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mercoledì 26 febbraio 2014

Geoffrey Ingham, "Che cosa è il denaro?"


Sul sito Open Democracy,  Articolo di Geoffrey Ingham che insegna Sociologia ed Economia Politica a Cambridge dal 1972, sulla natura del denaro. Il tema è di grande interesse e rappresenta una delle carenze più vistose di riflessione della cultura economica internazionale. Una carenza che non si limita ad avere effetti di natura scientifica, ma che induce ad una sostanziale incomprensione dei meccanismi all’opera nelle crisi, ed ostacola una soluzione stabile. Nei prossimi giorni torneremo sul tema, anche tramite le letture di diversi libri recentemente (e non solo) usciti sull’argomento.
Secondo l’autore, che non nasconde di muovere da un punto di vista socialista, la struttura di base dei sistemi monetari capitalistici è nata in Europa tra il 15° ed il 16° secolo, gradualmente integrando reti bancarie private sorte spontaneamente nelle aree con economie più intense e sviluppate (come, ad esempio, Firenze). L’integrazione aveva come suo centro operativo la compensazione, e la regolamentazione, dei pagamenti tra produttori e commercianti tramite la loro monetarizzazione in valuta fiduciaria di Stato. In genere questo processo, che procede lentamente nell’arco di alcuni secoli e vede una sempre maggiore espansione della liquidità monetaria è inquadrato come un processo di 'selezione evolutiva' che ha prodotto un sistema sempre più efficace. L’autore introduce un dubbio verso questa comune visione, chiedendosi se non sia invece “un risultato non ottimale che deve la sua esistenza ai vantaggi che essa conferisce ai principali agenti – [cioè] le banche e gli Stati”. In questo caso (cioè se il beneficio non è collettivo, ma limitato ad alcuni player e circolato tra di loro), si chiede Ingham: possiamo fare di meglio?”
Nell’attuale sistema, infatti, la conduzione della politica monetaria resta sempre soggetta a difficoltà e rischi di inefficacia -ed effetti non voluti- che originano in una complessa ibridazione tra funzioni pubbliche e private. Malgrado tutti gli sforzi (a volte erculei), le Banche Centrali ed i Governi (non solo la BCE, ma anche la FED e le altre Banche Centrali sovrane) non riescono a ottenere che le banche private prestino nella misura necessaria risorse all’economia “reale” per mettere al lavoro le forze produttive oggi inerti (milioni di lavoratori potenziali, di stabilimenti, infrastrutture, etc.). E non possono comandare (come succede in Cina, ad esempio) loro di farlo. In particolare le Banche Centrali, dalla fine del secolo scorso “indipendenti” sono nel duplice ruolo di agenti dei Governi e di custodi del sistema bancario privato (un’innovazione che era parte essenziale del programma liberista, la cui giustificazione era che in questo modo si rassicurano i mercati che la creazione di moneta, e dunque l’inflazione, sarà sottratta alla pressione delle forze democratiche, e dunque agli interessi parziali degli stakeholders parlamentari). Un ruolo scomodo e fonte di continua tensione interna, sempre più difficile da mantenere nell’attuale crisi.
In sostanza, attualmente il sistema bancario genera profitti creando denaro a partire dai contratti di debito, che accende con gli attori economici, e con i quali li impegna a pagare interessi sullo stesso. Il punto è che si tratta di un rapporto tra privati (attore economico e banca) che si trasforma in denaro pubblico (valuta fiduciara legale) attraverso una serie di legami speciali: quello tra le banche commerciali e la Banca Centrale (che è un Istituto di Diritto Pubblico anche dove è detenuta da privati), e tramite questa con lo Stato. Si parla di “creazione di denaro” perché le banche moderne non si limitano a prestare il denaro che viene depositato dai correntisti (che, anzi è solo una piccola frazione degli “impegni”) ma generano nuovo denaro che viene accreditato nei conti di prestito. Si tratta cioè di denaro “prodotto dai prestiti”. Tramite questo passaggio (fondato sulla fiducia nella restituzione, in ultima istanza dallo Stato) succede una cosa notevole: “i debiti privati sono spesi come valuta pubblica”.

E’ in questo senso che si dice spesso che le banche “creano moneta ex nihilo - cioè, dal nulla”. Come giustamente osserva Ingham non è così: “questo modo di guardare il processo deriva dal vedere il denaro come una 'cosa' materiale, che si basa sulla vecchia concezione moneta metallica di denaro”. In effetti nel capitalismo moderno, “il denaro non è prodotto da 'nulla', anzi ha origine nella promessa del debitore di rimborsare il debito privato alla banca”. Il denaro è prodotto dal lavoro del debitore, lo rappresenta (nella nostra economia post-industriale si tratta di un lavoro in senso esteso, che andrebbe ben interrogato). Si può dire quindi che le banche si impegnano in due attività. Essenziali per il sistema capitalista: “intervengono nel sistema dei pagamenti e [contemporaneamente] creano la moneta-credito con cui è finanziato”.
Nella prima Europa moderna, le banche private rilasciavano i loro propri mezzi di pagamento in forma di banconote e di note che circolava all'interno delle reti commerciali. La modesta estensione geografica ed intensità faceva però sì che la stessa “vitalità” delle “reti di pagamento private” fosse quasi interamente dipendente dalla liquidazione tempestiva dei debiti “che, a sua volta, dipendeva dalla continuità della produzione e del commercio che l’aveva resa possibile”. Si trattava di un sistema fragile e rischioso (dunque anche i tassi di remunerazione dovevano essere alti). Sempre a rischio dei capricci di cattivi raccolti e minacce costanti di guerra, fallimenti aziendali di routine, ecc. 
Il passo decisivo nasce dalla relazione chiave tra un sistema plurale di circolazione commerciale della moneta privata (generata alla fine da una transazione commerciale tra privati, garantita da un impegno di restituzione con valorizzazione) e il sistema della moneta pubblica (incluso il suo strumento della moneta standard legale); questo nesso è nella funzione di raccogliere le tasse. Per cui dove i “due sistemi monetari”, nel tempo, sono rimasti “abbastanza separati e antagonista - come in Cina e Stati islamici –“ la cosa ha preso altre direzioni. Qui il sistema “privato mercantile” di creazione dei soldi ha “abilitato” l’evasione fiscale (come succede oggi con i Bitcoin e con i sistemi di scambio locali che stanno prendendo sempre più forza) e hanno creato indebolimento degli Stati, dato che si tratta di una “fonte di energia autonoma”. L’interrogazione, che talvolta emerge, sulla forza ed il ruolo del “sistema bancario ombra” nell’economia Cinese ed il suo stesso decentramento creditizio (con la lotta costante tra Pechino e le Regioni autonome) andrebbe forse letto utilmente in questa tradizione.

Ma, tornando in occidente, il punto di Ingham è che “nonostante l'integrazione di denaro pubblico e privato nel capitalismo, l'antagonismo di fondo non è stato del tutto eliminato”. Si tratta di quel conflitto tra il governo democratico ed il “potere del denaro”, che attraversa dal primo novecento la storia degli  USA e spesso riemerge nella contrapposizione tra 'Wall Street' e 'Main Street', da ultimo sulla scia della Grande Crisi Finanziaria (GFC) del 2007-82 [Citato il libro di Johnson e Kwak, Bankers: The Takeover Wall Street e la crisi finanziaria successiva , New York: Pantheon, 2010]. 

A questo punto conviene fare un piccolo passo indietro per prendere una migliore prospettiva; è molto nota la storia dell’Inghilterra nel 1600, quando si forma la Banca d’Inghilterra (un consorzio di banchieri privati) intorno ad un prestito alla corona ed una concessione. Ciò che succede, per Ingham, è che i “soldi mercantili” e gli Stati, “forgiano un rapporto” nel quale a lungo termine vengono a dipendere l’uno dall’altro per la loro sopravvivenza. In sostanza il potere nazionale e geopolitico (cioè gli Stati) prende in prestito dai commercianti, sfuggendo in questo modo dalla storica “camicia di forza” della moneta metallica (cioè della disponibilità di metalli preziosi) con la continua tentazione di “svilire” il conio, con conseguente perdita di legittimità e prestigio. Allora il credito verso lo Stato viene organizzato dai citati consorzi di banche che ricevono in cambio un redditizio monopolio: quello di formare banche “pubbliche” (poi “Centrali”). Ciò che succede è che “i banchieri privati ​​hanno avuto accesso al sostegno dello Stato nella moneta, che, a sua volta, ha notevolmente migliorato l'accettabilità delle proprie emissioni fiduciarie”. Gradualmente le emissioni di moneta “pubblica” della Banca d’Inghilterra hanno soppiantato quelle private (le banche private emettevano loro titoli); il processo si è concluso solo all’inizio del 1900. Ma già da qualche decennio la Banca d'Inghilterra “non era più un semplice intermediario tra lo Stato e le banche. Piuttosto, era diventato il 'prestatore di ultima istanza', fornendo i soldi per salvare il sistema bancario dalle reazioni a catena distruttive di default durante le crisi finanziarie”. 
Questa modalità di funzionamento è stata dopo la crisi del 2008 rafforzata, diventando una “flebo di prestiti di routine” al sistema bancario sotto forma di 'quantitative easing' (FED). In questo modo le banche private sono in grado di 'anticipare' l’esistenza del denaro (cioè richiamarlo in esistenza) grazie al sostegno che ricevono dalla Banca Centrale e, a sua volta, questa da parte dello Stato (tramite la Licenza concessa). Dall’altro lato si può dire che “lo Stato 'spende' soldi chiamati in esistenza ad hoc quando il suo Tesoro, utilizzando il suo conto nella Banca Centrale, paga per i beni e i servizi che acquista dal settore privato” [Wray, MTM. A Primer on Macroeconomics per sistemi monetari Sovereign, London: Palgrave, 2012]. Ovviamente questo non succede nell’area Euro, nella quale il Tesoro Nazionale non ha più un “conto” nelle Banche Centrali Nazionali e non lo ha un inesistente Tesoro Europeo nella BCE. Manca un anello essenziale.
Altrove invece si crea un anello di rafforzamento: i pagamenti dello Stato ai privati per acquisto di beni e servizi “sono depositati nelle banche private, aumentando le loro riserve detenute presso la Banca Centrale, [riserve a loro volta] disponibili per mantenere il sistema dei pagamenti dell'economia”. Ciò stabilizza il sistema con l’essenziale contributo del “sostegno dello Stato e della sua Banca Centrale”; per questo motivo “si potrebbe sostenere che il sistema bancario privato dovrebbe essere posto sotto il controllo pubblico per motivi di efficienza ed equità”.

Si tratta di un anello circolare. Per questo motivo in questo momento, ci racconta Ingham c’è un vivace dibattito del genere uovo-gallina: “i soldi iniziano il loro circuito dalle spese dello Stato o dagli anticipi dal sistema bancario, compresa la Banca Centrale?” In altre parole, il “conto di tesoreria” presso la Banca Centrale è solo una 'finzione utile' che rafforza la convinzione che i governi hanno bisogno dei 'nostri' soldi dalle tasse? Cioè la prima condizione ha bisogno delle nostre tasse per spendere o (al contrario) abbiamo bisogno di acquisire denaro dello Stato per pagarle? In mancanza di sufficienti entrate fiscali dello Stato bisogna vendere obbligazioni per finanziare la spesa, prendendo in prestito il denaro? Questo denaro è alla fine “ciò che è stato creato nel sistema bancario privato” o denaro dello Stato stesso chiamato in esistenza? 

Come ricorda Ingham, a parte dettagli arcani, “queste domande sono fondamentalmente su chi ha il potere di creare e controllare il denaro”. Si tratta della “più importante fonte di potere nelle democrazie moderne, in gran parte [intenzionalmente] fuori dal controllo democratico”. Una delle principali fonti di 'potere infrastrutturale' - cioè, di fonte dei mezzi per fare collettivamente le cose. Infatti questi accordi di ‘partenariato pubblico-privato' portano sia benefici sia costi. 
Abbastanza evidentemente, da un lato, “la trasformazione dei debiti privati ​​in moneta pubblica, soprattutto dopo l'abbandono del gold standard, ha permesso la grande espansione della finanza su cui si basa il capitalismo moderno”. D’altro lato, ci sono conseguenze deleterie che nascono “dal controllo privato di questa capacità collettiva”. Infatti, la produzione di denaro è gestita “in una sorta di redditizio franchising” sottoscritto dal settore pubblico. Ma le banche fanno i loro soldi tramite la vendita di debito, quindi tendono naturalmente ad aumentarne il volume fino a che si verificano troppe inadempienze destabilizzanti. 
Quindi si può dire che il “potere sociale collettivo infrastrutturale” e la “fragilità sistemica”  aumentano contemporaneamente – si tratta di “una contraddizione vera e propria per la quale, in quanto tale, non vi è alcuna risoluzione finale all'interno del sistema esistente”. Gli operatori del sistema dei pagamenti, fonte della moneta credito, sono “troppo grandi” (cioè “troppo centrali”) per poter fallire a seguito delle crisi che essi stessi determinano. C’è anche un altro effetto, solo apparentemente distorsivo in realtà strutturale, il potere di monopolio nel controllo della produzione della moneta di credito si esercita in modo “dispotico”, manifestandosi nell’imposizione dei tassi di interesse manipolati per estrarre più valore. Un esempio è stata la recente manipolazione del tasso Libor e mercati valutari (un grandissimo scandalo ancora in corso) nel quale i regolatori esitano per paura di indebolire la capitalizzazione e la capacità di resistere alle crisi delle banche.
Ragionando su questa linea si arriva rapidamente ai nodi centrali del dibattito sulla generazione di risorse che animò la scena negli anni venti-trenta, nella quale si contrapponevano soluzioni pianificate e decentrate, con i loro argomenti. Sciogliere il linkage pubblico-privato porterebbe verso i primi ambienti; verso la necessità di programmare e controllare la creazione di moneta in funzione dell’espansione di attività socialmente disponibile. L’obiezione che fu fatta, e prevalse, è che non è disponibile la necessaria intelligenza (argomento informativo sui prezzi di Hayek). Ma questo franchising genera, comunque, grandi problemi. I prezzi restano prigionieri delle asimmetrie informative e delle manipolazioni interessate degli attori economici privati ma investiti, di fatto, di funzione pubblica. Ne vediamo l’effetto nella dinamica delle bolle e nei frequenti crolli che provocano.


La “questione denaro”, a ben vedere, è la domanda.

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