Sul sito Open Democracy, Articolo
di Geoffrey Ingham che insegna Sociologia ed Economia Politica a Cambridge dal
1972, sulla natura del denaro. Il tema è di grande interesse e rappresenta una
delle carenze più vistose di riflessione della cultura economica
internazionale. Una carenza che non si limita ad avere effetti di natura scientifica,
ma che induce ad una sostanziale incomprensione dei meccanismi all’opera nelle
crisi, ed ostacola una soluzione stabile. Nei prossimi giorni torneremo sul
tema, anche tramite le letture di diversi libri recentemente (e non solo)
usciti sull’argomento.
Secondo l’autore, che non nasconde di
muovere da un punto di vista socialista, la struttura di base dei sistemi
monetari capitalistici è nata in Europa tra il 15° ed il 16° secolo, gradualmente
integrando reti bancarie private sorte spontaneamente nelle aree con economie
più intense e sviluppate (come, ad esempio, Firenze). L’integrazione aveva come
suo centro operativo la compensazione, e la regolamentazione,
dei pagamenti tra produttori e commercianti tramite la loro monetarizzazione in
valuta fiduciaria di Stato. In genere
questo processo, che procede lentamente nell’arco di alcuni secoli e vede una
sempre maggiore espansione della liquidità monetaria è inquadrato come un processo
di 'selezione evolutiva' che ha prodotto un sistema sempre più efficace. L’autore introduce un dubbio verso questa
comune visione, chiedendosi se non sia invece “un risultato non ottimale
che deve la sua esistenza ai vantaggi che essa conferisce ai principali agenti –
[cioè] le banche e gli Stati”. In questo caso (cioè se il beneficio non è collettivo, ma limitato
ad alcuni player e circolato tra di loro), si chiede Ingham: “possiamo fare di meglio?”
Nell’attuale sistema,
infatti, la conduzione della politica monetaria resta sempre soggetta a
difficoltà e rischi di inefficacia -ed effetti non voluti- che originano in una
complessa ibridazione tra funzioni pubbliche e private. Malgrado tutti gli
sforzi (a volte erculei), le Banche Centrali ed i Governi (non solo la BCE, ma
anche la FED e le altre Banche Centrali sovrane) non riescono a ottenere che le
banche private prestino nella misura necessaria risorse all’economia “reale”
per mettere al lavoro le forze produttive oggi inerti (milioni di lavoratori
potenziali, di stabilimenti, infrastrutture, etc.). E non possono comandare
(come succede in Cina, ad esempio) loro di farlo. In particolare le Banche
Centrali, dalla fine del secolo scorso “indipendenti” sono nel duplice ruolo di
agenti dei Governi e di custodi del sistema bancario privato (un’innovazione
che era parte essenziale del programma liberista, la cui giustificazione era
che in questo modo si rassicurano i mercati che la creazione di moneta, e
dunque l’inflazione, sarà sottratta alla pressione delle forze democratiche, e
dunque agli interessi parziali degli stakeholders parlamentari). Un ruolo
scomodo e fonte di continua tensione interna, sempre più difficile da mantenere
nell’attuale crisi.
In sostanza, attualmente il
sistema bancario genera profitti creando denaro a partire dai contratti di
debito, che accende con gli attori economici, e con i quali li impegna a pagare
interessi sullo stesso. Il punto è che si tratta di un rapporto tra privati (attore economico e banca)
che si trasforma in denaro pubblico
(valuta fiduciara legale) attraverso una serie di legami speciali: quello tra
le banche commerciali e la Banca Centrale (che è un Istituto di Diritto
Pubblico anche dove è detenuta da privati), e tramite questa con lo Stato. Si
parla di “creazione di denaro” perché le banche moderne non si limitano a prestare
il denaro che viene depositato dai correntisti (che, anzi è solo una piccola
frazione degli “impegni”) ma generano nuovo denaro che viene accreditato nei
conti di prestito. Si tratta cioè di denaro “prodotto dai prestiti”. Tramite
questo passaggio (fondato sulla fiducia nella restituzione, in ultima istanza
dallo Stato) succede una cosa notevole: “i debiti privati sono spesi come
valuta pubblica”.
E’ in questo senso che si
dice spesso che le banche “creano moneta ex
nihilo - cioè, dal nulla”. Come giustamente osserva Ingham non è così: “questo
modo di guardare il processo deriva dal vedere il denaro come una 'cosa'
materiale, che si basa sulla vecchia concezione moneta metallica di denaro”. In
effetti nel capitalismo moderno, “il denaro non è prodotto da 'nulla', anzi ha
origine nella promessa del debitore di rimborsare il debito privato alla banca”. Il denaro è prodotto dal lavoro del debitore,
lo rappresenta (nella nostra economia post-industriale si tratta di un lavoro
in senso esteso, che andrebbe ben interrogato). Si può dire quindi che le
banche si impegnano in due attività.
Essenziali per il sistema capitalista: “intervengono nel sistema dei pagamenti
e [contemporaneamente] creano la moneta-credito con cui è finanziato”.
Nella prima Europa moderna, le banche private rilasciavano
i loro propri mezzi di pagamento in forma di banconote e di note che circolava
all'interno delle reti commerciali. La
modesta estensione geografica ed intensità faceva però sì che la stessa “vitalità”
delle “reti di pagamento private” fosse quasi interamente dipendente dalla
liquidazione tempestiva dei debiti “che, a sua volta, dipendeva dalla
continuità della produzione e del commercio che l’aveva resa possibile”. Si trattava di un sistema fragile e rischioso
(dunque anche i tassi di remunerazione dovevano essere alti). Sempre a rischio
dei capricci di cattivi raccolti e minacce costanti di guerra, fallimenti
aziendali di routine, ecc.
Il passo decisivo nasce dalla relazione chiave tra un
sistema plurale di circolazione commerciale della moneta privata (generata alla
fine da una transazione commerciale tra privati, garantita da un impegno di
restituzione con valorizzazione) e il sistema della moneta pubblica (incluso il
suo strumento della moneta standard legale); questo nesso è nella funzione di
raccogliere le tasse. Per cui dove i “due sistemi monetari”, nel tempo, sono
rimasti “abbastanza separati e antagonista - come in Cina e Stati islamici –“
la cosa ha preso altre direzioni. Qui il sistema “privato mercantile” di
creazione dei soldi ha “abilitato” l’evasione fiscale (come succede oggi con i
Bitcoin e con i sistemi di scambio locali che stanno prendendo sempre più
forza) e hanno creato indebolimento degli Stati, dato che si tratta di una “fonte
di energia autonoma”. L’interrogazione,
che talvolta emerge, sulla forza ed il ruolo del “sistema bancario ombra” nell’economia
Cinese ed il suo stesso decentramento creditizio (con la lotta costante tra
Pechino e le Regioni autonome) andrebbe forse letto utilmente in questa
tradizione.
Ma, tornando in occidente,
il punto di Ingham è che “nonostante
l'integrazione di denaro pubblico e privato nel capitalismo, l'antagonismo di
fondo non è stato del tutto eliminato”. Si
tratta di quel conflitto tra il governo democratico ed il “potere del denaro”,
che attraversa dal primo novecento la storia degli USA e spesso riemerge nella contrapposizione
tra 'Wall Street' e 'Main Street', da ultimo sulla scia della Grande Crisi Finanziaria
(GFC) del 2007-82 [Citato il libro di Johnson e Kwak, Bankers: The Takeover
Wall Street e la crisi finanziaria successiva , New York: Pantheon, 2010].
A questo punto conviene fare un piccolo passo indietro per
prendere una migliore prospettiva; è molto nota la storia dell’Inghilterra nel
1600, quando si forma la Banca d’Inghilterra (un consorzio di banchieri
privati) intorno ad un prestito alla corona ed una concessione. Ciò che
succede, per Ingham, è che i “soldi mercantili” e gli Stati, “forgiano un
rapporto” nel quale a lungo termine vengono a dipendere l’uno dall’altro per la
loro sopravvivenza. In sostanza il potere nazionale e geopolitico (cioè gli
Stati) prende in prestito dai commercianti, sfuggendo in questo modo dalla
storica “camicia di forza” della moneta metallica (cioè della disponibilità di
metalli preziosi) con la continua tentazione di “svilire” il conio, con
conseguente perdita di legittimità e prestigio. Allora il credito verso lo
Stato viene organizzato dai citati consorzi di banche che ricevono in cambio un
redditizio monopolio: quello di formare banche “pubbliche” (poi “Centrali”).
Ciò che succede è che “i banchieri privati hanno avuto accesso al sostegno
dello Stato nella moneta, che, a sua volta, ha notevolmente migliorato
l'accettabilità delle proprie emissioni fiduciarie”. Gradualmente le emissioni di moneta “pubblica”
della Banca d’Inghilterra hanno soppiantato quelle private (le banche private
emettevano loro titoli); il processo si è concluso solo all’inizio del 1900. Ma
già da qualche decennio la Banca d'Inghilterra “non era più un semplice
intermediario tra lo Stato e le banche. Piuttosto,
era diventato il 'prestatore di ultima istanza', fornendo i soldi per salvare
il sistema bancario dalle reazioni a catena distruttive di default durante le
crisi finanziarie”.
Questa modalità di
funzionamento è stata dopo la crisi del 2008 rafforzata, diventando una “flebo
di prestiti di routine” al sistema bancario sotto forma di 'quantitative easing' (FED). In questo modo le banche
private sono in grado di 'anticipare' l’esistenza del denaro (cioè richiamarlo in
esistenza) grazie al sostegno che ricevono dalla Banca Centrale e, a sua volta,
questa da parte dello Stato (tramite la Licenza concessa). Dall’altro lato si può
dire che “lo Stato 'spende' soldi chiamati in esistenza ad hoc quando il suo Tesoro,
utilizzando il suo conto nella Banca Centrale, paga per i beni e i servizi che
acquista dal settore privato” [Wray, MTM. A Primer on Macroeconomics per
sistemi monetari Sovereign, London:
Palgrave, 2012]. Ovviamente questo non succede nell’area Euro, nella quale il
Tesoro Nazionale non ha più un “conto” nelle Banche Centrali Nazionali e non lo
ha un inesistente Tesoro Europeo nella BCE. Manca un anello essenziale.
Altrove invece si crea un anello di rafforzamento: i
pagamenti dello Stato ai privati per acquisto di beni e servizi “sono
depositati nelle banche private, aumentando le loro riserve detenute presso la Banca
Centrale, [riserve a loro volta] disponibili per mantenere il sistema dei
pagamenti dell'economia”. Ciò stabilizza
il sistema con l’essenziale contributo del “sostegno dello Stato e della
sua Banca Centrale”; per questo motivo “si potrebbe sostenere che il sistema
bancario privato dovrebbe essere posto sotto il controllo pubblico per motivi
di efficienza ed equità”.
Si tratta di un
anello circolare. Per questo motivo in
questo momento, ci racconta Ingham c’è un vivace dibattito del genere
uovo-gallina: “i soldi iniziano il loro circuito dalle spese dello Stato o
dagli anticipi dal sistema bancario, compresa la Banca Centrale?” In altre parole, il “conto di
tesoreria” presso la Banca Centrale è solo una 'finzione utile' che rafforza la
convinzione che i governi hanno bisogno dei 'nostri' soldi dalle tasse? Cioè la prima condizione ha bisogno
delle nostre tasse per spendere o (al contrario) abbiamo bisogno di acquisire
denaro dello Stato per pagarle? In
mancanza di sufficienti entrate fiscali dello Stato bisogna vendere
obbligazioni per finanziare la spesa, prendendo in prestito il denaro? Questo denaro è alla fine “ciò che è
stato creato nel sistema bancario privato” o denaro dello Stato stesso chiamato
in esistenza?
Come ricorda Ingham, a parte
dettagli arcani, “queste domande sono
fondamentalmente su chi ha il potere di creare e controllare il denaro”. Si tratta della “più importante fonte
di potere nelle democrazie moderne, in gran parte [intenzionalmente] fuori dal
controllo democratico”. Una delle principali fonti di 'potere infrastrutturale'
- cioè, di fonte dei mezzi per fare collettivamente le cose. Infatti questi accordi di ‘partenariato
pubblico-privato' portano sia benefici sia costi.
Abbastanza evidentemente, da un lato, “la trasformazione dei debiti privati in moneta
pubblica, soprattutto dopo l'abbandono del gold standard, ha permesso la grande
espansione della finanza su cui si basa il capitalismo moderno”. D’altro
lato, ci sono conseguenze deleterie che nascono “dal controllo privato di
questa capacità collettiva”. Infatti, la
produzione di denaro è gestita “in una sorta di redditizio franchising” sottoscritto
dal settore pubblico. Ma le
banche fanno i loro soldi tramite la vendita di debito, quindi tendono
naturalmente ad aumentarne il volume fino a che si verificano troppe inadempienze
destabilizzanti.
Quindi si può dire che il
“potere sociale collettivo infrastrutturale”
e la “fragilità sistemica” aumentano
contemporaneamente – si tratta di “una contraddizione vera e propria per la
quale, in quanto tale, non vi è alcuna risoluzione finale all'interno del
sistema esistente”. Gli operatori del sistema dei pagamenti, fonte della moneta
credito, sono “troppo grandi” (cioè “troppo centrali”) per poter fallire a
seguito delle crisi che essi stessi determinano. C’è anche un altro effetto,
solo apparentemente distorsivo in realtà strutturale, il potere di monopolio
nel controllo della produzione della moneta di credito si esercita in modo “dispotico”,
manifestandosi nell’imposizione dei tassi di interesse manipolati per estrarre
più valore. Un esempio è stata la recente manipolazione
del tasso Libor e mercati valutari (un grandissimo scandalo ancora in corso)
nel quale i regolatori esitano per paura di indebolire la capitalizzazione e la
capacità di resistere alle crisi delle banche.
Ragionando su questa linea si arriva rapidamente ai nodi
centrali del dibattito sulla generazione di risorse che animò la scena negli
anni venti-trenta, nella quale si contrapponevano soluzioni pianificate e decentrate,
con i loro argomenti. Sciogliere il linkage pubblico-privato porterebbe verso i
primi ambienti; verso la necessità di programmare e controllare la creazione di
moneta in funzione dell’espansione di attività socialmente disponibile. L’obiezione
che fu fatta, e prevalse, è che non è disponibile la necessaria intelligenza
(argomento informativo sui prezzi di Hayek). Ma questo franchising genera,
comunque, grandi problemi. I prezzi restano prigionieri delle asimmetrie
informative e delle manipolazioni interessate degli attori economici privati ma
investiti, di fatto, di funzione pubblica. Ne vediamo l’effetto nella dinamica
delle bolle e nei frequenti crolli che provocano.
La “questione denaro”,
a ben vedere, è la domanda.
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