Nel post precedente
provavo a chiedermi cosa perde per strada la nostra economia disincarnata che,
in alcuni anche intenzionalmente, sottrae qualsiasi possibilità di successo e
di esistenza all’azione collettiva. Nega, per semplice applicazione di coerenza
logica, la possibilità che oltre all’affermazione del più forte ci sia spazio
ad un’azione di governo volta a risarcire e riequilbrare.
Da oltre trenta anni siamo in questo
racconto: per liberare lo spazio alla competizione, nuovo ambiente naturale e
destino dei nostri tempi, bisogna per quanto possa essere duro rimuovere ogni
ostacolo, abbattere ogni argine, eliminare ogni debolezza (ed i deboli con
essa). Una voce austera (e vagamente padronale) ci ricorda in ogni occasione
che Non Ci Sono Alternative (TINA).
La faccia più facilmente visibile di
questa logica ci arriva con il mercantilismo, con la logica dell’esportatore, di
chi ricerca i clienti per i propri prodotti nei mercati aperti mondiali verso i
quali non ha alcuna responsabilità; partendo soprattutto da una produzione che
è determinata sistematicamente nel territorio più “accogliente”, in quello che
offre maggiori vantaggi a breve termine e verso il quale è attivato un rapporto
esclusivamente strumentale.
Non
è sempre stato così. Di norma, sino a pochi anni fa, la produzione avveniva
entro territori amici, nei quali
permanevano forti rapporti e reciproca protezione. Un’attività imprenditoriale,
infatti, prevede investimenti pluriennali e determina rapporti forti e
consolidati con la comunità locale, alla cui forza e capacità ci si rivolge per
determinarla in produzione; ed alla quale in genere ci si rivolge come mercato
di sbocco primario. Questo storico modello, sul quale l’Italia ha costruito
buona parte delle proprie fortune negli anni del boom e seguenti (non credo sia
il caso ricordare tutta la ricerca sui “distretti”, la ricerca di Bagnasco, o l’esempio
–su cui tra breve faremo un post specifico- della “comunità” di Olivetti),
aveva una sua capacità di tenuta e una forza intrinseca che in parte gli veniva
proprio da queste relazioni. Da questa
responsabilità.
Questo modello si ancorava, però, anche
ad una finanza locale che ormai non c’è più da tempo: una finanza fatta di
rapporti e conoscenza, di Casse di Risparmio, di Banche Rurali, di piccole
banche locali e anche di filiali di banche nazionali comunque radicate. Nel corso
degli anni novanta (e del finire degli ottanta) tutto questo è stato spazzato via
da un processo di fusione e aggregazione che ha lasciato sul campo solo poche
decine di attori internazionali che operano guardando più verso la BCE ed i “mercati”
che verso i territori dai quali peraltro traggono la raccolta.
La finanza, non solo quella “ombra” (dei
Fondi di Investimento, delle Società Veicolo di vario genere, ai vari intermediatori
più o meno visibili ma comunque non regolati), si è ormai “alzata su trampoli” (informatici) e corre in cerca di utilizzi
rapidi, frettolosi, in sostanza violenti ed irresponsabili, rifuggendo dai
vecchi utilizzi “freddi” (noiosi, pazienti, cumulativi, capaci di essere
attenti e seminali).
Le
conseguenze, se vogliamo guardare la cosa dal punto di vista locale (termine
che si può applicare alla scala nazionale, regionale o territoriale), sono gravissime
e ancora poco osservate. Una finanza che si muove spostando colossali flussi
indifferentemente sull’intera scala planetaria, ha un atteggiamento da “predone”
con le risorse territoriali (in questo termine includiamo anche la forza lavoro
e i consumatori locali, cioè il reddito disponibile). È sempre alla ricerca di
una oasi non abbastanza sfruttata, di una enclave nella quale una risorsa, una
domanda “interna”, possa essere ancora spremuta un poco; appena la trova piomba, con la sua enorme capacità, e la colonizza.
I greci, quando creavano una colonia (io
vivo in una di esse) restavano e ne facevano una base indipendente dalla quale
rafforzare la propria presenza. Queste, invece, sono più campi di lavoro, assomigliano alle stazioni di caccia che gli
europei aprirono nella prima parte della colonizzazione del nuovo mondo;
punteggiate di fortini e senza insediamenti stabili.
I “nomadi”
che amano costruirli sanno che tanto le loro basi sono altrove (o meglio non
sono), ciò che conta è mettere quante più pelli possibili, nel minor tempo
possibile, sui veloci carri.
Come
funziona questa dinamica nei confronti dei territori locali?
Per comprenderlo dobbiamo uscire dalla rappresentazione istintiva del denaro
come “cosa”, come merce scarsa. Questa implicita idea trattiene nelle sue mani
buona parte del dibattito, ma è radicalmente errata,
esso è invece generato nel rapporto di credito (quindi non viene “usato”, ma “creato”
a partire dalle operazioni di credito/debito), ma non “dal nulla” come spesso
si dice: è generato propriamente dalla promessa di restituzione del debitore. Il
denaro, creato originariamente dalle promesse di restituzione (cioè dal debito),
è in sostanza una tecnologia sociale potentissima che rappresenta e determina
un rapporto di dominazione. Rappresenta sostanzialmente il lavoro del debitore
che tramite esso (ricevendolo) si impegna a servirlo.
Ci torneremo, ma questo cosa comporta nella pratica? E come è
legato con l’immensa espansione monetaria “calda” generata continuamente dalle
Banche Centrali (Americana, Inglese e Giapponese, ma anche Cinese) e alla quale
viene chiamata anche la BCE?
Questo
“denaro” messo in campo dalle Banche Centrali è, in realtà, un debito.
Al di là dei particolari tecnici si tratta dell’acquisto di Titoli (pubblici o privati)
che rappresentano l’accensione di una operazione di finanziamento a fronte
della quale sono attivi dei rendimenti, una restituzione, sono connessi (legati,
asserviti) dei debitori. Abbiamo, quindi, un costante flusso di cercatori di
occasioni, in cerca di nuovi debitori per creare il relativo denaro (cioè il
rapporto di dominazione che li induca a lavorare per restituirlo), che
vorticosamente si muovono tra i territori ad accendere nuove operazioni
finanziarie “speculative”. In realtà si tratta di una sorta di dipendenza, come
vedremo.
In
sostanza all’accensione di una nuova operazione finanziaria viene acceso un
contratto di finanziamento che attiva contabilmente un flusso di denaro, prima
non esistente (perché non esisteva il suo presupposto, l’impegno a servirlo da
parte di un debitore), lo trasferisce al debitore e simmetricamente accende una
posizione contabile negativa nell’istituto emittente. Tutto molto semplice,
si tratta di due catene credito/debito connesse. Man mano che il debito è
restituito va a cancellare la posizione contabile negativa e dunque “scompare”
(salvo la parte che resta come parcella dell’istituto). Resterebbe un problema:
nel frattempo (e può significare per i dieci anni di un contratto di mutuo) l’emittente
si trova con un debito ed un credito. Il primo per l’accensione della posizione
contabile negativa, il secondo per il contratto di restituzione con il
beneficiario del finanziamento. Ma in caso non sia restituito ha un rischio da
gestire. Dunque non ne può accendere in numero illimitato.
Questo problema è stato risolto dalle Banche Centrali e dalla Finanza Ombra. È la grande innovazione
degli anni novanta: i titoli sono reimpacchettati e venduti (o depositati che è
lo stesso) e quindi sono immediatamente “chiusi”; se ne possono aprire altri.
In questo senso la finanza apre debiti locali e li distribuisce. Alla lunga
questo ha reso instabile il sistema e creato eccesso di debito insostenibile.
Ma
torniamo agli impatti sul territorio: il capitale di debito
cerca di trovare un’occasione di investimento, ovvero cerca essenzialmente
qualcuno che possa pagare, nel tempo, le rate del finanziamento. Se non lo
trova non esiste.
Le conseguenze sono importanti e vanno
osservate con attenzione, il processo di finanziamento produce due effetti
simmetrici e di segno opposto:
-
Genera
immediate risorse economiche che entrano nel
circuito locale, tramite i beni e servizi che sono necessari per realizzare l’investimento
e/o i consumi e gli ulteriori investimenti (ma finanziati “per cassa”) che i
percettori dei flussi eventualmente compiono;
-
estrae
nel tempo flussi di valore creati dal lavoro, che vanno a
remunerare il contratto di debito.
Produce,
in altre parole, un beneficio immediato e un danno nel tempo più graduale.
Ora, fa molta differenza, senza arrivare
alle radicali
proposte di Martin Wolf, se il finanziatore è una Banca Locale (che
impiegherà sul territorio i proventi delle sue parcelle, e tenderà a riaprire
nuovi contratti di finanziamento in sostituzione), o un Fondo di Investimento
Speculativo, più o meno connesso con un Istituto in grado di depositare in una
Banca Centrale i Titoli o con una Banca di Affari che è in grado di “confezionarli”
e rivenderli ai risparmiatori tedeschi.
Nel primo caso, la dinamica è molto più
lenta (infatti questo genere di banche, non abbastanza “lunghe” non hanno retto
al nuovo ambiente), ma è anche più costante. Nel secondo la potenziale
espansione è più forte (tipicamente si punta su operazioni più grandi), ma non
c’è alcuna ricircolazione locale dei flussi estratti dal reddito locale.
Questa tecnologia opera quindi estraendo
valore locale e creando le condizioni relazionali ed i canali tecnici per
trasferirlo ai risparmiatori internazionali (cioè ai “mercati”). In un certo
senso, in modo abbreviato, si potrebbe dire che i lavoratori locali indebitati si
trovano a farlo per i “mercati”. Senza accorgercene (ma alcuni
lo sanno benissimo); ci troviamo a lavorare per il pensionato di Dusserdorf che
ha acquistato una parte di un pacchetto di derivati (anche lui senza saperlo)
ed in esso ha “investito” i propri risparmi. Dall’altro lato, infatti, questi
ha “comprato” un contratto che prevede, in cambio del suo prezzo pagato
immediatamente, di ricevere una piccola parte della nostra rata di mutuo che il
nostro intermediario ha nel frattempo riconfezionato e rivenduto.
Questa potentissima tecnologia sociale,
tramite la più antica del denaro ma grazie a questi perfezionamenti (peraltro
concettualmente tutti già noti da secoli) resi a lor volta potentissimi dal
linguaggio informatico e dalle reti di comunicazione che crea, mette in
contatto e determina condizioni di dipendenza (certo reciproca) tra attori
lontanissimi che non si conoscono e che non nutrono reciprocamente alcun
rapporto e responsabilità.
Il
punto è che l’impersonalità di questo rapporto, e la sua lunghezza, consente la cattura dei territori in una
dinamica di dipendenza. Infatti, se un territorio non attrae sempre nuovi “capitali”
(cioè, non crea le condizioni di crearli, attraverso sempre nuove ed
appropriate procedure di rendimento) si svuota progressivamente, per effetto
del “servizio” dei vecchi capitali in scadenza.
In
certo senso, si inaridisce. Il reddito dei suoi attori sociali
ed abitanti “evapora” e ricade, come pioggia, altrove.
A livello macro è esattamente quel che
sta accadendo all’Italia da quando i flussi di rifinanziamento sono stati
interrotti dal nord Europa (guardare ad esempio i saldi storici del sistema
Target 2), e da quando anche il sistema finanziario nazionale (interconnesso
più verso l’alto che verso il basso) ha ristretto progressivamente il flusso di
credito.
Ogni credito non rinnovato, ogni saldo
negativo, è altrettanto “denaro” che rifluisce e scompare. Il meccanismo
illustrato rende chiaro che avere in queste condizioni un saldo negativo di
credito, non trovare altre occasioni per indebitarsi, non avere “progetti”,
significa perdere massa monetaria interna. Una carenza che ormai si calcola in
centinaia di miliardi di euro.
Ora
parliamo di territorio.
“L’attrazione dei capitali”, ma vale
dire, la creazione di debito e dunque di capitale che lo rappresenta, è molto
più facile per diverse ragioni tecniche pratiche da accendere su operazioni
fondate su beni immobili e “reali” che su attività. In conseguenza sono
primariamente le operazioni immobiliari (e quelle sulle risorse naturali) ad
essere il primario bersaglio ricercato dai “predoni”.
Non è un caso che da una ventina d’anni
il territorio sia cresciuto soprattutto per grandi
tasselli (ipermercati, centri commerciali, aree specializzate, operazioni di
ristrutturazione urbanistica, grandi bonifiche e riqualificazioni) inseriti sui
territori senza alcuna autentica relazione con essi. Non si tratta di processi
maturati dalle esigenze manifestate entro la dinamica locale, ma di “opportunità”
che in essa atterrano.
Resta molto più difficile produrre lo
stesso effetto per gli investimenti produttivi, per la intrinseca aleatorietà
del profilo di rischio specifico. Fanno eccezione gli investimenti delle grandi
multinazionali, o comunque delle aziende in grado di gestire un rapporto
privilegiato con il flusso di credito. Ma questo aggrava l’instabilità del
modello, perché la multinazionale non sente responsabilità verso il territorio
nel quale spesso non vende neppure i prodotti, lo percepisce come un supporto e
un cestino di opportunità da sfruttare. Se questo non è più rispondente, o
trova occasioni migliori, se ne va con la stessa velocità con la quale è
arrivata. Di qui le pratiche di marketing territoriali e le politiche di
<cluster engineering> che costano in USA, come ci racconta Moretti,
alle pubbliche amministrazioni americane qualcosa come 60 miliardi di dollari
all’anno attraverso interventi sulla domanda (volti a convincere, con mirati
incentivi, le aziende a localizzarsi); e sull’offerta (rivolti a rendere
attraenti i territori per lavoratori di talento, nell’idea che la loro presenza
attiri o stimoli le aziende a venire ed a essere create).
Per questo motivo, l’ultima “bolla” che
ha trainato la crescita (quella interrotta nel 2008, ma anche quella in ripresa
in
questo momento negli USA) era trainata dall’espansione immobiliare. Sia
quella delle famiglie (invitate pressantemente a sovraindebitarsi) sia quella
degli altri “segmenti”, commerciale, terziario e industriale. L’unica eccezione
recente era la bolla della “new economy”, in cui fino al 2001 una febbre di
investimenti nelle attività di servizio e industriali anche vagamente connesse
a internet ha attirato capitali (ovvero, ha creato espansione dei capitali circolanti,
e dunque crescita, tramite l’espansione di debito rivenduto tramite il Nasdaq).
Ma cosa comporta ciò per i territori,
dicevamo?
Almeno
due cose, una crescita fisica del territorio per enclave,
blocchetti, un’attrazione verso il distinto (che è uno dei meccanismi di attrazione
tipici del marketing edilizio), il separato, il protetto. In parte non
secondaria questa crescita dipende dal suo avvenire per “grandi operazioni”,
nelle aree più dinamiche, in quelle che appunto “attraggono”. La perdita di “prossimità,
comunicazione, connessione” (come ricorda Secchi)
è quindi un primo effetto.
La seconda implicazione è che questo territorio (e di nuovo questo vale
anche alla scala nazionale) dipende dal rinnovo del flusso di credito (alle
famiglie come alle imprese) come un drogato dipende dal rinnovo della sua dose,
che deve sempre alzare.




Nessun commento:
Posta un commento