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venerdì 4 luglio 2014

Discorso di Matteo Renzi al Parlamento Europeo all’avvio del semestre


Ho ascoltato il discorso di Matteo Renzi all’avvio del semestre europeo a guida italiana. Per molti versi un tipico discorso del leader che programmaticamente cerca sempre di parlare fuori dell’aula, di uscire dalle vesti che considera logore del personale politico per mettere quelle dell’outsider, del giovane (anche qui non ha mancato di rimarcarlo) che rovescia la prospettiva.
Ciò che ha cercato di rovesciare in questo discorso (molto più rispettoso, sotto molti profili, di quello d’investitura al Parlamento Italiano) è la struttura dell’ipnosi che sta intrappolando da cinque anni il dibattito nel continente: la divisione manichea in buoni/cattivi, incentrata sulla posizione finanziaria. Più precisamente sulla posizione debitoria. Una divisione che fotografa con esattezza il punto di vista dei creditori e che, storicamente, ha sempre portato a momenti di rottura, anche violenti.


Può darsi che discorsi come quello di qualche giorno fa avvicinino il momento della rottura. Perché indisponibili a continuare a far finta che sia in questione un decimale di scostamento, qualche punto di rapporto debito/pil. Pur nell’assoluta (e forse non intenzionale, bensì subita, non si sa quanto programmaticamente) mancanza di analisi espressa, il discorso ruotava intorno a questo punto e al rifiuto di vedere questa questione come centrale.
Pur affermando, in modo preventivo (e probabilmente debole), che l’Italia non chiede nuove regole, Renzi ha nominato eroi e monumenti della tradizione del sud Europa (Grecia e Italia) per rimarcare che siamo molto più di una disfunzionale economia in crisi. Che l’Europa insieme (con il Regno Unito) per avere un futuro deve tornare ad essere in movimento, una frontiera dello sviluppo umano.

In una frase finale che condivido il Presidente del Consiglio ha detto che <non è la moneta che abbiamo in tasca il nostro destino ma nel riscoprirci eredi>. Cioè eredi della tradizione europea di tolleranza, umanesimo e democrazia.
Un popolo s’identifica negli eroi e negli esempi che ha, che ha ascoltato sui banchi di scuola, che ha visto nelle piazze, letto nelle strade, ascoltato e letto al cinema, alla televisione, sui libri. Non si identifica nel saldo delle partire correnti, o delle posizioni finanziarie nette.

Nella successiva replica al capogruppo del PPE tedesco che aveva accusato l’Italia di voler cambiare le regole e allentare i vincoli, affermando che “la crescita deriva dalla stabilità”, il Presidente del Consiglio ha segnato un’insolita aggressività (che ha chiamato “franchezza”) almeno in due momenti: quando ha ricordato che la Germania ha violato per prima le regole e quando ha richiamato lo scandalo del Fondo Salva Stati che è intervenuto con soldi pubblici a salvare le banche tedesche e francesi che avevano prestato imprudentemente a banche del sud (ma anche irlandesi) dedite ad operazioni speculative e bolle creditizie.

In sintesi, malgrado una certa leggerezza sia in termini di ricostruzione dei meccanismi economici sia di focalizzazione generale, il discorso mi è sembrato di rottura. Proprio in seguito ai sostanzialmente fallimentari colloqui dei giorni precedenti, nei quali al massimo può aver strappato alla Merkel un generico possibilismo su “golden rule” e conteggio dei fondi strutturali (misure da qualche decina di miliardi, fragorosamente insufficienti da sole), l’avvio di questa retorica può indicare la scelta di una strada dirimente. Cioè la decisione di arrivare ad un chiarimento essenziale.

Il punto teorico che Renzi non sembra (o allo stato non risulta) aver preso ancora è che moneta e crescita sono endogene; non dipendono dalle caratteristiche strutturali di un sistema economico, ma dalla dinamica che si istituisce tra gli attori economici e sociali. E che questi possono raggiungere assetti del tutto diversi (di sottoccupazione radicale e distruzione di risorse e potenziali di crescita, come d’impiego delle risorse produttive e di loro potenziamento) in funzione non già degli stock di debito/credito, o delle posizioni competitive intese in modo statico, quanto della mobilitazione reciproca. Questa può restare “intrappolata” da una lettura tutta dal punto di vista del creditore, come quella del popolare tedesco, che vede la crescita (propria) tutta legata al risparmio forzoso dei debitori al fine di rientrare nelle posizioni. In realtà, e questi ultimi anni hanno fornito abbondanti prove, ciò distrugge risorse umane ed economiche, costringendo i sistemi ad assetti sempre più disfunzionali e distruttivi. Avvia una spirale deflattiva autorafforzante.

Tuttavia qui c’è una frontiera d’interesse, e una narrazione (anche identitaria e politica) radicalmente divergente tra alcuni ambienti economico finanziari del nord Europa e la gran parte (ormai) del sistema sociale ed economico dei paesi del sud (cui si sta aggiungendo la Francia).
Questa frontiera è stata affrontata nel discorso e ancora più nella replica. Invito ad ascoltare con orecchio aperto (sospendendo le simpatie/antipatie) questo discorso perché le parole determinano e intrappolano il parlante. Impegnano la sua identità e reputazione, e possono rendergli più costoso il rientro. Una delle funzioni essenziali dell’impegno d’onore (o in questo caso dell’evocazione del retaggio) è proprio quella di aumentare la forza e posizione negoziale, legandosi le mani. Rendendo più costosa la ritirata.

Se lo scontro tra la Bundesbank, i politici ad essa più vicini, alcuni ambienti industriali particolarmente dediti alle esportazioni e finanziari, e le forze politiche ed economiche tedesche che spingono per un mutamento di passo (scontro in cui la Merkel non ha assunto sempre la stessa posizione) dovesse svolgersi in favore delle prime, comportando un irrigidimento e indisponibilità a fermare la distruzione delle capacità produttive ed economiche del sud, la guerra esploderà.
L’Unione Europea, come del resto ha detto/minacciato Renzi, non sopravvivrà in questa forma. Presumibilmente in quel caso il Presidente del Consiglio dovrà scegliere tra accettare la propria morte politica, sull’esempio di Hollande, o cambiare gioco. Al momento l’unico gioco alternativo sembra quello “inglese” (no Euro e confederazione sovranista “debole”).

Se si risolverà in favore delle forze che, in tutta Europa, spingono per un cambio di rotta radicale (e di paradigma economico, almeno implicito) potremmo vedere una nuova fase.


Non avendo, personalmente, nulla contro o a favore del Presidente del Consiglio, non posso che augurarmelo. Comunque vedremo tempi interessanti.

2 commenti:

  1. e ad una unione confederata con la gran Bretagna con moneta la sterlina? potremmo noi italiani , ovviamente diventando piu' corretti e virtuosi, sfruttarla in maniera intelligente?

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  2. Credo che una simile ipotesi sia lontana. Gli inglesi non mettono in comune la loro moneta. Piuttosto eventualmente si tornerebbe semplicemente alla lira ed alla Banca d'Italia indipendente (meglio se meno indipendente dalla politica economica nazionale). Ma direi che noi siamo i più virtuosi d'Europa e tra i primi del mondo, se esserlo significa spendere in beni e servizi meno di quel che si ricava dalle tasse. Abbiamo avuto un avanzo primario stimabile in 700 miliardi dall'inizio della moneta unica. http://scenarieconomici.it/grafico-del-giorno-saldo-primario-nei-27-paesi-ue-italia-e-germania-le-piu-virtuose/
    Si tratta di capitali che sono stati sostanzialmente trasferiti, a servizio del debito, dai lavoratori che pagano le tasse (e dalle imprese) ai percettori degli interessi sul debito. Cioè a posizioni classicamente chiamate "di rendita". In parte all'estero.
    La parte che si trasferisce in Italia modifica la distribuzione di ricchezza, quella all'estero impoverisce il paese. Non è sempre stato così.

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