E’
stato presentato in Francia il nuovo
movimento di Djordje Kuzmanovic e degli altri fuoriusciti da France Insoumise perché in dissenso
dalla linea presa per le europee. Ovvero per l'aprirsi della frattura di cui
parla Michéa[1]
tra un approccio neo-socialista ed uno di “sinistra”, dove per il primo termine
sono rintracciabili, come vedremo, anche toni neo-giacobini in linea con la
tradizione delle forze popolari francesi e la loro storia che erano propri
della posizione presa da Mélenchon alle elezioni presidenziali e politiche e
poi in qualche misura abbandonati. Il movimento non intende presentarsi alle
imminenti elezioni europee.
A
novembre l’ex Consigliere per gli affari internazionali di France Insoumise si
dimise da ogni incarico e lasciò il movimento dopo la sua esclusione dalle
liste dei candidati alle elezioni europee. Questo era solo l’ultimo atto di
mesi di aspro confronto interno tra la linea volta alla difesa della sovranità nazionale
come strumento della lotta di classe, di Kuzmanovic, e le più tradizionali
linee volte all’intersezionalità delle lotte identitarie proprie delle sinistre
comunque raggruppate nel movimento e/o alleate dall’esterno. Ne avevamo parlato
in un post:
si è trattato di una divergenza sia di linea politica sia di modello
organizzativo[2].
La prima si era divaricata a partire dai toni sull’immigrazione e dalla difesa
dell’operazione compiuta in Germania da Sahra Wagenknecht, e dallo scontro
con un’altra importante esponente del movimento: la Autain.
Uno
dei punti nei quali il conflitto si è organizzato è la tendenza di Kuzmanovic e
del suo gruppo a considerare la questione economica, della distribuzione e
quindi della differenza di classe, come prioritaria e incorporante le altre. Gerarchia
tra le lotte che è rigettata dalle posizioni che vedono, in linea con la
prevalente opinione della sinistra post-riflusso, unica possibile agibilità nel
montaggio di focolai di lotta eterogenei, e reciprocamente non coerentizzati, preesistenti.
Ma è anche questione, probabilmente soprattutto, di insediamento sociale, prima
che di cultura politica. La proposta era di andare a recuperare un rapporto con
le classi popolari, e le periferie, ricostruendo un’agenda sensibile alle loro
priorità.
Nel
contesto della mobilitazione, che si trasforma ma non cessa, dei “gilet gialli”,
che è movimento della Francia periferica e delle classi medie indebolite e
parla delle sensibilità che Kuzmanovic cercava di risensibilizzare, la rottura
con quei temi è particolarmente rilevante.
La
tesi era di tentare di lavorare ad un’aggregazione molto più ampia, contendendo
lo spazio alle destre populiste di Le Pen, ma ben al di là della sinistra. Un’aggregazione
sul modello del “Consiglio Nazionale della
Resistenza”, ovvero il movimento organizzato da Charles De Gaulle per
opporsi alla occupazione nazista (un riferimento, come si vede, forte).
Vediamo, però, alcuni punti del programma:
1-
La
sovranità come mezzo. Il “Movimento della Repubblica Sovrana” ha
come obiettivo quello di dare alla Francia la
capacità ed i mezzi per attuare le politiche che sceglierà; la sovranità si
deve affermare quindi nei confronti delle minacce esterne (i trattati
transnazionali o le istanze “senza legittimità democratica”) ed interne (gli
interessi particolari, “economici o comunitari”). La sovranità, continua, “non
è né un obiettivo in sé né un feticcio, ma la condizione essenziale per dare
vita a un programma sociale, democratico, laico, ecologico e repubblicano”.
L'indipendenza è finalizzata a rendere possibili le politiche sociali per
ridurre le disuguaglianze, per dare una vita decente a tutti quelli che
lavorano, per frenare la disoccupazione e ripristinare l'autorità repubblicana.
Le misure nel campo della salute, del diritto del lavoro, della politica
industriale o della protezione sociale possono infatti essere realizzate solo
se la Francia diventa di nuovo uno Stato Sovrano. All'interno dell’Unione
Europea un programma che contenga le medesime cose “è solo un pio desiderio, se
non una menzogna”. La sovranità è anche un prerequisito per politiche
necessarie in settori come la sicurezza, l'immigrazione, l'integrazione, il
secolarismo o l'educazione. Anche ecologia e pianificazione hanno bisogno del
prerequisito della sovranità. L'ecologia è, in particolare, la prima priorità
nazionale assoluta. La pianificazione deve abbracciare tutte le aree, “ogni
parte del programma deve essere valutata in relazione all'altra, da cui dipende
e che rende possibile”.
2-
L’Unione Europea come camicia
di forza.
Si tratta di un quadro non democratico e irriformabile che va sostituito con “un
progetto di collaborazione interstatale alternativo”. Per liberarsi di questa
condizione bisogna denunciare il Trattato
di Lisbona, introdurre misure prudenziali e protettive dai flussi di
capitale, affermare la superiorità della Costituzione Francese su quella
Europea, far cessare l’indipendenza della Banca di Francia, organizzare un referendum
sul Trattato di Maastricht con
proposta di lasciarlo, avviare da ultimo negoziati con gli altri Stati per negoziare
un nuovo Trattato tra paesi simili, rispettando l’autonomia nazionale di
ciascuno, creando la libera circolazione di uomini e merci ma non di capitale
finanziario.
3-
Altri punti di forza:
Qualche mese fa, dallo scontro tra Kuzmanovic e Autain
era parso di vedere la divergenza tra:
·
da una parte chi tenta di guardare ai ceti
popolari, la cui riconquista anche parziale, nelle attuali condizioni di
disastro sociale sbarrerebbe la strada alla continua crescita della destra
populista ed insieme riaprirebbe la partita del potere che oggi giocano solo
altri. Al contempo un discorso pratico, con un obiettivo concreto pur se
difficile di avanzamento in terreni oggi abbandonati e che rischia di andare al
punto, anche al prezzo di allargare il discorso e di rischiare qualche
passaggio difficile.
·
Dall’altra chi non vede altra alternativa
che continuare a cercare di tenere insieme il residuo di constituency degli
anni novanta-zero (pensionati, ceto impiegatizio garantito, donne, immigrati,
minoranze culturali), oggi sconcertato e in ritirata, proponendo ancora una
volta un discorso identitario fondato sulla rassicurazione ed i buoni
sentimenti. E fondato sulle lotte e le mobilitazioni presenti, su femminismo,
diritti civili, ambientalismo.
Questa impressione è rafforzata dall’analisi di un programma
nel quale solo l’ambientalismo è valorizzato come lotta sistemica da perseguire;
ed in cui tutte le altre attenzioni centrali delle sinistre radicali, l’anti-razzismo,
il femminismo, le lotte LGBT, non sono enfatizzare.
E’ evidente che il movimento cerca di parlare ad altri.
Bisognerà vedere se riesce a farsi ascoltare.
[1] - Jean-Claude Michéa, “I
misteri della sinistra. Dall’ideale illuminista al trionfo del capitalismo
assoluto”. La tesi di
Michéa è molto semplice e facile da concedere: il socialismo non è il liberalesimo. Cioè storicamente il termine “sinistra”, nella Francia di
cui parla, intendeva il liberalismo radicale di provenienza rivoluzionaria, più
o meno passato al setaccio dei movimenti ('20, '30, '48) dell'ottocento. Da un
certo punto in poi, ben dopo Marx, liberalesimo più o meno radicale e
socialismo diventano alleati contro nemici comuni (la reazione ed il
tradizionalismo), in sostanza dall'epoca dello “affaire Dreyfus”, ma non
coincidono mai. Occorre anche considerare che la destra, contro la
quale si saldò l’alleanza tra liberali e socialisti, è oggi cambiata. Nel primo
ottocento e poi via via in modo sempre più residuale, essa era organizzata
dalla difesa delle strutture semifeudali dell’antico regime, ma da allora si è
vestita di altre vesti. Possono ad una prima impressione sembrare quelle degli
“alleati”, di qui la confusione in chi viene dalla tradizione socialista: essa
si affida oggi al mito del progresso, rappresentato
dalla crescita economica illimitata e auto programmata, alle pratiche proprie
delle forme più rapaci di individualismo.
[2] - Per questo secondo aspetto
segnalo questo intervento di Lenny Benbara “La
France Insoumise, dal partito al movimento”.
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