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martedì 13 maggio 2014

Abba, P. Lerner, 1961, “L’onere del debito”. Della macchina del tempo del debito.


Il 7 gennaio 1960, durante il Messaggio dello Stato dell’Unione, Eisenhower disse: “personalmente, io non ritengo che un qualsiasi ammontare possa essere chiamato in modo appropriato un surplus finché la nazione ha un debito. Preferisco pensare a questo come una riduzione dell’ipoteca che i nostri figli erediteranno”.

In questa frase, in sostanza, il debito pubblico è visto come un modo ingegnoso per prendere la macchina del tempo e spendere oggi mattoni, acciaio, mani e cervelli del futuro. Sottraendo, quindi, mattoni, acciaio, mani e cervelli ai nostri figli.
A questa idea, che ritroviamo tanto spesso anche nel nostro dibattito politico ed economico, reagisce Abba Lerner, affermando che “non c’è alcun trasferimento di risorse o di oneri tra punti temporali diversi [nel debito pubblico]. Dunque la contrazione del debito e il suo rimborso non creano una macchina del tempo”.

La fonte è in un articolo del 1961 di Abba Lerner, in lingua originale qui, nella traduzione di Giorgio D.M. sul blog Godrano.

Abba Lerner è un economista vissuto tra l’inizio del novecento ed il 1982, nei suoi quasi ottanta anni di vita fu considerato uno dei migliori economisti del secolo; pur non avendo mai vinto un Premio Nobel, probabilmente a causa del suo radicalismo (socialista) e della sua atipicità (rispetto alle varie specializzazioni), alcune sue idee hanno influenzato in modo durevole il dibattito e sotto alcuni profili lo stesso Keynes.

In questo contributo reagisce, in particolare, ad un articolo del 1960 di Bowen, Davis e Kopf che introduce, appunto a sostegno dell’improvvida affermazione del Presidente, un “topos” ancora presentissimo nel dibattito odierno (ad esempio è continuamente richiamato da Renzi in forma leggermente diversa): che il debito pubblico sia un onere per le future generazioni.  W. G. Bowen, R. G. Davis, and D. H. Kopf, 'The Public Debt: A Burden on Future Generations?" American Economic Review, L (September 1960), pp.701-706
Con il suo caustico stile Lerner parte nella sua confutazione sottolineando che la tesi secondo cui l’onere reale di un progetto realizzato utilizzando risorse nel presente (cioè, ad esempio costruendo un ponte con cemento ed acciaio contemporaneo, pagandolo in moneta presente) può essere trasferito alle generazioni future, attraverso l’indebitamento pubblico, poggia su un fraintendimento lessicale: nella definizione “del termine <generazione> in modo particolare”. Secondo il suo esempio, nello stesso modo posso “chiamare zampa la coda di una pecora [ma] questo non trasformerà la pecora in un animale con cinque zampe”.

In altre parole, la conclusione degli autori è corretta nei loro termini (cioè in base alle loro particolari definizioni) ma altamente fuorviante per un ascoltatore comune. Dunque, teme Lerner, “è destinata ad essere male interpretata come se significasse quello che sembra voler dire nel linguaggio comune”.
Più precisamente, rappresenta un esempio di “fallacia di composizione”; cioè del ritenere che ciò che sia vero per una parte lo sia necessariamente anche per l’intero. Nella fattispecie se due famiglie si prestano soldi, quel che fa la prima (ricevente) è di ricevere delle risorse nel presente per doverle simmetricamente restituire nel futuro alla seconda (erogante). Lo scambio ha qui una struttura simmetrica (ricevente/erogante al tempo 1; erogante/ricevente al tempo 2).

Ma non è così che funziona nell’economia nel complesso.

Guardando invece l’intero sistema economico (e non solo le due “famiglie”), e ciò indipendentemente se il debito è pubblico o privato, Lerner ci mostra che non è possibile “trasferire un onere reale dalla generazione attuale, nel senso dell’economia attuale nel suo complesso, alla generazione futura, nel senso dell’economia futura nel suo complesso”. E’ assolutamente impossibile per una ragione semplicissima: “un progetto la cui realizzazione richiede l’impegno di risorse ha bisogno delle risorse nel momento in cui le usa, né prima né dopo”.

Non posso costruire un ponte con il cemento che è ancora nella cava.

La “fallacia di composizione” si manifesta se si fa caso al semplice fatto che le risorse “prestate” (ma è lo stesso se sono ricavate dalla tassazione), ad esempio tramite l’acquisto di un Titolo di Stato, sono contemporaneamente presenti e sarebbero impiegate comunque per qualche uso alternativo (o per consumi o per altri investimenti). Viceversa le risorse “restituite” (e prelevate tramite ulteriore credito o tassazione) sono ancora contemporanee, rispetto al momento della restituzione, e messe a disposizione per i loro usi.
In altre parole, tutto quel che succede è uno spostare risorse da un uso ad un altro, e da un gruppo ad un altro nel presente. Anzi nei diversi “presenti” del ciclo di vita del progetto.

Naturalmente la cosa si complica ed articola se una parte, o tutto, il flusso va o viene dall’esterno del sistema economico nazionale. In questo caso alcune aree economiche possono impoverirsi ed altre rinforzarsi. Questa è la ragione per cui il vero problema potenziale del debito pubblico è solo la quota detenuta all’estero (come riconosce da un poco di tempo persino il FMI).
Ma il vero punto (che determina l’effetto anche nel caso “estero” appena evocato) è l’efficacia ed il rendimento dell’investimento.

Lerner a questo proposito una serie di modi attraverso i quali si può, effettivamente, impoverire il futuro:
-         Producendo armamenti;
-         Impoverendo le risorse naturali;
-         Riducendo gli investimenti totali (cioè il netto tra gli investimenti fatti e quelli persi in alternativa);
-         Aumentando in senso relativo il consumo (evidentemente a danno degli investimenti).

Un investimento, tratto dai risparmi cioè dal debito, per Abba Lerner impoverisce le generazioni future solo se la sottrazione di risparmio va a detrimento di investimenti alternativi che non  vengono realizzati ed erano più efficienti. E’ quindi in realtà questione di verificare nel merito l’efficacia degli investimenti fatti e di quelli alternativi non realizzati (e dei consumi). Sotto questo profilo non fa nessuna differenza se la spesa si alimenta con debito o con tasse, presenti o future.

Per Lerner “una disinvoltura semantica come quella di Bowen e degli altri, sabota gravemente gli economisti nel loro importante compito di educare il pubblico ad apprezzare un’importante verità.
Con le loro ingegnose nuove definizioni di <generazioni> essi hanno reso molto più difficile evidenziare quando viene commesso l’errore di ritenere vero per il tutto quello che è vero solo per una parte.” In altre parole: “essi hanno preso una proposizione vera – cioè che alcune persone possono trasferire un onere nel futuro indebitandosi con altre persone – e l’hanno riscritta in modo tale che quasi tutti leggeranno in essa la proposizione falsa che la nazione nel suo complesso può rubare risorse contraendo un debito (pubblico o privato) interno, e così impoverire le generazioni future”.

A causa di questo assurdo timore di poter “impoverire le generazioni future lasciandogli un più ampio debito interno (del quale saranno debitrici verso se stesse)”, la società finisce in sostanza per “legarsi le mani” senza motivo.
E’ come se Ulisse, temendo di trovare le sirene dietro ogni scoglio, avesse deciso di restare legato all’albero e lasciare la cera alle orecchie dei rematori. Molto presto se ne sarebbe pentito, ma purtroppo i rematori –divenuti sordi- non avrebbero potuto evitare lo scoglio a dritta di prua.



Quello sul quale ci stiamo schiantando.

5 commenti:

  1. Incredibile, ho scritto la mia tesi di laurea praticamente nello stesso periodo (Aprile-Giugno 2014) su questo stesso argomento e utilizzando lo stesso lavoro di Lerner come fonte. Ho letto il suo articolo solo adesso. Che coincidenze nella vita.

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  2. E...? Mi interessa sentire cosa ne pensa.

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    1. Ottimo articolo, complimenti.

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    2. Se le interessa qua c'è il link della mia tesi: http://www.economiafunzionale.it/wp-content/uploads/bsk-pdf-manager/5_2014-12-19.PDF

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