioni generalizzate degli stipendi". Qui siamo oggi, ad un tornante della storia che sarebbe stato forse meglio leggere nei libri di storia che vivere in prima persona.
La tecnologia per me è un grande enigma, rappresenta sicuramente la seconda natura umana, ci fa quali siamo, ma non riesco a dire sia "nè buona, nè cattiva". Alcune direzioni di sviluppo della tecnologia hanno una loro direzione, oppure se posso dirla così: le tecnologie sono determinate (al contempo retroagendo) da direzioni socialmente orientate. l'informatica per come ci si presenta è incapsulata nelle strutture sociali e di potere nel nostro tempo. Non è ovviamente negativa, ma può diventare pericolosa se non gestita.
RispondiEliminaIl tornante temo sia appena iniziato.
Personalmente sono un appassionato di informatica, sistemi operativi e nuove tecnologie (raspberry ed arduino sono una buona sintesi). Grazie a te ho scoperto questo fantastico blog che finalmente analizza politica ed economia ponendole sotto una "lente sociologica" e quindi con analisi di grande respiro, del tutto diverse da quelle politiche, specie italiane, senza visione ed esclusivamente opportunistiche.
RispondiEliminaSintetizzando sono d'accordo con chi vuole trovare una strada veramente diversa da quella attuale, la tecnologia per come la vedo io è sempre positiva, andrebbe usata al 100% delle sue potenzialità adattando economia e politica per contenere ed eliminare i disagi sociali con una nuova politica che ha in testa l'uomo, le sue esigenze. Non il contrario, come succede adesso, dove il reddito in termini assoluti è un totem.
L'uomo non è nato per soffrire, per faticare, per fare un lavoro duro e pericoloso quando lo stesso lavoro potrebbe essere svolto da un robot e poi, comunque la si voglia vedere, il lavoro "classico" sta scomparendo. Tutte le persone "normali" se ne stanno accorgendo, il fatto che anche il nuovo Papa non perda occasione per criticare i "soldi", il best seller di piketty, sono un segno dei tempi. Ma c'è un ma... anche i combustibili fossili stanno terminando, la finanza una volta non esisteva o quasi, poi è diventata uno strumento in mano agli economisti ed oggi da strumento è diventata il centro nevralgico del potere perché (secondo me) in mano alle varie lobby che prima gestivano energia ed industria "vecchio stile". Naturalmente anche l'informazione non è più tale, ormai cerca solo di indirizzare nel solco del mantenimento del potere e nella direzione della nuova transizione dei vecchi poteri che li hanno letteralmente acquistati e li usano per "eterodirigere" noi.
Ho apprezzato molto infatti i tuoi articoli che rimandano al 1789, ci siamo di nuovo, anche a quel tempo sicuramente mancava la coscienza di una nuova classe sociale ma si è cristallizzata al momento giusto perché allora come oggi sembra impossibile ritrovare un equilibrio sostenibile tra uomo e sviluppo sociale, economico etc. etc..
Insomma, non so se sono stato chiaro, io vorrei una politica che dicesse cose nuove, a partire dalle più banali e convenienti, tra l'altro creando risparmi, da piste ciclabili in ogni dove all'utilizzo di software libero e via a salire, fino alle cose più importanti. Indirettamente gente come RMS (http://it.wikipedia.org/wiki/Richard_Stallman) con la creazione della GNU, i suoi principi, nati solo per il software sono la dimostrazione che in alcuni campi l'estromissione dell'economia odierna, malata, ha portato grandissimi vantaggi (vedi android, basato su linux, entrambi con licenza di software libero) che anche se non applicabili in ogni campo hanno aperto gli occhi a molti.
Un pazzo visionario dei nostri tempi è Elon Musk (PayPall, SpaceX e Tesla http://it.wikipedia.org/wiki/Elon_Musk) che con Tesla ha aperto (open source) i progetti della più moderna auto elettrica e li ha rilasciati come software libero. Chissà se funzionerà, ma anche qui piccoli germogli di vitalità vengono seminati.
La vita reale come va?
La BCE, i burocrati europei da una parte, dei pagliacci opportunisti in politica e nessuno o quasi con idee quantomeno moderne, capaci di scardinare la società attuale per crearne una a misura d'uomo. Ho apprezzato il tuo interessamento ad Olivetti, al solito, in Italia nascono dei geni, dei giganti e "gli italiani" non se ne accorgono... :-(
Si, Olivetti è una figura veramente difficile da inquadrare, ha vissuto tante vite insieme, grande industriale con profonde intuizioni e grande coraggio, attivista politico, teorico a tratti molto oscuro ma sempre profondo, utopista, è una di quelle figure su cui dovremmo soffermarci. E andare oltre la figurina rapidamente accantonata.
RispondiEliminaIl suo lascito è poi stato profondo in biografie come quella di Gallino, la cui figura morale andrebbe rispettata molto più di quanto facciamo.