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giovedì 25 giugno 2020

Mondragone, il buco della serratura.





43 positivi su 727 tamponi effettuati a tappeto su una piccolissima enclave di immigrati bulgari, in parte stagionali arrivati per la campagna di raccolta, nella cittadina di Mondragone nella difficile provincia di Caserta, in Campania. Mondragone è una cittadina di ventinovemila residenti, di cui tremilacinquecento di cittadinanza non italiana, in un’area di cinquantacinque chilometri quadrati in un territorio ad altissima vocazione agricola e particolarmente impegnata nella filiera di trasformazione bufalina. Uno dei centri della mozzarella campana.



Il comune è posto tra Castel Volturno e Cellole, vicino a luoghi di altissima concentrazione di immigrati come Cancello e Arnone e Villa Literno. Dodici anni fa, il 18 settembre 2008, nel vicino Castel Volturno una missione di morte del clan dei casalesi, diretta contro un pregiudicato locale, coinvolse sei cittadini di origine africana originari del Ghana, del Togo e della Liberia. A quanto risulta dalla indagine non coinvolti nella mafia nigeriana, attiva nell’area. Il giorno successivo ci fu una rivolta della comunità immigrata rivolta sia contro la camorra, sia contro le forze dell’ordine che non li aveva protetti (anche se il bliz, in due tempi, durò pochi secondi). Del resto un mese prima una squadra di morte aveva sparato contro la sede dell’Associazione Nigeriana Campana, fortunatamente senza fare morti.
I comuni dell’area non di rado vedono una presenza di immigrati che supera quella dei cittadini di nascita italiana (a Castel Volturno si contano tredicimila immigrati, pari al 60% della popolazione totale), in comuni nei quali la maggioranza della popolazione è impiegata nel terziario e che sono stati oggetto di importanti flussi di immigrazione, per lo più clandestina, sia dai paesi africani sia, in seguito, di immigrazione comunitaria da Romania, Albania, Polonia, o extracomunitaria dall’Ucraina. La meccanica è stata più o meno quella classica, il primo flusso ha insediato delle piccole comunità chiuse e difensive che poi si sono allargate, su linee di omogeneità etnica e culturale, con i congiungimenti. A Mondragone la comunità più ampia è quella bulgara, con circa ottocento residenti, seguita da quella ucraina e romena, di poco inferiori. Le altre provenienze sono nell’ordine polacca, circa trecento unità, ghanesi, tunisini e indiani. Quindi i cittadini dell’est, o comunque europei ma senza cittadinanza italiana, sono oltre duemila, mentre gli africani residenti circa mille, gli asiatici trecento.

Questo è il contesto nel quale pochi giorni fa la scoperta di un focolaio concentrato in alcune palazzine interamente occupate, peraltro abusivamente, da immigrati bulgari ha portato alla decretazione di quarantena da parte della regione Campania. È seguita una crescente tensione, evidentemente poggiante su un sottofondo di reciproca insofferenza, tra alcuni residenti italiani e la popolazione posta in quarantena.
Ieri un folto gruppo di residenti italiani hanno assaltato le palazzine abitate dai bulgari (ma anche da altri) e distrutto alcune macchine sotto gli stessi, all’azione della polizia, prontamente intervenuta, ci sono stati scontri sia con i residenti come con i cittadini bulgari. E’ arrivato l’esercito a pattugliare l’area. Il presidente De Luca ha promesso un attento screening dei lavoratori stagionali nei campi tra luglio ed agosto. Meglio tardi che mai.

Certo la tensione cresce anche per cause politiche, dato che si avvicinano le elezioni regionali ed esponenti del centrodestra colgono l’occasione, come peraltro De Luca, nel presentarsi come protettori della “nostra” comunità. Tuttavia, la radice della tensione nasce dall’incapacità del nostro sistema sociale, prima ancora che economico, di garantire una vita dignitosa nel lavoro e luoghi consoni e non degradati nei quali vivere. Non nasce dagli immigrati ma da chi li sfrutta selvaggiamente e ne vuole sempre più, sempre più deboli, sempre più affollati e disperati. Lo fa freddamente, semplicemente, banalmente, per pagare meno un’ora di lavoro. Per poter produrre una mozzarella ad un prezzo inferiore di quello salernitano, per fornire i pomodori alle nostre tavole a pochi centesimi, per noi.
Gli immigrati, come i cittadini ai quali loro fanno effettivamente concorrenza, sono utensili, sono solo strumenti viventi nella grande macchina produttiva interconnessa ed estesa all’intero pianeta che pretende ogni singolo giorno che la rincorsa verso il basso continui. La meccanica è di assoluta semplicità, totalmente razionale, glacialmente necessaria: se tutto si muove e si interconnette ognuno si deve adattare al punto di minore valore. Le merci, come i servizi, sono il condensato del lavoro che è stato necessario per produrle come tali; quando un oggetto qualsiasi (ma anche una prestazione misurabile e registrabile) diventa merce, ovvero viene scambiato, quel che è messo a confronto è l’intera immensa panopilia degli scambi. Il luogo dove queste riescono ad essere prodotte al minor valore, dei fattori di produzione consumati, spinge verso il basso tutti gli altri che entrano in contatto. Ciò fino a che la merce è pura ed il mercato è completamente privo di vincoli.

Quando il principio di ordinamento sociale è la concorrenza, e domina il massimo sfruttamento del lavoro di chiunque, gli interessi di alcuni prevalgono sempre su quelli collettivi (per cui, ad esempio, diventa possibile che durante il lock down continui indisturbata l’azione dei caporali intenti a portare sovraffollati pullman di immigrati comunitari e non dalle palazzine ai campi). Allora è comprensibile che avvengano sia i comportamenti difensivi, proto-comunitari, di entrambi, sia che trovi sbocco la paura e l’insofferenza.



In realtà Mondragone è in qualche modo un luogo tranquillo, nella tormentata piana casertana, e il caso delle palazzine “ex-Cirio” è estremo (quasi settecento residenti abusivi in poche palazzine di undici piani), ma è un caso esemplare dell’intreccio delle tensioni di classe nella periferia. Mondragone è il comune italiano con il record di domande per il reddito di cittadinanza, è il comune più povero dell’intera area con dodicimila euro medi per dichiaranti (quattordicimila su ventinovemila) e solo seimilacinquecento pro capite, includendo anche i non dichiaranti. Tra i poveri, come ovvio, i bulgari sono i più poveri. Per lo più lavorano a giornata e durante il lock down, malgrado qualche aiuto dal comune, se non lavorano non mangiano.

Non è dunque colpa loro.
E’ colpa nostra.

La selvaggia società che li ha attratti, li costringe a vivere accampati in centinaia in spazi ristretti, ne sfrutta il lavoro e lo utilizza anche per ridurre la forza contrattuale di tutti, è quella che noi non siamo stati capaci di impedire. È il dominio totale del mercato che non siamo stati capaci di contrastare.



Né è colpa dei cittadini di Mondragone, poveri tra i poveri, e sfruttati tra gli sfruttati, che reagiscono sbagliando bersaglio a quella che capiscono correttamente come un’ingiustizia. L’ingiustizia di una selvaggia concorrenza che attira sempre più disperati per sfruttarne il dolore e la paura.
Qui, nella bassa piana casertana, tutte le contraddizioni giungono a forma. Il capitalismo selvaggio ed un poco straccione, ma non per questo meno feroce, si intreccia alla crisi ambientale più aspra, non disdegna di scendere a patti con la più violenta criminalità, usandola e venendone usato, prospera spingendo in basso l’intera struttura dei redditi, usando a tal fine popolazioni che accettano pochissimo. Spreme ogni goccia di sangue.
Non ci sono ricchi a Mondragone, o almeno non restano qui, e nella metà della popolazione che vive di terziario ben poca potrebbe essere annoverata come “classe media”, se la dizione avesse un senso. I più vivono, giorno per giorno, del proprio lavoro ed onestamente. Non dispongono della forza per imporsi, e sono costretti ad accettare quel poco, e sempre meno, che il “mercato” gli dà. Ad accettare il valore che al loro lavoro è attribuito. Ad accettare, insomma, che la crescente concorrenza, effetto della disoccupazione e della scarsità di offerte adeguate, abbassi sempre più, giorno per giorno, quel che possono chiedere alla vita.

Se proviamo a tracciare un reticolo di linee di frattura, tra ricchi e poveri, tra mobili e stanziali, centrali e periferici, vediamo che gli abitanti che hanno protestato contro i cittadini comunitari immigrati sono gli svantaggiati in ognuna. Non controllano davvero la propria vita, non sanno imporre un valore al proprio lavoro, abbandonati da tutti nelle mani della concorrenza. Vivono in un’area debole, se pur ancora in qualche modo dignitosa (rispetto alle aree vicine), lontana da tutto, dai centri dinamici della regione, dalle principali linee di spostamento, dai centri industriali. Sono deprivati delle fonti di potere individuale e di gruppo. Catturati dalla nascita in un paese che è sospinto alla periferia d’Europa, in una regione resa periferica da secoli, in una provincia periferica nella regione ed in un’area periferica nella provincia. Sono in periferia, in campagna, isolati.
Reagiscono collettivamente su chi è ancora più povero di loro.

E’ ovviamente un tragico errore.

Ma è colpa nostra.



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