Il
rapporto
La
notissima società di consulenza internazionale McKinsey & Company, la cui
capacità di influenza è più spesso sopravvalutata che sottovalutata, nel
gennaio 2022 ha emesso un corposo rapporto sulla transizione ecologica a
livello mondiale che enfatizza notevolmente la portata della trasformazione e
dei relativi investimenti. Chiaramente non bisogna mai dimenticare che la
società guadagna dalle consulenze strategiche dei grandi gruppi multinazionali
(ed in misura minore dai governi), per cui la drammatizzazione della
transizione è nella stessa direzione del suo interesse. Difficilmente ci si
impegna nel richiedere consulenze milionarie se si pensa che nulla stia
cambiando.
Ma
il rapporto è comunque impressionante. Sotto il titolo “The net-zero
transition”[1],
che a sua volta usa come base lo studio “NGFS Climate Scenarios”[2] del Network for Greening
the Financial System, emesso nel giugno 2021, è ipotizzato che per mantenere il
clima entro i limiti negoziati a Parigi[3] siano necessari ormai
investimenti di un ordine di grandezza che dalla II Guerra Mondiale non si
erano mai visti. Di fatto raggiungere l’obiettivo “net-zero” (emissioni nette
nulle) in tempo per non superare in una misura eccedente gli uno virgola cinque
gradi il livello della temperatura media del pianeta pre industriale
comporterebbe secondo lo studio, esteso a poco meno di settanta paesi, una
trasformazione fondamentale dell’intera economia mondiale. Imporrebbe
drastici cambiamenti alla produzione dell’energia, all’industria, alla
mobilità, l’agricoltura e silvicoltura, l’edilizia ed i rifiuti. Definire, di
zona in zona, il mix appropriato di tecnologie da applicare, individuare e
risolvere inevitabili colli di bottiglia, superare vincoli fisici, livelli di
spesa, modulare l’impatto su lavoratori, consumatori ed imprese.
Entità
degli investimenti globali
Le
stime correnti ipotizzano necessità di investimento globale nell’ordine di
3.000/4.500 miliardi di dollari all’anno, quelle della società americana le
superano abbondantemente. Si parla qui di quasi 10.000 miliardi all’anno,
complessivamente in trenta anni (dal 2021 al 2050) una spesa cumulata di circa
275.000 miliardi di dollari. Difficile rendersi conto dell’enormità di questa
cifra, 9,5 trilioni di dollari corrispondono ai profitti aziendali globali (li
superano), la metà ed oltre delle entrate fiscali totali, il 15% della spesa
familiare globale. Qualcosa come il 9% del PIL del mondo intero.
Dal
grafico si può vedere che il livello 2020 di investimenti globali è nell’ordine
di 6.000 miliardi, di cui 2.000 per la mobilità, poco meno di 1.000 per la
transizione energetica, poco più per l’edilizia, e quasi 1.000 miliardi per le
energie fossili, il resto soprattutto agricoltura. Quindi al momento fossili
e rinnovabili ricevono circa la stessa dotazione di investimenti.
Nel
primo quinquennio cresceranno gli investimenti in mobilità (in questa
dimensione lo scenario “politiche correnti” a destra e quello “net-zero” a
sinistra non sono molto diversi), e del 30% quelli nelle rinnovabili (qui con
un netto incremento tra i due scenari), mentre calerà leggermente quello nelle
fossili. Nel secondo ci sarà un’autentica esplosione della spesa per
rinnovabili (che nello scenario ‘net-zero’ sale a 2.000 miliardi) con una
significativa crescita della spesa per mobilità (da 2.500 a 3.000 miliardi) e
del settore edilizio (che supererà i 1.000 miliardi), inizierà la contrazione
della spesa per fossili e comincerà a crescere quella per l’idrogeno.
Nel
primo quinquennio degli anni trenta la spesa per mobilità continuerà a crescere
progressivamente, mentre quella da rinnovabili confermerà il livello del
quinquennio precedente, come l’edilizia, calerà ancora l’investimento da
fossili. Nel secondo calerà l’investimento in rinnovabili (che si stabilizzerà
intorno ai 1.500 miliardi all’anno) e continuerà a calare quello da fossili.
Negli
anni quaranta ci sarà una leggera contrazione del livello complessivo di spesa
che, ormai, sarà quasi per metà affidato alla mobilità, ed il resto rinnovabili
e adeguamento dell’edilizia, oltre che agricoltura.
“Net-zero”,
definizione
Un
chiarimento sul termine “net-zero”, si tratta dell’ipotesi di
raggiungere complessivamente, tra generazione di energia, industria, edilizia,
mobilità e agricoltura, tenendo conto di crescenti capacità di estrazione e
stoccaggio della CO2 dalle emissioni, un saldo nullo di emissioni
globali. In altre parole, che al 2050 le emissioni da generazione di energia siano
nulle, quelle dall’edilizia molto ridotte, dalla mobilità ridotta di almeno un
terzo, dall’industria di quattro quinti e dall’agricoltura azzerata. Le emissioni
residue (sostanzialmente industria e mobilità) siano compensate completamente dalla
cattura della CO2.
Quadro
delle politiche italiane ed europee
Leggeremo
sistematicamente il rapporto della McKinsey, ma prima conviene fare cenno ad
alcune delle politiche e strumenti europei ed italiani che vanno nella
direzione della gestione della transizione climatica, al fine di situare meglio
le stime e le informazioni in esso contenute.
Per
fare ciò analizzeremo rapidamente il “Pniec”, la “Strategia di lungo termine” e
il “Pnrr” italiani.
Il
“Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima” per il 2030 italiano[4], emesso nel 2020, prevede
la riduzione delle emissioni nel settore della grande industria del 56 per cento,
del settore terziario e trasporti del 35 per centro ed un obiettivo delle
rinnovabili al 30 per cento. Si sviluppa su cinque linee di intervento:
decarbonizzazione, efficienza, sicurezza energetica, sviluppo del mercato
interno dell’energia, ricerca e competitività.
Gli
obiettivi generali sono: accelerare il percorso di decarbonizzazione,
considerando il 2030 come una tappa intermedia verso una decarbonizzazione
profonda del settore energetico entro il 2050 e integrando la variabile
ambiente nelle altre politiche pubbliche; mettere il cittadino e le imprese (in
particolare piccole e medie) al centro, in modo che siano protagonisti e
beneficiari della trasformazione energetica e non solo soggetti finanziatori
delle politiche attive; ciò significa promozione dell’autoconsumo e delle
comunità dell’energia rinnovabile, ma anche massima regolazione e massima
trasparenza del segmento della vendita, in modo che il consumatore possa trarre
benefici da un mercato concorrenziale; favorire l’evoluzione del sistema
energetico, in particolare nel settore elettrico, da un assetto centralizzato a
uno distribuito basato prevalentemente sulle fonti rinnovabili; adottare
misure che migliorino la capacità delle stesse rinnovabili di contribuire alla
sicurezza e, allo stesso tempo, favorire assetti, infrastrutture e regole di
mercato che, a loro volta contribuiscano all’integrazione delle rinnovabili; continuare
a garantire adeguati approvvigionamenti delle fonti convenzionali, perseguendo
la sicurezza e la continuità della fornitura, con la consapevolezza del
progressivo calo di fabbisogno di tali fonti convenzionali, sia per la crescita
delle rinnovabili che per l’efficienza energetica; promuovere l’efficienza
energetica in tutti i settori, come strumento per la tutela dell’ambiente, il
miglioramento della sicurezza energetica e la riduzione della spesa energetica
per famiglie e imprese; promuovere l’elettrificazione dei consumi, in
particolare nel settore civile e nei trasporti, come strumento per migliorare
anche la qualità dell’aria e dell’ambiente; accompagnare l’evoluzione del
sistema energetico con attività di ricerca e innovazione che, in coerenza con
gli orientamenti europei e con le necessità della decarbonizzazione profonda,
sviluppino soluzioni idonee a promuovere la sostenibilità, la sicurezza, la
continuità e l’economicità di forniture basate in modo crescente su energia
rinnovabile in tutti i settori d’uso e favoriscano il riorientamento del
sistema produttivo verso processi e prodotti a basso impatto di emissioni di
carbonio che trovino opportunità anche nella domanda indotta da altre misure di
sostegno; adottare, anche tenendo conto delle conclusioni del processo di
Valutazione Ambientale Strategica e del connesso monitoraggio ambientale,
misure e accorgimenti che riducano i potenziali impatti negativi della
trasformazione energetica su altri obiettivi parimenti rilevanti, quali la
qualità dell’aria e dei corpi idrici, il contenimento del consumo di suolo e la
tutela del paesaggio; continuare il processo di integrazione del sistema
energetico nazionale in quello dell’Unione.
Nel
Piano è specificato che l’Italia promuoverà l’ulteriore sviluppo delle rinnovabili
associandolo alla tutela e al potenziamento delle produzioni esistenti, “se
possibile superando l’obiettivo del 30%, che comunque è da assumere come
contributo che si fornisce per il raggiungimento dell’obiettivo comunitario”. Le
rinnovabili impattano sulla dimensione della sicurezza energetica, ovvero la
riduzione della dipendenza dalle importazioni e la diversificazione delle fonti
di approvvigionamento. Continua: “quanto a sicurezza e flessibilità del sistema
elettrico, ferma la promozione di un’ampia partecipazione di tutte le risorse
disponibili - compresi gli accumuli, le rinnovabili e la domanda - occorrerà
tener conto della trasformazione del sistema indotta dal crescente ruolo delle
rinnovabili e della generazione distribuita, sperimentando nuove architetture e
modalità gestionali, anche con ruolo attivo del TSO. Parimenti, occorre
considerare l’ineludibile necessità dei sistemi di accumulo, a evitare
l’overgeneration da impianti di produzione elettrica da fonti rinnovabili: a
evidenza di tale necessità, si rimarca che le stime di potenza di soli eolico e
fotovoltaico necessaria per gli obiettivi rinnovabili 2030 sono dello stesso
ordine del picco annuo di potenza richiesta sulla rete”.
Inoltre,
gli impatti climatici sul sistema energetico possono essere raggruppati
attraverso le seguenti componenti. Vulnerabilità
fisica: rischi causati dall’aumento dell’intensità e della frequenza di
eventi meteorologici estremi, cioè dalle modifiche climatiche già in corso:
siccità, alluvioni, frane, esondazioni, ecc. Tali rischi riguardano
direttamente anche le infrastrutture energetiche, sia impianti che reti di
trasmissione e distribuzione. Vulnerabilità operativa: impatto delle
variazioni quantitative nei cicli idrologici, la loro variazione stagionale,
l’innalzamento delle temperature medie e le modifiche del regime dei venti
sull’energia erogata e sul bilancio energetico degli impianti (EROEI-Energy
Return On Energy Invested) nonché sulle caratteristiche tecniche dei generatori
eolici. Impatti sulla domanda: variazione della domanda di energia per
il condizionamento degli edifici a seguito delle modifiche del clima così come
evidenziate nei diversi scenari evolutivi considerati dal PNACC. Anche nel
settore agricoltura, dovranno essere considerate le variazioni della domanda
dei cicli e delle modalità colturali.
Per
questi motivi il Piano propone di costruire un sistema energetico resiliente
che rimanga affidabile attraverso gli scenari climatici di breve e medio
termine, e in grado di evolvere coerentemente anche negli scenari di lungo
termine attraverso: la promozione dello sviluppo di micro grids e smart grids
per favorire l’autoproduzione ad alta efficienza di comunità urbane e distretti
industriali, nel rispetto della sicurezza del sistema e sfruttando
preferibilmente la rete esistente; la realizzazione di programmi e strumenti
per la gestione e l’orientamento della domanda (demand side management); la
promozione dell’applicazione, in tutti i settori, delle migliori tecnologie
(BAT) per la gestione dell’efficienza energetica; il miglioramento
dell’interconnessione con le reti europee per compensare il ricorso a fonti
rinnovabili discontinue; l’utilizzo di un mix energetico tale da garantire la
capacità di adattamento a situazioni climatiche estreme per mantenere la
continuità delle forniture di energia; la valutazione, il monitoraggio e la
verifica della resilienza del sistema energetico a seguito dell’attuazione e
implementazione del PNIEC.
In
definitiva il Piano prescrive per l’Italia un obiettivo di copertura, nel 2030,
del 30% del consumo finale lordo di energia da fonti rinnovabili, delineando un
percorso di crescita sostenibile delle fonti rinnovabili con la loro piena
integrazione nel sistema. In particolare, l’obiettivo per il 2030 prevede un
consumo finale lordo di energia di 111 Mtep, di cui circa 33 Mtep da fonti
rinnovabili. L’evoluzione della quota fonti rinnovabili rispetta la traiettoria
indicativa di minimo delineata nell’articolo 4, lettera a, punto 2 del
Regolamento Governance.
Per
le rinnovabili elettriche tale obiettivo si traduce nel 55% nel settore
elettrico al 2030, con un andamento espresso alla seguente tabella.
Infine
il regolamento “Recovery e Resilience Facility”[6], del febbraio 2021, che è
la parte cardine del pacchetto “Next Generation EU”, prevede l’erogazione
di sovvenzioni per 312 miliardi e prestiti per 360. La cosa rilevante è che
vengono definiti 4 criteri e uno schema di rating da A a C per l’accesso ai
fondi. Uno dei criteri è la capacità del Piano di contribuire alla
transizione verde (salvaguardando anche la biodiversità). A questa funzione
va dedicato il 37% delle risorse.
Bisogna
notare che tutti gli investimenti si devono attenere al principio del “Do no
significant harm” (DNSH), ai sensi del regolamento europeo sulla tassonomia
per le attività sostenibili[7]. Quest’ultimo è uno
strumento che aiuta investitori, aziende e promotori di progetti a guidare la
transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio, resiliente ed
efficiente sotto il profilo delle risorse. La tassonomia stabilisce le soglie
di rendimento (denominate “Criteri di screening tecnico”) per le
attività economiche che: diano un contributo sostanziale a uno dei sei
obiettivi ambientali1; non rechino danni significativi (DNSH) agli altri
cinque; soddisfino le garanzie minime (ad esempio, Linee guida OCSE su Imprese
multinazionali e principi guida delle Nazioni Unite su imprese e diritti
umani).
Per
il secondo criterio “non rechino danni significativi”, è stata
pubblicata una guida che definisce “danno significativo”: l’emissione di
gas serra e quindi il danno alla mitigazione del cambiamento climatico; se
aumenta l’impatto negativo al cambiamento in corso portando danno alle politiche
di adattamento; se è dannoso per il buono stato dei corpi idrici; se porta
inefficienze nell’uso dei materiali o delle risorse naturali, o lo smaltimento
rifiuti, ovvero se porta danni alla strategia della “economia circolare”; se
aumenta significativamente le emissioni nell’aria, nell’acqua e nel suolo; se è
dannoso per la resilienza e la buona condizione degli ecosistemi e della
biodiversità, quindi degli habitat e delle specie. Completano il toolkit una
checklist e un indicatore “Transition Performance Index” che è basato su
4 variabili (riduzione delle emissioni, biodiversità, produttività delle
risorse, produttività energetica).
L’Italia
è nella migliore posizione in questo indicatore, con 77 punti (12 sopra la
media). Tuttavia, l’ultima tendenza di riduzione delle emissioni italiane, dal
2015 al 2018 registra un calo delle emissioni del 0,9% all’anno, mentre
l’obiettivo comunitario del 40% del “Quadro 2030” indicherebbe un target
del 2,7% all’anno. Con la nuova proposta, che sarà formalizzata al giugno 2021,
di arrivare al 55% di riduzione questo salirebbe al 5% all’anno.
Nell’aprile
2021 il Recovery Plan (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza,
PNRR) è stato trasmesso alle Camere al fine della successiva trasmissione alla
Ue, poi avvenuta. Nel Piano sono presenti sei “missioni” ed alcuni “progetti”[8], le prime sono: 1- digitalizzazione,
innovazione e competitività del sistema produttivo e della Pubblica
Amministrazione, l’istruzione, la sanità ed il fisco; 2- rivoluzione verde e
transizione ecologica; 3 - infrastrutture per la mobilità e le
telecomunicazioni, con la realizzazione di una Rete nazionale in fibra ottica,
lo sviluppo delle reti 5G e l’Alta Velocità; 4- istruzione, formazione,
ricerca, cultura; 5- equità sociale, di genere e territoriale, con focus sulle
politiche attive del lavoro e sul piano per il Sud; 6- salute.
Tra
gli obiettivi dichiarati del piano troviamo: innalzare gli indicatori di
benessere, equità e sostenibilità ambientale; rafforzare
la sicurezza e la resilienza del Paese nei confronti di
calamità naturali, cambiamenti climatici, crisi epidemiche e rischi
geopolitici.
Da
ultimo il 14 luglio
2021 la Commissione Europea ha presentato il pacchetto “Fit for 55”[9], che contiene proposte
legislative disegnate per permettere di raggiungere gli obiettivi intermedi del
“European Green Deal”[10] del 2019, e gli obiettivi
di neutralità climatica del Regolamento UE 2021/119, raggiungendo quindi la
riduzione del 55% delle emissioni di gas serra. Il pacchetto comprende 12
strumenti legislativi che vanno dalla riduzione delle emissioni di gas serra,
al settore energetico, all’uso del suolo, dai traporti alla fiscalità.
Impatti
del livello globale degli investimenti, energia
Tutto
ciò considerato e tornando al documento della multinazionale americana, alcuni
dei costi ipotizzati, vanno compresi come una sorta di (costosissima)
assicurazione contro i rischi del cambiamento climatico (che, se lasciato a se
stesso potrebbe provocare un collasso di civiltà incalcolabile), altri come
investimenti a ritorni positivi. Inoltre si tratta di proiezioni a tecnologia
costante, e nuove forme tecnologiche potrebbero ridurlo anche
significativamente.
L’impatto
di questo alto livello di investimento (che, in sostanza, comporta la forzata
obsolescenza di molti investimenti attualmente ancora attivi e redditivi) nel
settore energetico che è uno di quelli più direttamente impattati potrebbe
comportare per il rapporto l’aumento del costo medio globale dell’energia nel
breve termine. Stimano un incremento del 25 per centro tra il 2020 ed il 2040,
per poi abbassarsi leggermente. La causa è l’enorme quantità di investimenti
contemporanei in centrali di produzione (rinnovabili), nuove reti di trasporto
e distribuzione mentre le attuali fonti dovranno essere in parte dismesse.
Successivamente i costi operativi molto bassi delle rinnovabili (che non pagano
il combustibile) potranno far scendere il costo medio dell’energia.
Per
comprendere la rilevanza di questa dimensione si può far mente all’attuale
emergenza prezzi del gas e dell’energia, non direttamente imputabile alla
transizione come vedremo. Il più recente rapporto di S&P Global Ratings
stima che per l’intero decennio la scarsità relativa di gas determinerà prezzi
alti per l’energia elettrica. Anzi, il picco si dovrebbe raggiungere verso il
2025 (a meno che la guerra in Ucraina lo faccia esplodere subito). I fattori
sono la necessità di uscire dal carbone (per norma europea fissata al 2025) e la
bassa incidenza delle rinnovabili, per cui permane la dipendenza dalle
forniture di gas. Chiaramente gli obiettivi di crescita delle rinnovabili, in
particolare quelli al 2030 (triplicare la presenza di impianti fotovoltaici ed
eolici, rispetto all’attuale dotazione), faranno da fattore calmierante i
prezzi, ma ancora al 2040 si stima che il gas coprirà il 40% della domanda
complessiva.
Impatti
degli investimenti, occupazione e aree nazionali
Tra
i più significativi impatti della transizione ci sono in ogni caso le
ricollocazioni dei mix di occupazione intersettoriale, con una perdita stimata
a livello mondiale di qualcosa come 185 milioni di posti e un guadagno (ma non
negli stessi settori, né territori) di poco di più (200 milioni). Il solo
settore delle energie fossili dovrebbe perdere 9 milioni di posti di lavoro
diretti e 4 indiretti, mentre si creerebbero 8 milioni di posti di lavoro nelle
rinnovabili, nell’idrogeno e nei biocarburanti. È tantissimo, ma meno
dell’impatto stimato dei sistemi di automazione (i due, però, si sommano).
Alla
fine i settori colpiti sono qualcosa come un quinto dell’economia
attuale (con azzeramento del ciclo del carbone e dimezzamento del petrolio, o
riduzione del 70 per cento dell’uso del gas), inoltre aumenterebbero
significativamente i costi di produzione in molti settori, come acciaio o cemento,
che potrebbero salire dal 30 al 45 per cento rispetto ad oggi. Viceversa alcuni
settori connessi con l’incremento d’uso dell’energia elettrica, o con basse
emissioni di carbonio, si espanderebbero (alcuni settori raddoppieranno).
L’impatto
geografico sarà molto disomogeneo, con regioni come l’India o l’Africa che per
seguire lo stesso percorso dovranno investire fino al 50 per cento in più, ma
lo stesso vale per regioni interne ai paesi sviluppati nei quali sono presenti
cluster che dovranno essere sacrificati. La cosa mostra, e ci torneremo, una
delle poste geopolitiche più rilevanti della transizione. Ai capi opposti della
vulnerabilità dei paesi agli stimoli ed ai correlati stress da trasformazione
si trovano gli Usa e alcuni paesi in transizione di potenza (e potenzialmente o
attualmente sfidanti) come l’India, la Cina, il Brasile. Infine quello sulle
famiglie, che sarà molto disuniforme in relazione alle capacità di investimento
ed all’allocazione della spesa tra i diversi fattori. La sostituzione di
caldaie o di automobili, con altre elettriche, potrà creare un notevole impegno
di investimento nel breve termine (anche se potrebbe comportare riduzione dei
costi operativi nel medio).
Il
fattore più rilevante è la gradualità della transizione, e la progressione
dell’abbandono delle attività ad alte emissioni ancora attivi, e qui si trova il
cuore della questione: chi pagherà per la transizione?
Livello
e articolazione degli investimenti, generalità
Questa
politica indurrà un enorme aumento della spesa per investimenti, pubblica e
privata, industriale e non, e un netto spostamento tra i settori di spesa. Le
questioni sono: se i capitali dovranno essere forniti dalla parte pubblica, o
incentivati e canalizzati da quella privata; quanta parte andrà diretta ai
paesi sviluppati e quanta a quelli in convergenza; ma anche se il capitale
andrà raccolto a debito (contando sull’effetto leva di questo e sull’espansione
derivante dal piano di investimenti e l’incremento di efficienza sistemica) o
da tassazione (e di chi). Tra le tasse si possono indicare quelle dirette sul
reddito, o indirette[11], le tasse sulle
emissioni, quelle sui consumatori e i loro comportamenti.
Per
McKinsey bisogna valutare quale approccio, tra i tanti possibili, aumenta il
capitale disponibile per gli investimenti nella misura e velocità necessaria,
quale è più equo e più efficiente. In particolare, con riferimento alle
conseguenze sul sistema economico complessivo. Alcune tasse, o obblighi,
potrebbero infatti comprimere eccessivamente altre parti e produrre effetti a
catena, potrebbero esacerbare le diseguaglianze. L’esempio più facile è la
compressione della metà del settore siderurgico e cementizio, che potrebbe
alzare notevolmente i prezzi di alcuni beni di base, incidendo a sua volta su
una vasta serie di beni di consumo (dal costo delle case alle automobili, il
trasporto, etc.). Oppure l’aumento contemporaneo del costo dell’energia di un
quarto e di alcune materie prime di base della metà potrebbero produrre effetti
molto significativi, e dissimmetrici, tra i territori più dotati e altri meno
di energie rinnovabili e più dipendenti da settori industriali ad alte
emissioni di gas climalteranti. Questa considerazione potrebbe essere tanto più
rilevante quanto più si procede verso l’elettrificazione spinta del sistema
produttivo e del consumo (strada inevitabile, ma la velocità conta). Il picco
di questi effetti combinati, secondo la stima, si dovrebbe avere verso il 2040,
per poi calare (nello scenario estremo con una riduzione dei costi operativi
anche del sessanta per cento, e quindi un netto attenuarsi dell’effetto
aggravio). Più velocemente potrebbero ridursi i costi della mobilità: ad
esempio i camion elettrici di medio servizio potrebbero essere pari a quelli a
carburante entro il 2025, mentre quelli pesanti al 2030 almeno in Europa.
D’altra
parte, i recenti eventi connessi con l’enorme aumento di costo del gas e quindi
dell’energia elettrica, se pure non siano direttamente attribuibili alla
transizione in corso verso il “net-zero”[12] evidenziano molto bene la
vulnerabilità della catena internazionale di approvvigionamento e della rete. In
sostanza durante una transizione che da una parte obbliga a ridurre
l’approvvigionamento da fonti fossili in modo molto ripido, dall’altra dipende
dalla capacità di investimento e installazione di nuove fonti che, a loro
volta, dipendono da forniture strategiche di litio, materiali rari ed altre
materie prime non uniformemente distribuite, potrebbero presentarsi problemi
dal lato della domanda e dell’offerta difficili da gestire. Ancora più quanto
l’elettrificazione procede lungo la sua strada.
Da
un altro lato le regole tendenti a ridurre l’impatto delle attività umane sul
clima potrebbero indurre aumenti significativi dei costi, e disuniformi, sulle
produzioni che ci troviamo ogni giorno nelle mani o nel piatto. Un esempio sono
gli allevamenti intensivi di animali a bassa efficienza, quanto ad emissioni di
gas climalteranti (nel senso che ne emettono molta a parità di prodotto
utilizzabile), come i bovini e gli ovini. Imporgli regole stringenti ne
aumenterebbe il prezzo e costringerebbe molti a modificare le proprie diete
(non a caso si sta lavorando per introdurre proteine a basso tenore di
emissioni, come quelle derivanti dagli insetti). Un altro è, ovviamente,
l’efficientamento degli edifici. Una politica assolutamente indispensabile, ma
condotta con strumenti altamente problematici e socialmente regressivi come il
superbonus[13].
Infine,
come abbiamo già visto, l’effetto sul lavoro, che può stimarsi nella perdita di
ca. 190 milioni di posti di lavoro persi, ai quali vanno aggiunti quelli
derivanti dalla politica gemella dell’automazione e digitalizzazione, la quale
ne potrebbe far perdere altri 300 in otto paesi, ed entro il 2030. Nel decennio
in corso qualcosa come mezzo miliardo di lavoratori dovrebbero essere dunque ricollocati
o aiutati. Ma se i guadagni si avrebbero nelle produzioni a basse emissioni e
nei settori ad alta tecnologia dell’economia, le perdite si concentrerebbero
sulle aree di vecchia industrializzazione, o nei settori penalizzati come
allevamento e mangimi (che potrebbero perdere posti di lavoro fino a 35 milioni
di addetti, solo per un terzo compensati dalla espansione di altri
allevamenti). D’altra parte il settore delle ristrutturazioni edili dovrebbe
espandersi, fino a una quarantina di milioni di nuovi posti di lavoro e le
rinnovabili per altri sei. Chiaramente ci sono regioni nelle quali il 10 per
cento o più della forza lavoro potrebbe essere toccata dalla transizione, ed
altre avvantaggiate.
Il
grafico 15 mostra i settori nei quali sono presenti più lavoratori per grado di
esposizione alla transizione. Tra i più grandi ed esposti il settore agricolo
(molto rilevante nei paesi in sviluppo) e piccoli settori come quelle delle
macchine utensili, rifiuti, miniere e produzione da fossili, poi, via via a
minori livelli di esposizione il settore del cemento, dei motori, della
fabbricazione di metalli, della chimica, e dei trasporti. Poco esposti settori
anche ad alto impatto di lavoro come il commercio, la finanza e l’immobiliare.
Livello
e articolazione degli investimenti, impatto sulle ‘catene del valore’
Ma
una delle conseguenze più rilevanti è sulle cosiddette “catene del valore”.
Una dimensione che è cresciuta in particolare nello scambio dei cosiddetti “beni
intermedi”, ovvero negli scambi tra imprese di parti di un prodotto finito
commerciabile. Questi sono triplicati negli ultimi venti anni, arrivando a
10.000 miliardi di controvalore annuale. Quando in una ‘catena del valore’ sono
coinvolti centri di produzione ad alte emissioni di carbonio o consumo di
energia si può considerare che le relative emissioni siano prodotte per altri.
O, viceversa, che le emissioni siano spostate. Ma se vengono penalizzati i beni
ad alto contenuto di carbonio e consumo energetico, intervenendo con tassazioni
e regolamenti nella formazione del relativo prezzo, allora tutto il sistema dei
vantaggi comparati che organizza (certo non da solo[14]) il mercato
internazionale si trova ad essere alterato profondamente. Mentre oggi i paesi
con bassi livelli di investimenti e tenore di vita sono avvantaggiati, domani
potrebbero esserlo quelli con una maggiore efficienza di emissione e nell’uso
dell’energia. Ne deriverebbe una profonda ridislocazione delle opportunità
localizzative per il sistema produttivo.
Ma
in caso le emissioni ‘portate’ non fossero correttamente conteggiate l’effetto
sarebbe opposto, i paesi con politiche più severe, che si trasferirebbero nei
prezzi locali, sarebbero svantaggiati. Qui emerge una posta in campo di altissima
rilevanza geopolitica, come si può facilmente rilevare dal tenore dei conflitti
che sovraintendono ad ogni turno di negoziati globali sul clima.
Per
dare un’idea dell’importanza del tema questa è l’immagine dei flussi interregionali
globali di carbonio incorporato nelle merci trasportate nel 2021. Si può notare
che le quantità scambiate tra Cina e Usa dominano la scena, risultando qualcosa
come tre volte superiori all’interscambio cumulato entro l’emisfero Nord del continente
americano e supera di circa due volte quello interno all’Asia. Ma la Cina
sposta emissioni anche verso l’Europa in un ordine pari a quello interno all’Asia
e circa la metà di quello verso gli Usa.
Livello
e articolazione degli investimenti, distribuzione dei pesi
Una
sintesi si ottiene anche dallo studio di NGFS, che mette a confronto tre
scenari, quello a politiche invariate (che, come abbiamo visto comporta minori
investimenti nell’ordine di 3.500 miliardi all’anno, e maggiori rischi di lungo
periodo connessi con il cambiamento climatico), quello ad una transizione
ulteriormente rallentata, e quella “net-zero” che abbiamo descritto. Mettendo a
confronto gli effetti su inflazione e disoccupazione in quattro aree, Europa,
America Latina, Stati Uniti e Cina si vede come l’inflazione potrebbe essere
significativa in Europa e America Latina nel caso della “net-zero”, mentre Cina
e Usa piuttosto potrebbero subire una certa disoccupazione.
In
definitiva la strategia ‘net-zero’ (ovvero una transizione molto spinta ed
accelerata) porterebbe effetti altamente dissimetrici tra le aeree economiche,
producendo inflazione in Europa ed America Latina (in quest’ultima piuttosto
repentina), ma non in Cina e Usa. Viceversa l’impatto sulla disoccupazione
potrebbe essere molto più forte in Cina e poco dopo negli Usa, con una drammatica
differenza in quest’ultima tra gli scenari accellerazione/frenata che spiegano
abbastanza bene le nore esitazioni del sistema politico statunitense.
Conclusioni.
Il
rapporto della McKinsey fa intravedere i tanti piani di conflitto che
attraversano le politiche per il clima e la transizione energetica. Si parla
complessivamente di investimenti di un ordine di grandezza di 280.000 miliardi
di dollari che corrispondono ai due terzi delle distruzioni totali della II WW (la
Seconda Guerra Mondiale costò qualcosa come 1.150 miliardi di dollari ’45 e le
relative distruzioni altri 230 miliardi). Ovvero di una trasformazione
fondamentale dell’intera economia mondiale. Ovviamente una trasformazione
implica, e necessariamente, dei vincitori e degli sconfitti. Ciò sia in termini
di paesi sia di aree economiche e di settori. E quindi, scendendo al livello
della vita quotidiana, implica qualcosa come mezzo miliardo di ricollocazioni
lavorative (o di nuova disoccupazione), e contrazione o espansione nell’ordine
di un dimezzamento o raddoppio e più di settori economici, con relative aree
geografiche.
Imporre
in tempo di pace spese comparabili alle distruzioni di una grandissima guerra
non può che avere molteplici obiettivi, alcuni sono presenti alla superficie (e
sono, sia ben inteso, reali e motivati) ed hanno a che fare con la necessità di
rallentare una crisi climatica provocata in ultima analisi dal capitalismo
senza freni ed esteso all’intera superficie del globo degli ultimi quaranta
anni. In termini macroeconomici il problema che l’occidente in particolare (ben
diversa la situazione nell’estremo oriente ed in Cina in particolare) ha di
fronte ha due aspetti interrelati: da una parte sconta una tendenza endemica al
sottoinvestimento nei sistemi produttivi e infrastrutturali, che è l’esatto rovescio
della tendenza al sovraimpiego dei capitali in quello finanziario; dall’altra
la pronunciata internazionalizzazione dei flussi di capitali contribuisce al
simmetrico e complementare sovrainvestimento in sistemi infrastrutturali e
produttivi dei paesi estremo-orientali e della Cina in particolare. In termini
di potenza ciò pone le basi per una transizione in corso che la potenza
dominante del secolo scorso non intende accettare.
Questo
è il problema sottostante.
La
trasformazione fondamentale dell’intera economia mondiale, guidata dalla
obsolescenza forzata di tutti i sistemi energetici e delle relative industrie,
di buona parte del sistema di mobilità, di molta edilizia e delle industrie, al
fine di riattivare un ciclopico ciclo di investimenti guidato da politiche
pubbliche senza precedenti, non potrà, come si è visto, che creare degli
impatti dissimetrici. E coglierà molti paesi in via di transizione ad una
economia pienamente sviluppata a metà del guado, per così dire. Costringendoli
a dismettere investimenti ancora del tutto attivi e non ammortizzati, a mutare
abitudini di consumo ancora non consolidate.
Infine,
ma certo non ultimo, impatterà in modo altamente disomogeneo anche entro il
campo delle economie ‘sviluppate’, soprattutto per effetto della maggiore o
minore dipendenza dalle fonti fossili e per esse dal gas naturale, dal carbone
e dal petrolio. Mentre nel lungo periodo la crescita della generazione di
energia da rinnovabili attenuerà significativamente il potere dei fornitori di
questi fattori (ovvero alcuni dei paesi ‘non allineati’ o degli alleati
scomodi), aumentando l’indipendenza dei paesi ad alta industrializzazione, nel
medio e breve potrebbero generarsi turbolenze ed un incremento di costo dell’energia
che potrebbe portare una tendenza inflattiva (come si è visto stimata in
particolare in Europa). Seconda dimensione cruciale della trasformazione è la
ricollocazione delle filiere produttive e dell’occupazione. Si parla di cambiamenti
relativi senza precedenti, per dimensione e ruolo. Alcuni dei settori più consolidati
saranno sconvolti dalla necessità di adeguarsi alla riduzione dell’inquinamento
indotto, altri avranno una espansione senza precedenti.
Le
due trasformazioni gemelle della transizione climatica e della digitalizzazione
porteranno drastici mutamenti in qualcosa come un terzo della popolazione
occupata nel mondo (senza considerare la massa, stimabile in circa due
miliardi, impegnata in economia informale o di sussistenza che, probabilmente,
resterà a margine della trasformazione). Di questi due quinti per le politiche
climatiche e tre quinti per quelle connesse con modernizzazione, automazione e
digitalizzazione.
Entrambe
colpiranno come una tenaglia ben oltre due terzi dell’attuale economia,
costringendola a riadattarsi e riorganizzarsi con presumibile grande
concentrazione di capitale ed aumento della relativa composizione organica.
E’
facilmente comprensibile, alla luce di queste considerazioni, come le
cosiddette “COP” (i negoziati globali sul clima che si tengono con andamento
circa biennale) siano diventate un’arena cruciale della ripartizione del potere
nel mondo e, da diversi cicli ormai, vedano all’opera vaste alleanze tra paesi ‘emergenti’
che si contrappongono alla Ue e agli Usa (che non sempre sono completamente
allineati). Il tema è semplice: chi paga?
[1] - McKinsey & Company, “The
net-zero transition”, gennaio 2022.
[2] - Network for Greening the
Financial System, “NGFS
Climate Scenarios”, giugno 2021.
[3] - Ovvero della COP 21 nella quale
si è faticosamente raggiunto il compromesso di principio di tenere il
riscaldamento climatico entro un grado e messo.
[4] - “Piano
Nazionale Integrato per l’Energia ed il Clima 2030”, gennaio 2020.
[5] - “Strategia
Italiana di Lungo Termine sulla Riduzione delle Emissioni dei Gas a Effetto
Serra”, del gennaio 2021
[6] - “Recovery
e Resilience Facility”, febbraio 2021.
[7] - Di qui il violento scontro di
questi mesi intorno alla “tassonomia” (per introdurre in essa il gas ed il
nucleare, che, altrimenti, non sarebbero finanziabili).
[8] - I progetti
nelle missioni del PNRR sono: M1 – Digitalizzazione, innovazione,
competitività e cultura: C1
Digitalizzazione, innovazione e sicurezza nella Pubblica Amministrazione; C2 Digitalizzazione e Innovazione del sistema
produttivo; C3 Turismo e
Cultura 4.0. M2 – Rivoluzione verde e
transizione ecologica: C1 Impresa Verde
ed Economia Circolare; C2 Transizione
Energetica e Mobilità locale Sostenibile;
C3
Efficienza energetica e riqualificazione degli edifici; C4 Tutela e valorizzazione del territorio e della
risorsa idrica. M3 –
Infrastrutture per una mobilità sostenibile: C1 Alta velocità ferroviaria e manutenzione stradale
4.0; C2 Intermodalità e logistica integrata.
M4
– Istruzione e ricerca; C1 Potenziamento
delle competenze e diritto allo studio; C2 Dalla ricerca
all’impresa. M5 – Inclusione e coesione: C1
Politiche per il Lavoro; C2 Infrastrutture
sociali, Famiglie, Comunità e Terzo Settore;
C4
Interventi speciali di coesione territoriale.
M6
– Salute: C1 Assistenza di
prossimità e telemedicina; C2 Innovazione,
ricerca e digitalizzazione dell’assistenza sanitaria.
[9] - “Fit
for 55”, luglio 2021
[10] - “European
Green Deal”. Nel dicembre 2019 la Commissione Europea ha presentato la
comunicazione che si propone di rendere sempre più sostenibili e meno dannosi
per l’ambiente la generazione di energia e lo stile di vita dei cittadini.
Comprende azioni in tutti i settori dell’economia e un “Piano di investimenti
del Green Deal europeo” (EGDIP) dotato di un massimo di 1.000 miliardi di euro.
La
strategia si articola in otto principali obiettivi: 1- Rendere più ambiziosi
gli obiettivi dell’UE in materia di clima per il 2030 e il 2050; 2- Garantire
l’approvvigionamento di energia pulita, economica e sicura; 3- Mobilitare
l’industria per un’economia pulita e circolare; 4- Costruire e ristrutturare in
modo efficiente sotto il profilo energetico e di impiego delle risorse; 5- Accelerare
la transizione verso una mobilità sostenibile e intelligente; 6- “Dal
produttore al consumatore”: progettare un sistema alimentare giusto, sano e
rispettoso dell’ambiente; 7- Preservare e ripristinare gli ecosistemi e la
biodiversità; 8- “Inquinamento zero” per un ambiente privo di sostanze
tossiche.
Le
azioni previste includono: Una legge europea sul clima per inserire nel
diritto dell'UE l'obiettivo della neutralità climatica al 2050, che si pone a
sua volta 4 obiettivi: 1) stabilire la direzione di lungo periodo per il
raggiungimento dell'obiettivo di neutralità climatica al 2050 attraverso tutte
le politiche, in modo socialmente equo ed efficiente in termini di costi; 2) creare un sistema di monitoraggio dei
progressi e intraprendere ulteriori azioni se necessario; 3) fornire condizioni
di prevedibilità agli investitori e ad altri attori economici; 4) garantire che la transizione verso la
neutralità climatica sia irreversibile. Un patto europeo per il clima,
volto a diffondere consapevolezza e promuovere l’azione, in un primo momento
focalizzato su 4 aree (aree verdi, trasporti verdi, immobili verdi e competenze
verdi), mentre potrà successivamente coinvolgere altre aree d’azione, quali
consumo e produzione sostenibili, qualità del suolo, cibo sano e alimentazione
sostenibile, e così via. Il Climate Target Plan 2030, con il quale si
intende ridurre ulteriormente le emissioni nette di gas serra (fissando un
nuovo obiettivo di riduzione, per il 2030, di almeno il 55% rispetto ai livelli
del 1990) ma anche stimolare la creazione di posti di lavoro verdi nonché
incoraggiare i partner internazionali ad essere più ambiziosi nel contenimento
del surriscaldamento globale, limitando l'aumento della temperatura globale a
1,5°C. Una nuova strategia UE sull'adattamento al clima, adottata lo
scorso 21 febbraio, allo scopo di rendere l'adattamento più intelligente,
rapido e sistemico e di intensificare l'azione internazionale sull'adattamento
ai cambiamenti climatici così che l'Europa diventi, entro il 2050, una società
resiliente al clima e completamente adattata agli impatti inevitabili dei
cambiamenti climatici.
[11] - Si può considerare una
tassazione indiretta l’obbligo di effettuare degli investimenti, di sostituire
delle tecnologie, di ridurre delle attività.
[12] - Si tratta di una combinazione di
rimbalzo dopo il raffreddamento dell’economia a seguito dell’epidemia e di
effetti congiunti di velocità del vento nel Mare del Nord, freddo in Texas,
siccità in Brasile, chiusura di miniere cinesi, blocco delle esportazioni
australiane, che hanno ridotto l’offerta e/o aumentato la domanda.
[13] - Regressivo perché non rapportato
al reddito.
[14] - Nel senso che il sistema dei
vantaggi comparati è sistematicamente manipolato dalle ragioni di potenza.
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