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martedì 25 febbraio 2014

Rileggendo “Spostamenti”: falsi obiettivi e veri problemi nella transizione italiana.


Uno dei primi post di questo piccolo blog, a giugno 2013, sono passati solo otto mesi ma tanta acqua è andata sotto i ponti: Berlusconi è stato dichiarato decaduto dal suo ruolo di senatore della Repubblica a seguito di una Sentenza di condanna in giudicato e dopo una epica battaglia; la PDL è uscita dalla maggioranza e si è spaccata, vedendo la formazione di una nuova forza che continua ad appoggiare il governo con il centrosinistra, e quindi a novembre la stessa PDL si è disciolta e si è costituita di nuovo Forza Italia intorno a Berlusconi; in Germania ci sono state le elezioni politiche e la Cancelliera Angela Merkel è stata rieletta, e costretta a fare una “larga coalizione” con la SPD; in Italia le primarie del PD hanno visto la vittoria di Matteo Renzi che è diventato Segretario del PD; abbiamo avuto la Sentenza della Corte Costituzionale che ha abrogato alcuni articoli del “porcellum”; è caduto il governo Letta ed è stato appena avviato il governo Renzi.
Se solo otto mesi fa poteva sembrare che il governo di Coalizione italiano potesse andare avanti sino alle elezioni europee di maggio, cercando di avviare una stabilizzazione del paese intorno alle forze organizzate tradizionali (i partiti rappresentati nella diarchia PD/PDL guidata dal ceto politico tradizionale della “seconda” repubblica), oggi siamo nel centro di un’accelerazione continua i cui esiti possibili sono al momento oscuri. Lo scontro per l’anima del paese sembra, a chi scrive, in questo momento sospeso tra il tentativo renziano (con tutte le sue luci ed ombre) e l’ipotesi grillina. Le forze che si riferiscono al centrodestra tradizionale (dato che nel movimento di Grillo sono presenti tutte le anime, sotto diversa rubrica), appaiono al momento ridotte in difesa.

Quel post, aveva però un carattere programmatico, nel suo piccolo. Dunque, allo scopo di chiarirmi le idee (esercizio che conviene ripetere spesso) proverò a rileggerlo e svilupparlo. Si trattava di una piccola riflessione in parte stimolata dalla lettura di “Finale di partito” di Revelli (di cui condivido solo in parte l'analisi), del quale mi pare convincente l’ipotesi che le recenti esperienze mostrino una trasformazione storica che si muove ed accelera. Qualcosa di radicale e profondo, che richiede di tenere occhi ed orecchie aperte alla percezione del nuovo. La mente disponibile a sospendere i nostri tradizionali schemi, per saggiarne l’adeguatezza, la persistenza. 
E’ come se il terreno sotto i nostri piedi slittasse, portandoci in un nuovo ambiente (un processo che è in corso da oltre trenta anni, ma che diventa più visibile di anno in anno, ed in particolare nel nuovo millennio); in un mondo dove il segno dominante è il “rischio” e “l'incertezza” (come vorrebbero Beck e Bauman), ma anche il disorientamento (che è sentimento molto più largo e, in qualche modo ci coinvolge tutti). Quel che si può dire è che stiamo assistendo a quello che ha tutta l’aria di sembrare il declino terminale di identità consolidate di gruppo che tra le altre cose rendevano ancorabili grandi organizzazioni ad attese di comportamento e di risposta. Le cosiddette “classi” cui erano connesse le forme partito (almeno quelle più grandi e permanenti).
Questa dislocazione è connessa a movimenti sociali, economici, e culturali. Risulta molto difficile indagarli e ricondurli a singole cause. Le tendenze chiave tuttavia, di un momento che ormai viviamo da tempo, mi sembrano essere l'esplosione della ineguaglianza, quindi la tendenziale fine della classe media e quello che ha tutta l’aria (può essere una distorsione per familiarità, ovviamente) del suo riassorbimento in un antico schema elité/plebe; ma anche le nuove tecnologie dell'accesso alla voce, in un quadro di maggiore scolarizzazione di base. Questi ad altri, con lo spiazzamento ed il protagonismo insieme che li caratterizzano sono tutti fattori che mettono in contatto in via sempre più diretta una rabbia crescente (oltre la metà della popolazione si sente povera, e questo è un dato che non può essere sottovalutato) con il discredito nei confronti degli specialisti della decisione che ci hanno delusi e traditi. Cioè il senso di tradimento ricevuto da quei gruppi cui era stato implicitamente demandato il compito di garantirci la stabilità e la progressione delle nostre vite e che invece si sono fatti catturare nel gioco della competizione subalterna con il resto del mondo. Che non hanno saputo capire prima, e contrastare dopo, le dinamiche epocali e i movimenti tettonici della storia che ci stanno stritolando. Parlo, è chiaro, della parte “cattiva” della globalizzazione; della componente selvaggia, della finanziarizzazione predatoria, della caduta del welfare e della sua burocratizzazione, della condanna alla precarizzazione e povertà, della perdita della speranza... In questo grafico che segue troviamo l’Italia in fondo alla graduatoria mondiale della fiducia (o meglio “soddisfazione”) nella direzione politica. Un miserissimo 3% degli italiani si ritiene soddisfatto.

La questione di maggior peso è che la rabbia ed il discredito si proiettano anche entro le organizzazioni politiche “solide”, trasmettendogli l'immagine della loro inutilità ed inducendole all'arroccamento. In altre parole io sospetto che il cinismo che si intravede in molti comportamenti della classe politica e dirigente del paese sia immagine dell’introiezione di un senso di disfatta. Di inutilità. Di una sorta di accettazione della inutilità e della reazione individuale a tale fatto. Se nulla si può ormai cambiare tanto vale avere dei vantaggi per me/noi.
Si tratta  di una reazione di gruppo che non può determinare alcun esito se non aumentare il discredito. Sospetto che alla fine sia questo movimento autorafforzante che viene intercettato, tentativamente ed oscuramente, e sfruttato da chi affronta la confusione in certo senso dall’esterno della cittadella per darvi l’assalto, introducendovi elementi di semplificazione. Intersecandola, cioè, con racconti riconoscibili e rasserenanti funzionali alla raccolta delle forze. 
Abbiamo avuto a lungo uno di questi racconti (strutturalmente esterni al governo delle cose) nel “partito piattaforma”, che, rinunciando alla razionalità ed al progetto, rilegge i cittadini come “pubblico” e cerca di assorbire lo spazio politico nello spazio mediatico; costruendo il consenso come somma di rivendicazioni, soddisfazioni, vantaggi minimi e slegati, rapidi e corti. Parlo, ovviamente, di Forza Italia e del Partito-uomo di Berlusconi. Una forma di leaderismo contemporaneamente concretissimo, basato su una forza solida e oggettiva, e cangiante nelle sue innumerevoli trasformazioni e giravolte. Tutte funzionali al concetto di andare a prendere “code” di consenso sempre più “lunghe”; non fa niente se non fanno sistema e se aumentano l’entropia di sistema.
Emerge, al termine di questa esperienza che ha a lungo ipnotizzato il paese con il suo spettacolo multiforme e rassicurante, con la sua costante distrazione strutturale, un nuovo schema: la traduzione di una solida notorietà mediatica in legame e consolidamento di forze disperse intorno ad un racconto anche esso a suo modo rassicurante. L'articolazione di una “democrazia di controllo” che sia cura all’incertezza ed al rischio. Cioè cura al dolore di essere lasciati fuori. Una quasi-personalizzazione nella figura dell'eroe, del combattente capace di raccogliere una “coda lunga” ancora più spettacolare. Di aggregare forze e identità disperse diversissime, di recuperare senso dove sembrava di vedere solo il deserto. Uno spettacolo.
Il problema di fondo è l'utilità ed adeguatezza dell'idea fondamentale, veicolata dal Movimento 5 Stelle e peraltro ben radicata nella pancia del paese, che l'elemento dirimente della contemporaneità, in Italia, sia l'esproprio del futuro da parte dei “politici”. In alcune versioni più sofisticare, da parte dell'insieme degli eletti e delle élite che si caratterizzano per avere un accesso privilegiato ad essi. Che quindi siano, alla fine, solo i partiti di massa il colpevole. La loro corruzione ne diventi il punto qualificante. 
Questa idea è attraente perché riesce a raccogliere intorno ad un unico racconto di facile comprensione molte esperienze che tutti hanno fatto, esperienze nella vita di ogni giorno e veicolate dai media. 
Ma, a mio parere, si tratta di un racconto sostanzialmente scorretto; vorrei articolare una diversa ipotesi, che l'elemento centrale dei fenomeni di distorsione e corruzione che abbiamo crescentemente sotto gli occhi non sia la politica, ma il declino della classe media e la frammentazione della società che ne consegue. Sia alla fine la riduzione della ricchezza disponibile nel circuito economico non finanziario; la distribuzione della stessa sempre più ineguale e polarizzata. Lo dico diversamente: è una reazione naturale, quando si soffre e si vede a rischio il proprio futuro, cercare vie di uscita e colpevoli ai quali imputare le responsabilità. In questi casi una rappresentazione “a cipolla”, senza nessi causali univoci, non aiuta a calmare l'ansia, molto meglio immaginare che ci sia un complotto e dei cattivi. Così eliminati loro tutto tornerà a posto.

La terza incarnazione di questa reazione, che ha a che fare nel suo processo di crescita con una versione “educata” di questa stessa mossa, è nella versione di Renzi. Un fenomeno ancora in divenire e difficile da inquadrare. Tuttavia appare l’interessante tentativo di trovare una via mediana, di mobilitare il senso di estraneità ed il desiderio di discontinuità in un progetto politico che si vuole ambizioso e fattibile insieme. Si tratta di un tentativo che ha mobilitato speranze che sarebbe terribile mandare deluse. Il tempo dirà.


Propongo di considerare che invece non siano disponibili soluzioni semplici, e che non sia possibile salvarci da soli. Cioè che per avviare a soluzione questi problemi sia necessario cambiare, e sia indispensabile farlo insieme a tutta la UE e all'occidente. In questa ottica il frame della “decrescita” (cioè un’articolazione del valore antico della sobrietà)  contiene qualche spunto interessante, ma va declinato ovviamente in modo meno ideologico e soprattutto non è la soluzione.
Detto in altre parole: la polarizzazione del reddito, che porta sempre maggiori ricchezze a sempre meno persone (l'Italia è tra le economie sviluppate quella con maggiore ineguaglianza dopo gli USA), induce ad una contrazione della ricchezza generale socialmente disponibile per la parte della popolazione che vive essenzialmente del lavoro e non dei risparmi accumulati o delle rendite da capitale. Si tratta di un fenomeno che si registra in tutto il mondo e che viene fortemente osservato in particolare a partire dall’evidenza della crisi. Il meccanismo base è semplice: i ricchi mediamente risparmiano di più, dunque man mano che la ricchezza si concentra in poche mani, sempre più ricchezza viene trasferita nei circuiti finanziari e sempre meno nell'acquisto di beni e servizi. Questa, tra l’altro, dato che la finanza è poco tassata ed il lavoro molto, induce una riduzione della tassazione e quindi porta la necessità di risparmiare sulle spese pubbliche. Tra le conseguenze più rilevanti c’è quella che vede il risparmio sulle spese pubbliche mettere meno risorse in mano alla politica per redistribuirle (ad esempio tramite la caratteristica redistribuzione “clientelare” tipica del nostro paese) e dunque contribuisce in modo decisivo a indebolire la capacità della politica di “comprarsi” il consenso. Tramite simili meccanismi (non catturati dai modelli utilizzati per definire le politiche economiche e monetarie, come illustrava ad esempio Constacio, Vicepresidente della BCE) le immense risorse economiche sottratte al circuito di spesa e riproduzione tendono alla fine a non rientrare nei circuiti economici produttivi, ma a restare “catturati” nella riproduzione autoreferenziale Denaro-Denaro. Questa enorme massa tiene sotto pressione i debiti pubblici inducendo una dimensione di ricatto costante.

Per quel che riguarda il discorso che stiamo tentando in questo piccolo post, la conseguenza forse più rilevante è che senza risorse al centro della piramide sociale (derivanti dal privato, per una varietà di meccanismi concorrenziali a livello globale e locale) e senza trasferimenti dal pubblico, la classe media si disintegra e reagisce cercando facili colpevoli. Ciò viene fatalmente rafforzato dal fatto che la politica, privata del suo ruolo tradizionale (di equilibratore e di distributore di risorse) per carenza di materia prima, si “arrocca”. Questa dinamica si rafforza da sola.



In questa trappola si sta conducendo la vicenda italiana.

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