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sabato 22 febbraio 2014

La marea ed il tempo. Le decisioni si avvicinano.



“C’è una marea, nelle cose degli uomini,
che presa al colmo porta alla fortuna;
lasciata passare, tutto il viaggio della loro vita
è costretto nelle secche e alle sfortune.”

Shakespeare, Giulio Cesare, IV, III


Siamo all’ultimo giro della giostra. Poi potremmo dover cambiare gioco ed entrare in una fase “caotica”.
Abbiamo tre mesi davanti relativamente tranquilli (si spera) dopo i quali ci saranno le elezioni europee. In esse c’è da aspettarsi che il forte sconcerto, diffuso in tutto il continente, per i risultati della politica di potenza tedesca e del predominio assoluto dell’economia finanziaria sulla vita di tutti precipiti nel suo necessario esito. Non è altro che il risultato del paradigma liberista imperante l’ultimo trentennio (almeno in alcuni settori): dell’espulsione di troppi dal benessere.  

E’ abbastanza inevitabile che questo sentimento si traduca in nuovi equilibri politici europei. O, almeno, che si generino dei rapporti di forza che minaccino visibilmente gli equilibri esistenti.

Il governo del centrodestra dovrebbe uscirne fortemente indebolito. Ma il PSE non dovrebbe guadagnare un predominio autosufficiente. La conseguenza potrebbe essere uno stallo, trattative per qualche genere di “larga coalizione”; un compromesso al ribasso.
Sarebbe invece necessario altro: un progetto politico, economico e sociale chiaro. Che parta dalla responsabilità nei confronti delle conseguenze sociali delle politiche e degli effetti delle distribuzioni prodotte. Che finalmente veda gli spostamenti sociali epocali, lentamente accumulati negli ultimi venti anni, e ormai fonti di frizioni e  slittamenti non più contenibili. Se questo non succede è inevitabile che società perda stabilità.

D’altra parte le politiche di contenimento del debito per via di esclusive “politiche dell’offerta”, nel contesto della liberalizzazione totale dello spostamenti di merci e capitali, ed in quello dell’unificazione monetaria, hanno mostrato in abbondanza la loro inadeguatezza. Si tratta di politiche di riallineamento (per evitare il troppo connotato termine “correzione”) per loro natura lente, che sono inadatte a crisi violente di domanda e sovra indebitamento (dunque di “trappola della povertà”) come quella odierna. Come abbiamo più volte visto, non si tratta di politiche del tutto prive di efficacia, ma estremamente lente e tali da lasciare invariati i rapporti sociali e di potere esistenti. Naturalmente questo è il loro decisivo vantaggio per alcuni. Questi sostengono, di solito, che politiche più attive, sul “lato della domanda”, determinino sempre distribuzioni innaturali e poco efficienti. In altre parole, che producano schemi di remunerazione tali da premiare settori ed individui non abbastanza produttivi, inibendo lo sforzo di guadagnare efficienza di sistema. Una simile obiezione alle politiche di incentivo della domanda interna (sia quelle dirette, via spesa pubblica, sia indirette, volte a sostenere il credito) la fa Rajan, perché a suo parere ostacolano un necessario ribilanciamento tra settori economici e “industrie”. L’argomento di Rajan, come sempre, è ben costruito ed ha senso; tuttavia siamo nel mezzo di una trasformazione sociale e della struttura di produzione e riproduzione che non può essere lasciata a se stessa. In mano alle forze del mercato, nel contesto della distribuzione di forze attuale, si otterrebbe solo il completamento dello schiacciamento spietato di gran parte della popolazione attiva, del suo essere respinto nell’inutilità e nella marginalità.

Cioè la trasformazione della nostra società in un conflittuale insieme di enclave protette e di marginali, con questi ultimi ad essere di fatto la maggioranza. Nella “società della conoscenza” (immaginata fino a qualche anno fa come eden) solo una piccola elité accede infatti al vero motore della produzione di ricchezza: l’innovazione intellettuale. Un’altra dispone delle risorse economiche accumulate e messe al sicuro nella vasta “nuvola” finanziaria mondiale. Una terza è in posizione privilegiata per le sue competenze manageriali e potere acquisito (in questa categoria il vario mondo della politica di vertice e dei ruoli ad essi collegati). Tutti gli altri (“autonomi”, “professionisti marginali”, “personale impiegato”, “faber”) sono al margine. Resta al margine anche il “personale di cura”, al quale si guarda come la grande speranza per la conservazione dei livelli occupazionali.
Le distanze tra questi diversi segmenti articolano una ineguaglianza intollerabile e che non sarà tollerata a lungo. Per me, lo dico in modo semplice, l’alterativa è tra guidare il sistema in un’altra direzione a chiudere questa forbice, proiettandoci verso una società fondata su valori diversi, o arriveremo ad una fase di rottura nella quale rivivremo –in forma mutata- la fase rivoluzionaria.


Ritornando al presente, siamo comunque abbastanza vicini anche al redde rationem in Europa. La recente Sentenza della Corte Costituzionale Tedesca legherà le mani alla BCE, almeno sino all’ultimo attimo utile. Questo i mercati finanziari non tarderanno a vederlo. Il “tapering” della FED, oggetto presumibilmente di un duro scontro in questi giorni al G20 tra i paesi “di convergenza” e quelli “ex centrali”, indurrà quel rientro massivo di capitali (centinaia di miliardi, forse migliaia) che è già iniziato e che sta mettendo a dura prova l’equilibrio mondiale. Questi capitali, per ora, stanno confluendo in acquisti di Titoli di Stato a maggiore rendimento (dunque nostri) contribuendo ad abbassare lo Spread. Ma quando inizieranno ad essere eccedenti potrebbero restare disponibili ad avventure. Allora si aprirà una finestra di rischio.
Il segnale dell’attacco potrebbe arrivare da qualche shock esterno. Una crisi di qualche economia emergente importante, che trasmetta ondate deflattive di cui non si sente proprio la mancanza; oppure dall’aggravarsi della deflazione incipiente in qualche paese del sud (si avvia anche in Francia). O anche da uno scontro nel lontano oriente, in cui salgono le tensioni militari tra Cina e Giappone, forse in nome e per conto degli USA.
Un evento di questi potrebbe mettere l’Italia nelle condizioni di chiedere aiuto in emergenza ad una BCE legata dalla Sentenza della Corte. La posta è stata già chiarita (e di recente anche ribadita): una patrimoniale consistente, a totale remissione del debito. Detto in un altro modo: se volete i nostri soldi, prima dateci i vostri.

Sarà quello il giorno delle scelte dure. Una cosa del genere sarebbe la fine della reputazione politica di Renzi e del PD. Per molto meno Amato è ancora ricordato da molti come un vampiro.

Tutto questo mentre sotto l’acqua si muove la grande strategia americana di contenimento del nuovo potere cinese (e russo) che potrebbe attraversare il mondo con le sue onde sismiche di assestamento. Grande strategia in cui il controverso Ttip e Tpp (i due Accordi di libero commercio che L’Amministrazione Obama vuole negoziare con praticamente tutti salvo Cina e Russia) ha molto ruolo. Ci torniamo.

Tutti questi temi convergono nella fase presente, che potrebbe essere vista retrospettivamente come l’ultima abbastanza tranquilla di molti anni.

Il tempo è il dono che riceviamo, non dobbiamo sprecarlo.

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