Uno dei primi post
di questo piccolo blog, a giugno 2013, sono passati solo otto mesi ma tanta
acqua è andata sotto i ponti: Berlusconi è stato dichiarato decaduto dal suo
ruolo di senatore della Repubblica a seguito di una Sentenza di condanna in
giudicato e dopo una epica battaglia; la PDL è uscita dalla maggioranza e si è
spaccata, vedendo la formazione di una nuova forza che continua ad appoggiare
il governo con il centrosinistra, e quindi a novembre la stessa PDL si è
disciolta e si è costituita di nuovo Forza
Italia intorno a Berlusconi; in Germania ci sono state le elezioni
politiche e la Cancelliera Angela Merkel è stata rieletta, e costretta a fare
una “larga coalizione” con la SPD; in Italia le primarie del PD hanno visto la
vittoria di Matteo Renzi che è diventato Segretario del PD; abbiamo avuto la Sentenza
della Corte Costituzionale che ha abrogato alcuni articoli del “porcellum”; è
caduto il governo Letta ed è stato appena avviato il governo Renzi.
Se solo otto
mesi fa poteva sembrare che il governo di Coalizione italiano potesse andare
avanti sino alle elezioni europee di maggio, cercando di avviare una
stabilizzazione del paese intorno alle forze organizzate tradizionali (i
partiti rappresentati nella diarchia PD/PDL guidata dal ceto politico
tradizionale della “seconda” repubblica), oggi siamo nel centro di un’accelerazione
continua i cui esiti possibili sono al momento oscuri. Lo scontro per l’anima
del paese sembra, a chi scrive, in questo momento sospeso tra il tentativo
renziano (con tutte le sue luci ed ombre) e l’ipotesi grillina. Le forze che si
riferiscono al centrodestra tradizionale (dato che nel movimento di Grillo sono
presenti tutte le anime, sotto diversa rubrica), appaiono al momento ridotte in
difesa.
Quel post, aveva
però un carattere programmatico, nel suo piccolo. Dunque, allo scopo di chiarirmi
le idee (esercizio che conviene ripetere spesso) proverò a rileggerlo e svilupparlo.
Si trattava di una piccola riflessione in parte stimolata dalla lettura di “Finale
di partito” di Revelli (di cui condivido solo in parte l'analisi), del
quale mi pare convincente l’ipotesi che le recenti esperienze mostrino una
trasformazione storica che si muove ed accelera. Qualcosa di radicale e
profondo, che richiede di tenere occhi ed orecchie aperte alla percezione del
nuovo. La mente disponibile a sospendere i nostri tradizionali schemi, per
saggiarne l’adeguatezza, la persistenza.
E’ come se il terreno sotto i nostri piedi slittasse, portandoci in un nuovo ambiente (un processo che è in corso da oltre trenta anni, ma che diventa più visibile di anno in anno, ed in particolare nel nuovo millennio); in un mondo dove il segno dominante è il “rischio” e “l'incertezza” (come vorrebbero Beck e Bauman), ma anche il disorientamento (che è sentimento molto più largo e, in qualche modo ci coinvolge tutti). Quel che si può dire è che stiamo assistendo a quello che ha tutta l’aria di sembrare il declino terminale di identità consolidate di gruppo che tra le altre cose rendevano ancorabili grandi organizzazioni ad attese di comportamento e di risposta. Le cosiddette “classi” cui erano connesse le forme partito (almeno quelle più grandi e permanenti).
E’ come se il terreno sotto i nostri piedi slittasse, portandoci in un nuovo ambiente (un processo che è in corso da oltre trenta anni, ma che diventa più visibile di anno in anno, ed in particolare nel nuovo millennio); in un mondo dove il segno dominante è il “rischio” e “l'incertezza” (come vorrebbero Beck e Bauman), ma anche il disorientamento (che è sentimento molto più largo e, in qualche modo ci coinvolge tutti). Quel che si può dire è che stiamo assistendo a quello che ha tutta l’aria di sembrare il declino terminale di identità consolidate di gruppo che tra le altre cose rendevano ancorabili grandi organizzazioni ad attese di comportamento e di risposta. Le cosiddette “classi” cui erano connesse le forme partito (almeno quelle più grandi e permanenti).
Questa dislocazione è connessa a movimenti
sociali, economici, e culturali. Risulta molto difficile indagarli e ricondurli
a singole cause. Le tendenze chiave tuttavia, di un momento che ormai viviamo
da tempo, mi sembrano essere l'esplosione della ineguaglianza,
quindi la tendenziale fine della classe media e quello che ha tutta l’aria (può
essere una distorsione per familiarità, ovviamente) del suo riassorbimento in
un antico schema elité/plebe; ma anche le nuove tecnologie dell'accesso alla
voce, in un quadro di maggiore scolarizzazione di base. Questi ad altri, con lo
spiazzamento ed il protagonismo insieme che li caratterizzano sono tutti fattori
che mettono in contatto in via sempre
più diretta una rabbia crescente (oltre la metà della popolazione si sente
povera, e questo è un dato che non può essere sottovalutato) con il discredito
nei confronti degli specialisti della decisione che ci hanno delusi e traditi. Cioè il senso di
tradimento ricevuto da quei gruppi cui era stato implicitamente demandato il
compito di garantirci la stabilità e la progressione delle nostre vite e che invece
si sono fatti catturare nel gioco della competizione subalterna con il resto
del mondo. Che non hanno saputo capire prima, e contrastare dopo, le dinamiche epocali e i movimenti tettonici
della storia che ci stanno stritolando. Parlo, è chiaro, della parte “cattiva” della
globalizzazione; della componente selvaggia, della finanziarizzazione
predatoria, della caduta del welfare e della sua burocratizzazione, della
condanna alla precarizzazione e povertà, della perdita della speranza... In
questo grafico che segue troviamo l’Italia in fondo alla graduatoria mondiale
della fiducia (o meglio “soddisfazione”) nella direzione politica. Un miserissimo 3% degli italiani si ritiene
soddisfatto.
La questione di
maggior peso è che la rabbia ed il discredito si proiettano anche entro le
organizzazioni politiche “solide”, trasmettendogli l'immagine della loro
inutilità ed inducendole all'arroccamento. In altre parole io sospetto che il
cinismo che si intravede in molti comportamenti della classe politica e
dirigente del paese sia immagine dell’introiezione di un senso di disfatta. Di inutilità.
Di una sorta di accettazione della inutilità e della reazione individuale a
tale fatto. Se nulla si può ormai cambiare tanto vale avere dei vantaggi per
me/noi.
Si tratta di una reazione di gruppo che non può determinare
alcun esito se non aumentare il discredito. Sospetto che alla fine sia questo movimento autorafforzante che viene
intercettato, tentativamente ed oscuramente, e sfruttato da chi affronta la
confusione in certo senso dall’esterno della cittadella per darvi l’assalto, introducendovi
elementi di semplificazione. Intersecandola, cioè, con racconti riconoscibili e
rasserenanti funzionali alla raccolta delle forze.
Abbiamo avuto a
lungo uno di questi racconti (strutturalmente esterni al governo delle cose) nel
“partito piattaforma”, che, rinunciando alla razionalità ed al progetto, rilegge
i cittadini come “pubblico” e cerca di assorbire lo spazio politico nello
spazio mediatico; costruendo il consenso come somma di rivendicazioni,
soddisfazioni, vantaggi minimi e slegati, rapidi e corti. Parlo, ovviamente, di
Forza Italia e del Partito-uomo di
Berlusconi. Una forma di leaderismo contemporaneamente concretissimo, basato su
una forza solida e oggettiva, e cangiante nelle sue innumerevoli trasformazioni
e giravolte. Tutte funzionali al concetto di andare a prendere “code” di
consenso sempre più “lunghe”; non fa niente se non fanno sistema e se aumentano
l’entropia di sistema.
Emerge, al
termine di questa esperienza che ha a lungo ipnotizzato il paese con il suo
spettacolo multiforme e rassicurante, con la sua costante distrazione
strutturale, un nuovo schema: la traduzione di una solida notorietà mediatica
in legame e consolidamento di forze disperse intorno ad un racconto anche esso
a suo modo rassicurante. L'articolazione di una “democrazia
di controllo” che sia cura all’incertezza ed al rischio. Cioè cura al
dolore di essere lasciati fuori. Una quasi-personalizzazione nella figura
dell'eroe, del combattente capace di raccogliere una “coda lunga” ancora più
spettacolare. Di aggregare forze e identità disperse diversissime, di
recuperare senso dove sembrava di vedere solo il deserto. Uno spettacolo.
Il problema di
fondo è l'utilità ed adeguatezza dell'idea fondamentale, veicolata dal Movimento
5 Stelle e peraltro ben radicata nella pancia del paese, che
l'elemento dirimente della contemporaneità, in Italia, sia l'esproprio del
futuro da parte dei “politici”. In alcune versioni più sofisticare, da parte
dell'insieme degli eletti e delle élite che si caratterizzano per avere un
accesso privilegiato ad essi. Che quindi siano, alla fine, solo i partiti di
massa il colpevole. La loro corruzione ne diventi il punto qualificante.
Questa idea è attraente perché riesce a raccogliere intorno ad un unico racconto di facile comprensione molte esperienze che tutti hanno fatto, esperienze nella vita di ogni giorno e veicolate dai media.
Questa idea è attraente perché riesce a raccogliere intorno ad un unico racconto di facile comprensione molte esperienze che tutti hanno fatto, esperienze nella vita di ogni giorno e veicolate dai media.
Ma, a mio
parere, si tratta di un racconto sostanzialmente scorretto; vorrei articolare una diversa ipotesi,
che l'elemento centrale dei fenomeni di distorsione e corruzione che abbiamo
crescentemente sotto gli occhi non sia la politica, ma il declino della classe
media e la frammentazione della società che ne consegue. Sia alla fine la
riduzione della ricchezza disponibile nel circuito economico non finanziario; la
distribuzione della stessa sempre più ineguale e polarizzata. Lo dico diversamente: è una reazione
naturale, quando si soffre e si vede a rischio il proprio futuro, cercare vie
di uscita e colpevoli ai quali imputare le responsabilità. In questi casi una
rappresentazione “a cipolla”, senza nessi causali univoci, non aiuta a calmare
l'ansia, molto meglio immaginare che ci sia un complotto e dei cattivi. Così eliminati loro tutto tornerà a posto.
La terza incarnazione
di questa reazione, che ha a che fare nel suo processo di crescita con una
versione “educata” di questa stessa mossa, è nella versione di Renzi.
Un fenomeno ancora in divenire e difficile da inquadrare. Tuttavia appare l’interessante
tentativo di trovare una via mediana, di mobilitare il senso di estraneità ed
il desiderio di discontinuità in un progetto politico che si vuole ambizioso e
fattibile insieme. Si tratta di un tentativo che ha mobilitato speranze che
sarebbe terribile mandare deluse. Il tempo
dirà.
Propongo di
considerare che invece non siano disponibili soluzioni semplici, e che non sia possibile
salvarci da soli. Cioè che per avviare a soluzione questi problemi sia
necessario cambiare, e sia indispensabile farlo insieme a tutta la UE e
all'occidente. In questa ottica il frame della “decrescita”
(cioè un’articolazione del valore antico della sobrietà) contiene qualche spunto interessante, ma va declinato
ovviamente in modo meno ideologico e soprattutto non è la soluzione.
Detto in altre parole: la
polarizzazione del reddito, che porta sempre maggiori ricchezze a sempre meno
persone (l'Italia è tra le economie sviluppate quella con maggiore ineguaglianza
dopo gli USA), induce ad una contrazione della ricchezza generale socialmente
disponibile per la parte della popolazione che vive essenzialmente del lavoro e
non dei risparmi accumulati o delle rendite da capitale. Si tratta di un fenomeno
che si registra in tutto il mondo e che viene fortemente osservato in
particolare a partire dall’evidenza della crisi. Il meccanismo base è semplice:
i ricchi mediamente risparmiano di più, dunque man mano che la ricchezza si
concentra in poche mani, sempre più ricchezza viene trasferita nei circuiti
finanziari e sempre meno nell'acquisto di beni e servizi. Questa, tra l’altro, dato
che la finanza è poco tassata ed il lavoro molto, induce una riduzione della
tassazione e quindi porta la necessità di risparmiare sulle spese pubbliche. Tra
le conseguenze più rilevanti c’è quella che vede il risparmio sulle spese
pubbliche mettere meno risorse in mano alla politica per redistribuirle (ad
esempio tramite la caratteristica redistribuzione “clientelare” tipica del
nostro paese) e dunque contribuisce in modo decisivo a indebolire la capacità
della politica di “comprarsi” il consenso. Tramite simili meccanismi (non catturati
dai modelli utilizzati per definire le politiche economiche e monetarie, come
illustrava ad esempio Constacio,
Vicepresidente della BCE) le immense risorse economiche sottratte al circuito
di spesa e riproduzione tendono alla fine a non rientrare nei circuiti
economici produttivi, ma a restare “catturati” nella riproduzione
autoreferenziale Denaro-Denaro. Questa enorme massa tiene sotto pressione i
debiti pubblici inducendo una dimensione di ricatto costante.
Per quel che
riguarda il discorso che stiamo tentando in questo piccolo post, la conseguenza
forse più rilevante è che senza risorse al centro della piramide sociale (derivanti
dal privato, per una varietà di meccanismi concorrenziali a livello globale e
locale) e senza trasferimenti dal pubblico, la classe media si disintegra e
reagisce cercando facili colpevoli. Ciò viene fatalmente rafforzato dal fatto
che la politica, privata del suo ruolo tradizionale (di equilibratore e di distributore
di risorse) per carenza di materia prima, si “arrocca”. Questa dinamica si rafforza da sola.
In questa
trappola si sta conducendo la vicenda italiana.

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