Ho ascoltato il discorso
di Matteo Renzi all’avvio del semestre europeo a guida italiana. Per molti versi
un tipico discorso del leader che programmaticamente cerca sempre di parlare fuori
dell’aula, di uscire dalle vesti che considera logore del personale politico
per mettere quelle dell’outsider, del giovane (anche qui non ha mancato di
rimarcarlo) che rovescia la prospettiva.
Ciò che ha
cercato di rovesciare in questo
discorso (molto più rispettoso, sotto molti profili, di quello d’investitura
al Parlamento Italiano) è la struttura dell’ipnosi che sta intrappolando da
cinque anni il dibattito nel continente: la divisione manichea in
buoni/cattivi, incentrata sulla posizione finanziaria. Più precisamente sulla
posizione debitoria. Una divisione che fotografa con esattezza il punto di
vista dei creditori e che, storicamente, ha sempre portato a momenti di rottura,
anche violenti.
Può darsi che
discorsi come quello di qualche giorno fa avvicinino il momento della rottura. Perché
indisponibili a continuare a far finta che sia in questione un decimale di
scostamento, qualche punto di rapporto debito/pil. Pur nell’assoluta (e forse
non intenzionale, bensì subita, non si sa quanto programmaticamente) mancanza
di analisi espressa, il discorso ruotava intorno a questo punto e al rifiuto di
vedere questa questione come centrale.
Pur affermando,
in modo preventivo (e probabilmente debole), che l’Italia non chiede nuove
regole, Renzi ha nominato eroi e monumenti della tradizione del sud Europa
(Grecia e Italia) per rimarcare che siamo molto più di una disfunzionale
economia in crisi. Che l’Europa insieme (con il Regno Unito) per avere un
futuro deve tornare ad essere in movimento, una frontiera dello sviluppo umano.
In una frase
finale che condivido il Presidente del Consiglio ha detto che <non è la
moneta che abbiamo in tasca il nostro destino ma nel riscoprirci eredi>.
Cioè eredi della tradizione europea di tolleranza, umanesimo e democrazia.
Un popolo s’identifica
negli eroi e negli esempi che ha, che ha ascoltato sui banchi di scuola, che ha
visto nelle piazze, letto nelle strade, ascoltato e letto al cinema, alla
televisione, sui libri. Non si identifica nel saldo delle partire correnti, o
delle posizioni finanziarie nette.
Nella successiva
replica
al capogruppo del PPE tedesco che aveva accusato l’Italia di voler cambiare le
regole e allentare i vincoli, affermando che “la crescita deriva dalla
stabilità”, il Presidente del Consiglio ha segnato un’insolita aggressività
(che ha chiamato “franchezza”) almeno in due momenti: quando ha ricordato che la Germania ha violato per
prima le regole e quando ha richiamato lo scandalo del Fondo Salva Stati che è
intervenuto con soldi pubblici a salvare le banche tedesche e francesi che avevano
prestato imprudentemente a banche del sud (ma anche irlandesi) dedite ad
operazioni speculative e bolle creditizie.
In sintesi,
malgrado una certa leggerezza sia in termini di ricostruzione dei meccanismi
economici sia di focalizzazione generale, il discorso mi è sembrato di rottura.
Proprio in seguito ai sostanzialmente fallimentari colloqui dei giorni
precedenti, nei quali al massimo può aver strappato alla Merkel un generico
possibilismo su “golden rule” e conteggio dei fondi strutturali (misure da
qualche decina di miliardi, fragorosamente insufficienti da sole), l’avvio di
questa retorica può indicare la scelta di una strada dirimente. Cioè la
decisione di arrivare ad un chiarimento essenziale.
Il punto teorico
che Renzi non sembra (o allo stato non risulta) aver preso ancora è che moneta
e crescita sono endogene; non
dipendono dalle caratteristiche strutturali di un sistema economico, ma dalla
dinamica che si istituisce tra gli attori economici e sociali. E che questi
possono raggiungere assetti del tutto diversi (di sottoccupazione radicale e
distruzione di risorse e potenziali di crescita, come d’impiego delle risorse
produttive e di loro potenziamento) in funzione non già degli stock di
debito/credito, o delle posizioni competitive intese in modo statico, quanto
della mobilitazione reciproca. Questa può restare “intrappolata” da una lettura
tutta dal punto di vista del creditore, come quella del popolare tedesco, che
vede la crescita (propria) tutta legata al risparmio forzoso dei debitori al
fine di rientrare nelle posizioni. In realtà, e questi ultimi anni hanno
fornito abbondanti prove, ciò distrugge risorse umane ed economiche,
costringendo i sistemi ad assetti sempre più disfunzionali e distruttivi. Avvia
una spirale deflattiva autorafforzante.
Tuttavia qui c’è
una frontiera d’interesse, e una narrazione (anche identitaria e politica)
radicalmente divergente tra alcuni ambienti economico finanziari del nord
Europa e la gran parte (ormai) del sistema sociale ed economico dei paesi del
sud (cui si sta aggiungendo la
Francia ).
Questa frontiera
è stata affrontata nel discorso e ancora più nella replica. Invito ad ascoltare
con orecchio aperto (sospendendo le simpatie/antipatie) questo discorso perché le
parole determinano e intrappolano il parlante. Impegnano la sua identità e
reputazione, e possono rendergli più costoso il rientro. Una delle funzioni
essenziali dell’impegno d’onore (o in questo caso dell’evocazione del retaggio)
è proprio quella di aumentare la forza e posizione negoziale, legandosi le
mani. Rendendo più costosa la ritirata.
Se lo scontro
tra la Bundesbank ,
i politici ad essa più vicini, alcuni ambienti industriali particolarmente
dediti alle esportazioni e finanziari, e le forze politiche ed economiche
tedesche che spingono per un mutamento di passo (scontro in cui la Merkel non ha assunto
sempre la stessa posizione) dovesse svolgersi in favore delle prime,
comportando un irrigidimento e indisponibilità a fermare la distruzione delle
capacità produttive ed economiche del sud, la guerra esploderà.
L’Unione
Europea, come del resto ha detto/minacciato Renzi, non sopravvivrà in questa
forma. Presumibilmente in quel caso il Presidente del Consiglio dovrà scegliere
tra accettare la propria morte politica, sull’esempio di Hollande, o cambiare
gioco. Al momento l’unico gioco alternativo sembra quello “inglese” (no Euro e
confederazione sovranista “debole”).
Se si risolverà
in favore delle forze che, in tutta Europa, spingono per un cambio di rotta
radicale (e di paradigma economico, almeno implicito) potremmo vedere una nuova
fase.
Non avendo,
personalmente, nulla contro o a favore del Presidente del Consiglio, non posso
che augurarmelo. Comunque vedremo tempi interessanti.

e ad una unione confederata con la gran Bretagna con moneta la sterlina? potremmo noi italiani , ovviamente diventando piu' corretti e virtuosi, sfruttarla in maniera intelligente?
RispondiEliminaCredo che una simile ipotesi sia lontana. Gli inglesi non mettono in comune la loro moneta. Piuttosto eventualmente si tornerebbe semplicemente alla lira ed alla Banca d'Italia indipendente (meglio se meno indipendente dalla politica economica nazionale). Ma direi che noi siamo i più virtuosi d'Europa e tra i primi del mondo, se esserlo significa spendere in beni e servizi meno di quel che si ricava dalle tasse. Abbiamo avuto un avanzo primario stimabile in 700 miliardi dall'inizio della moneta unica. http://scenarieconomici.it/grafico-del-giorno-saldo-primario-nei-27-paesi-ue-italia-e-germania-le-piu-virtuose/
RispondiEliminaSi tratta di capitali che sono stati sostanzialmente trasferiti, a servizio del debito, dai lavoratori che pagano le tasse (e dalle imprese) ai percettori degli interessi sul debito. Cioè a posizioni classicamente chiamate "di rendita". In parte all'estero.
La parte che si trasferisce in Italia modifica la distribuzione di ricchezza, quella all'estero impoverisce il paese. Non è sempre stato così.