Alcune
settimane fa, il 19 novembre, avevo provato una riflessione a caldo[1] sul fenomeno delle Sardine
del quale veniva riconosciuto il carattere politico, in quanto orientato ad un
nemico. Quando si sceglie di attribuire ad un movimento il carattere politico
per il fatto, capitale, che individua un “nemico” giova in genere riferirsi al
capitale articolo di Carl Schmitt del 1932[2]. In esso l’autore cerca
una specificità del “politico” che sia distinta dall’azione come dal pensiero.
Ovvero da ciò che si lascia decidere in base all’essere utile o dannoso
(ovvero nel campo dell’economico), buono o cattivo (nel campo
della morale), bello o brutto (dell’estetica). È una distinzione eminentemente
‘politica’, dunque, quella che non afferma la cattiveria, la bruttezza o la
dannosità, ma designa gli amici (freund) e i nemici (feind). Una
distinzione, meramente concettuale, che si fonda su un “criterio, [ovvero] non
una definizione esaustiva o una spiegazione di contenuto”, che ha a che fare con
ciò che appartiene, ciò che unisce, non necessariamente con ciò che si
distingue per il grado dell’utile, bontà o bellezza. Un concetto questo che è
catturato da frasi come “è un bastardo, ma è il nostro bastardo”, detto,
ad esempio di un dittatore sudamericano (frase attribuita al Presidente
Roosevelt e riferita a Somoza)[3].
Coglie
questo punto Moreno Pasquinelli in un articolo dal titolo espressivo “Sardine:
tra Kant e Schmitt”[4], su Sollevazione. Il
movimento è letto come interprete di una vasta area che unisce un sentimento
progressista di ispirazione globalista (anche designato come “neoliberismo
progressista”[5])
e un sottostante, e sotto alcuni profili contrastante, umanitarismo di marca
cattolica. Materiali eterogenei ma sedimentati, che sono coaugulati da una inimicizia.
Quindi una estraneità, quella verso il plebeismo ostentato di Salvini.
La
retorica, enormemente potenziata dalla massiva sovresposizione mediatica di
questi mesi, ha battuto su valori forti, declinabili facilmente sul sottofondo
liberale come su quello cattolico, antecedenti: tolleranza, pazienza, morbida
dolcezza, bassotono, pacificazione sorridente, gaia spensieratezza. Posture,
prima ancora che valori, che identificano immediatamente, fisiognomicamente, un
parente, un essere parente tra chi non soffre la vita. Chi ha, in fondo, l’orizzonte
aperto e non vive nel pozzo[6].
Moreno
identifica qui la mossa delle Sardine bolognesi (questa distinzione tra poco
troverà senso). L’aggregazione, che produce un non irrilevante effetto nelle
elezioni romagnole, dei “parenti” avviene contro un “hostis” pubblico, Salvini.
Ma non tanto, io credo, perché egli sarebbe il “male”, (certo lo è, come è brutto
e come è dannoso), quanto perché è ‘straniero’. Per così dire egli potrebbe
anche essere, paradossalmente, onesto, leale, ma resterebbe sempre l’altro[7].
Torneremo
sulle lezioni che ne trae, ma intanto restiamo qui. La mossa “politica” è
potente, chiama a raccolta e fa popolo, ovviamente nel farlo fa anche guerra
(civile). Chiama a raccogliersi come ‘parenti’, esattamente, tutti coloro che
sono giusti, sanno ben vivere, pacifici, sereni, e quindi si sentono tolleranti,
superiori, morali, in genere spensierati. Guardano con fastidio misto a timore,
gli ansiosi, i rozzi, ineleganti, i felposi, urlanti, certo immorali,
ovviamente inferiori, abitanti delle tante periferie del paese. Raccogliersi,
mano nella mano, coloro i quali, del resto, in questi anni lentamente,
inesorabilmente, ma anche ovviamente, pacificamente, si sono separati, hanno
imparato a vivere tra simili, sono fuggiti dai sobborghi, hanno popolato i
quartieri bene[8].
La chiamata tra ‘parenti’ si declina, insomma, sotto specifici caratteri di
classe[9].
Sotto
questo profilo dunque, ha ragione Moreno, la mobilitazione delle sardine è “politica”.
Sotto questo profilo è una mobilitazione del nemico[10].
Lo
rende particolarmente evidente l’incontro con i Benetton di qualche giorno fa. Ma
certo non lo determina. Tuttavia è sufficiente per creare fratture nel campo del
nemico: infatti alcune ore fa il portavoce delle sardine romane, Stephen
Ogongo ha defezionato. In un post reso noto intono alle otto di sera sul gruppo
“Sardine di Roma”[11], hanno scritto:
“Sardine
di Roma, da oggi in autonomia. Incontro con i Benetton solo l'ultimo degli
errori dei fondatori bolognesi
L'incontro
che i fondatori delle Sardine hanno avuto con Luciano Benetton è stato
sbagliato, inopportuno. Un errore politico ingiustificabile, ma solo l'ultimo
degli errori che Mattia Santori, Roberto Morotti, Giulia Trappoloni e Andrea
Garreffa hanno commesso nelle ultime settimane.
Da
questo momento le Sardine di Roma non fanno più riferimento ai 4 fondatori di
Bologna né alla struttura che stanno creando. Le Sardine di Roma ripartono da
quei valori che hanno fatto della manifestazione di Piazza San Giovanni la più
grande e la più partecipata delle sardine: uguaglianza, libertà, giustizia
sociale. Affiancarsi agli squali, o diventare come loro, non ci rafforza ma ci
indebolisce, ci rende prede inconsapevoli.
La
pubblicazione della foto scattata a Fabrica, “centro di formazione per giovani
comunicatori", ha giustamente scatenato una polemica all’interno e
all’esterno del movimento delle Sardine. È un fatto noto che la famiglia
Benetton è la maggior azionista di Atlantia e della società infrastrutturale
Autostrade per l'Italia, tuttora compromessa con il tragico crollo del Ponte
Morandi di agosto 2018 che ha causato la morte di 43 persone.
Chi
lotta per la giustizia sociale e per un nuovo modo di fare politica non può
dimenticare il grido di dolore delle famiglie delle vittime di Genova. Per chi
ha creduto nei valori espressi nelle piazze delle Sardine è stata una delusione
enorme che ha minato gravemente l’integrità e la credibilità del movimento.
Ciò
che rende tutto sospetto è la tempistica di questo incontro, che avviene
proprio nel momento in cui si è riaperta la trattativa per la concessione di
Autostrade per l’Italia. Se non ci fosse niente da nascondere, perché non hanno
reso pubblica la loro visita a Fabrica prima? Perché non hanno pubblicato loro
stessi la foto dopo l’evento?
L'aspetto
più grave di questa vicenda è stato l'aver assistito a diversi tentativi di
limitare la discussione all’interno dei gruppi Facebook delle Sardine
addirittura attraverso la censura di determinate parole e la cancellazione di
diversi commenti e post critici.
Questo
è un comportamento pericoloso che limita la libertà di espressione. E non è la
prima volta che accade. Sempre più nelle scorse settimane abbiamo assistito a
un controllo "dall'alto" delle comunicazioni tra noi e verso
l'esterno teso ad assicurarsi che i 4 leader fondatori del movimento siano
sempre messi in buona luce, anche a discapito di altri.
Anche
l'organizzazione delle Sardine sui diversi territori e città ne ha risentito,
con l'allontanamento volontario e forzato di soggetti che non condividevano più
il modo di evolversi del movimento. Un comportamento che non giova né al
movimento né al Paese che vogliamo migliorare.
Segnali
preoccupanti sintomo di una situazione che ha passato il segno e a cui serve
rimediare in fretta.
Per
questo, credo sia giunto il momento di ritornare alle origini del movimento
delle Sardine, che era ed è un fenomeno spontaneo, aperto a tutti quelli che
vogliono auto organizzarsi senza controlli e regole imposte dall’alto. Le
Sardine di Roma tornano in mare aperto: la nostra forza sarà la comunità,
l’essere in tanti e il saper stare insieme”.
Si
era detto all’inizio che i due sottofondi, conflittuali, valoriali sono quello
liberale e quello umanista (cattolico). Il testo segna lo spostamento.
Vicino
alla “libertà”, compare la chiamata della “uguaglianza” e, a maggiore
esplicitazione di senso, la “giustizia sociale”. Il capitalismo predatorio dei
Benetton è riportato, con metafora ittica di contrasto, alla figura dello
squalo.
Segue
una brutale presa di distanza, senza sconti e senza rimedio, nella quale ai
quattro “fondatori”[12] sono rimproverate
doppiezza, manovre nascoste, antidemocraticità nella gestione della
discussione, censura, purghe ed allontamenti. Ed, infine, il sempiterno mantra
di tutti i “movimenti antisistemici” di questa epoca post-ideologica (o
iper-ideologica[13]):
tornare alle origini, ad un fenomeno che è stato “spontaneo” e “aperto a tutti
quelli che vogliono auto-organizzarsi senza controlli e regole imposte dall’alto”.
Il
pedaggio si deve sempre pagare.
La
chiusa anti-liberale cade alla fine: “la nostra forza sarà la comunità,
l’essere in tanti e il saper stare insieme”.
Bene.
La
lezione è triplice:
a) Non
c’è politica senza identificazione del nemico (ma occorre anche
riconoscere i suoi travestimenti);
b) Si
definisce la propria identità politica anzitutto indicando il nemico principale
(ma bisogna anche farlo nel “momento favorevole”[14]);
c) Si
crea la forza costruendo la comunità non in base al mero interesse
(non di solo pane vive l’uomo).
[2] - Carl Schmitt “Il concetto di politico”, del 1932, un
anno non certo irrilevante. Anzi, un anno cruciale, nel 1930 Heinrich Brüning era stato nominato Cancelliere
ed aveva avviato una drastica politica deflattiva (anche in reazione
all’inflazione che fino a qualche anno prima era servita a distruggere i debiti
di guerra, ma aveva di fatto espropriato la piccola e media borghesia di tutti
i suoi risparmi), a seguito del blocco della politica nel Reichstag il 14
settembre 1930 erano state chiamate nuove elezioni che avevano visto
l’avanzamento del Partito Nazionalsocialista Tedesco dei
Lavoratori, che arrivò al 18,3% dei voti, quintuplicandoli in due soli anni. Da
quell’anno, senza un possibile governo, la Repubblica di Weimar scivola nella guerra civile. Quindi dal 1930 al 1933, il Cancelliere
governa senza maggioranza a forza di Decreti Presidenziali di emergenza. Sulla
base di una radicale teoria dell’austerità, nel mezzo della grande depressione
causata dalle conseguenze del crollo del ’29, il Cancelliere ridurrà
drasticamente le spese pubbliche e licenzierà milioni di impiegati pubblici,
riducendo anche le protezioni per la disoccupazione. Sul finire del’32
inizierà, è vero, una timida ripresa ma troppo tardi, ormai il governo non ha
il sostegno di nessuno e quasi tutti chiedono una svolta radicale. L’anno
successivo ci sarà l’avvento al potere di Adolf Hitler.
[3] - La distinzione tra amico e
nemico indica, “l’estremo grado di intensità di un’unione o una separazione, di
una associazione o una dissociazione; essa può sussistere teoricamente e
praticamente senza che, nello stesso tempo, debbano venire impiegate tutte le
altre distinzioni morali, estetiche, economiche o di altro tipo. Non v’è
bisogno che il nemico politico sia moralmente cattivo, o esteticamente brutto,
egli non deve necessariamente presentarsi come concorrente economico e forse
può anche apparire vantaggioso concludere affari con lui. Egli è semplicemente l’altro,
lo straniero (der fremde) e basta alla sua essenza che egli sia
esistenzialmente, in un senso particolarmente intensivo, qualcosa d’altro e
di straniero, per modo che, nel caso estremo, siano possibili con lui
conflitti che non possano venir decisi né attraverso un sistema di norme
prestabilite né mediante l’intervento di un terzo ‘disimpegnato’ e perciò
‘imparziale’” (Le categorie del politico, p.109). E’
importante anche considerare che il “nemico” non è l’avversario, non è il
concorrente, ma un insieme che combatte e si contrappone ad un altro insieme, è
sempre pubblico. Egli è l’hostis e non l’inimicus.
[4] - Moreno Pasquinelli,
“Sardine:
tra Kant e Schmitt”.
[5] - Si veda, Nancy
Fraser, “Contro
il neoliberismo progressista”.
[7] - In realtà la
designazione dell’altro, dello straniero, è un addensatore di caratteri
negativi, disvaloriali, per cui a Salvini, in modo non dissimile dalla sua
identificazione dei nemici negli ‘esterni’, non è riconosciuta alcuna virtù. Egli
è il cattivo, lo stupido, il brutto, il disutile e distruttivo.
[8] - Il fenomeno è
descritto da una ormai vastissima letteratura, da Harvey a Sennett, da Giulluy
a Sassen.
[9] - E’ un tentativo
di chiamare una classe “per sé”, ovvero una autoidentificazione come simili,
nell’elevatissima frammentazione lavoristica, identitaria, insediativa,
contemporanea, costituita non necessariamente dagli abbienti, o non solo, ma da
tutti coloro che sentono di avere ancora, o di poter avere in un futuro
prevedibile e non fantasmatico, controllo della propria esistenza. Di essere in
grado di fare, determinare, il proprio valore. E che, per questo, sentono di potersi
elevare, distinguere. Non è tutta borghesia, ma è l’area che gravita,
credibilmente, su di essa. Non è una classe “in sé”, anzi probabilmente in sé,
rispetto ai mezzi di produzione, è quasi altrettanto eterogena del campo
avverso, ma, figlia dell’epoca “post-materialista”, subisce l’egemonia dall’alto
della borghesia medio-alta.
[10] - Questa era la
chiusa, dopo una descrizione volta a giustificarla, dell’articolo di
novembre, cui rimando.
[11] - Si veda “Sardine
di Roma da oggi in autonomia”.
[12] - Che,
ovviamente, sono solo i portavoce degli autentici fondatori, o mandanti
politici.
[13] - Non c’è
maggiore ideologia di quella che appare come natura.
[14] - Se è vero che
può essere opportuno negoziare e finanche allearsi con forze ostili, se serve a
neutralizzare di volta in volta quella più pericolosa, è anche vero che va
fatto al tempo giusto. “Nemico principale” e “momento favorevole” si
guardano negli occhi.
Ottimo articolo che ben sintetizza il mio, tra i tanti, fastidio per questi tipetti strani.
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