Ho
amato il mio piccolo bambino, oggi adulto, dal primo momento che me lo hanno
messo in braccio; un miracolo che si è ripetuto. Da quel giorno ho sentito quella
forma di responsabilità concreta per la vita che fa esistere l’umanità. Amare
il proprio figlio è l’esperienza che innesca ogni capacità di superarsi nel
dono, e di riconoscere sé nell’altro, la quale rende propriamente umani.
La
guerra di tutto ciò è esattamente l’opposto.
La
guerra sollecita sentimenti di morte, gratifica le virtù meno virtuose, esalta il
coraggio meramente fisico. Il coraggio ascende a virtù centrale, ma anche
Attila era un grande guerriero e Hitler alla fine fu coraggioso (e lo era stato
anche nella Grande Guerra); il valore militare non ha alcuna relazione, né
positiva né negativa, con le altre qualità della mente e dello spirito. La
nostra civiltà, come è accaduto in altre crisi, sta retrocedendo rapidamente
(uso questa parola che evito sempre perché qui è appropriata in senso tecnico)
a stati spirituali ed emotivi che si credevano erroneamente passati, quando
erano solo sopiti perché non necessari.
Anche
se lascia senza parole, non accade per caso: appena la posizione dei nostri
sistemi economici nella catena del valore, o, per dirlo meglio, nella catena
dello sfruttamento e dell'estrazione di valore mondiale è stata sfidata, e ciò
si è fatto urgente[1],
allora abbiamo immediatamente dismesso l'abito del mercante per prendere dagli
antichi armadi quello del guerriero. Con esso tutta la sua epica.
Ad
esempio, qualche giorno fa il Corriere della Sera ha pubblicato un
articolo[2] di Andrea Nicastro che
esalta il coraggio fisico disperato dei macellai del battaglione “Azov”,
rinchiusi nei sotterranei dell'acciaieria di Mariupol. Milizie paramilitari che
per otto anni, nel Donbass, si sono macchiate di ogni possibile oscenità e che
quindi sanno di doversi aspettare dai Russi un trattamento conseguente (esiste
probabilmente un dossier per ognuno di loro). Uomini coraggiosi, probabilmente,
sicuramente disperati, ma questo non dovrebbe far dimenticare chi sono (i “kantiani”[3]).
Questa
regressione all'esaltazione del maschio coraggioso e potente, del guerriero,
della violenza quindi, non appena questa serve a difendere l'interesse nudo
della nostra illuminata borghesia pone una domanda che credevamo superata. Non
appena i nostri privilegi, la possibilità di avere i nostri agi e i nostri
giocattoli con poche ore di lavoro (mentre i fattori con i quali sono prodotti
derivano da tantissime ore di altri umani meno umani) è stata messa a rischio
esce lo spirito vero dell'Europa. Il pirata Drake, fatto baronetto e poi
divenuto parte della schiatta dominante, i tanti avventurieri senza scrupoli ma
con tanto coraggio che hanno piegato il mondo, la corazza di Cortez, ... Tutto
torna.
Anche
la nausea.
L'armatura di Cortéz |
Papa Francesco, in “Contro la guerra”[4], ricorda che non ci può essere pace senza condivisione ed accoglienza, senza giustizia che assicuri promozione per tutti, a cominciare dai più deboli. E non ci sarà se non si tendono le mani, fino a che “gli altri saranno un loro e non un noi”, finché “le alleanze saranno contro qualcuno, perché le alleanze degli uni contro gli altri aumentano solo le divisioni”[5].
C’è
una verità in questa piccola e semplice frase, come sostiene con buona memoria
storica, Freeman:
“Qualsiasi
Paese che viene escluso dal trattare le questioni di grande importanza per la
sua sicurezza sarà infelice e incline al revanscismo. Il Congresso di
Vienna ha conferito alla Francia post-napoleonica il ruolo nella governance
europea che il Congresso stesso le aveva conferito. Ciò ha prodotto cento anni
di relativa pace. La decisione di ostracizzare la Germania e accettare il non
coinvolgimento sovietico nella gestione della pace e della stabilità europea
dopo la prima guerra mondiale ci ha dato la seconda guerra mondiale e la guerra
fredda. La Russia ha bisogno di ragioni per aiutare a sostenere una pace
europea e per astenersi dall’aggressione contro i suoi vicini. Ciò non è
impossibile, ma non può essere ottenuto rianimando ed espandendo la NATO come
minaccia per la Russia. Abbiamo bisogno di
un rinnovato Concerto d’Europa. Abbiamo gli statisti per raggiungere questo
obiettivo? Abbiamo bisogno di loro”.
Oppure,
come ricorda Mearshmeier[6] già nel 2014:
“Lo strumento principale dell’Occidente per staccare Kiev da
Mosca è stato lo sforzo di diffondere i valori occidentali e promuovere la
democrazia in Ucraina e in altri stati post-sovietici, un piano che spesso
comporta il finanziamento di individui e organizzazioni pro-occidentali.
Victoria Nuland, l’assistente segretario di stato americano per gli affari
europei ed eurasiatici, ha stimato nel dicembre 2013 che gli Stati Uniti hanno
investito più di 5 miliardi di dollari dal 1991 per aiutare l’Ucraina a
raggiungere “il futuro che merita”. Come parte di questo sforzo, il governo
degli Stati Uniti ha finanziato il National Endowment for Democracy. La
fondazione nonprofit ha finanziato più di 60 progetti volti a promuovere la
società civile in Ucraina, e il presidente dell’associazione NED, Carl Gershman,
ha chiamato quel paese “il premio più grande”.
Ma “Il triplo pacchetto di politiche dell’Occidente –
allargamento, espansione e promozione della democrazia – ha aggiunto
combustibile a una situazione che aspettava di infiammarsi”. Dopo la crisi che
fece cadere Janukovych – continua Measrhmeier – “Il nuovo governo di Kiev era
filo-occidentale e anti-russo fino al midollo, e conteneva quattro membri di
alto livello che potrebbero legittimamente essere etichettati come neofascisti.
Anche se la piena portata del coinvolgimento degli Stati Uniti non è ancora
venuta alla luce, è chiaro che Washington ha sostenuto il colpo di stato.
Nuland e il senatore repubblicano John McCain hanno partecipato alle
manifestazioni antigovernative, e Georey Pyatt, l’ambasciatore degli Stati
Uniti in Ucraina, ha proclamato dopo la caduta di Yanukovych che era “un giorno
per i libri di storia”. Come ha rivelato una registrazione telefonica
trapelata, Nuland aveva sostenuto il cambio di regime e voleva che il politico
ucraino Arseniy Yatsenyuk diventasse primo ministro nel nuovo governo, cosa che
ha fatto”.
Vediamo
alcune posizioni in campo:
1- Stati
Uniti
Un
articolo[7] di Matthew Kroenlg su Foreign
Policy Magazine sostiene che gli Usa non devono concentrarsi sulla Cina, e
per questo venire a patti con la Russia (in primo luogo garantendone la
sicurezza e le pacifiche relazioni con l’Europa), ma devono sconfiggerli entrambi
in sequenza o contemporaneamente. Gli Stati Uniti, in altri termini, devono
restare la prima ed unica potenza mondiale con interessi globali. Invece le due
Grandi Potenze asiatiche (o euro-asiatiche) hanno un vastissimo territorio, una
lunga storia orgogliosa, una profonda cultura e armi nucleari; rappresentano
una minaccia esistenziale. La Russia dovrà essere smembrata e la Cina
rovesciata politicamente.
Ovviamente
l’autore, che rappresenta il sistema militare-industriale, propone di
raddoppiare la spesa militare al 5,6% del Pil. Obiettivo finale lo
smantellamento e disarmo totale della Russia in almeno 8 staterelli
controllabili.
Il progetto di smembramento della Russia |
Staterelli,
ovviamente, circondati da una Nato sempre più vicina.
L'espansione della NATO |
Non è l’unica posizione, su un diverso fronte Chas Freeman[8] ha recentemente dichiarato[9] che la guerra tra Ucraina e Russia assomiglia alle guerre per procura tra i blocchi della guerra fredda, il Vietnam o l’Afghanistan, dove una parte era impegnata e si logorava e l’altra operava in modo indiretto. La parte che agiva tramite il procuratore, fino al suo ultimo uomo, non aveva alcun interesse a porvi fine. In questo caso Washington ha costantemente soffiato sulla brace fino a che è divampato il fuoco. Ha “trascorso gli ultimi otto anni ad addestrare ed equipaggiare le forze ucraine per combattere la Russia e i separatisti a Donetsk e Lugansk. Ha sostenuto con forza la resistenza ucraina all’aggressione russa, suggerendo al contempo che potrebbe opporsi a un accordo ucraino con Mosca, che considera troppo favorevole alla Russia”. Insomma, “Queste politiche non mirano a produrre una pace. Mirano a sostenere la guerra finché ci sono ucraini disposti a morire in combattimento con i russi”.
Dunque,
in sintesi, “nella guerra in Ucraina, abbiamo appena assistito alla fine del
periodo successivo alla Guerra Fredda, alla fine del secondo dopoguerra e
all’era di Bretton Woods, alla fine della pace in Europa e alla fine del
dominio globale euro-americano. Le sanzioni ora divideranno il mondo in
ecosistemi in competizione per finanza, tecnologia e commercio. Difficilmente
possiamo immaginare le implicazioni di una tale trasformazione.”
Un
altro ex funzionario di lungo servizio americano, Ray McGovern[10], che è su posizione di
opposizione ancora più pronunciate, in un articolo dal titolo “Il paradigma
dei defunti su Russia/Cina”[11] ricorda che le politiche
della Guerra Fredda, imperniate sul trattato ABM del 1972, avevano utilizzato
abilmente la rivalità russo-cinese in un “paradigma triangolare” del terrore
che portò benefici tangibili. Tuttavia, questa stagione è terminata quando,
dopo il 2004, la Cina e la Russia si sono riavvicinate. Ma questo avvicinamento
è stato facilitato dalla “inetta diplomazia” di giovanotti incapaci (l’autore,
come ovvio, è piuttosto anziano) come Antony Blinken e Jake Sullivans che, in
un misto di ignoranza e arroganza, hanno fortificato il fronte russo-cinese. Di
gaffe in gaffe i vertici Cinesi e Russi sono giunti alla dichiarazione alle
olimpiadi di una “alleanza senza limiti”. Ma il 15 dicembre la Russia ha anche
consegnato agli Usa una bozza di Trattato di sicurezza reciproca. Dopo un
inizio promettente, la situazione è rapidamente precipitata. Ma l’opinione
dell’autore è che la Cina sia a piena conoscenza e del tutto schierata con la
Russia in questa crisi (in quanto sa di essere la prossima).
2- Ucraina
Dal
punto di vista del governo ucraino, invece, al di là della speranza di essere
accolta nella Ue e protetta dalla Nato, questa è una guerra fondativa come Nazione.
Una cosa simile in un certo senso sta avvenendo, in effetti, ed è
esplicitamente teorizzato da Arestovich[12]. Inoltre si riscontra
nella nuova Costituzione Ucraina, articolo 16, e nelle parti inserite dopo
l’avvio dell’attuale governo che ancorano il paese alla UE ed alla NATO, e nelle
dispute linguistiche (con la proibizione del russo). In sostanza queste forze
nazionaliste vogliono attraverso la guerra affermare l’esistenza, anzi il
ritorno, di una Ucraina “austriaca” e “polacca”. Vogliono ripulire l’Ovest
dalle tracce lasciate dalla politica di unificazione sovietica e dalla
conseguente russificazione (forzata, dal loro punto di vista). Di qui
l’evidente ostilità per la storia sovietica ed i suoi simboli, e,
probabilmente, anche la tendenza per reazione a spostarsi in direzione delle
tradizioni fasciste e naziste. Una operazione di pulizia etnica e culturale di
questo genere ha assolutamente bisogno della guerra.
Questa
guerra queste forze l’hanno espressamente cercata, dal fuoco della guerra,
purificatore, intendono far nascere una Nazione che si liberi di ogni traccia
‘asiatica’.
D’altra
parte, alla base della posizione strategica, e qui Arestovich nel 2019 è
chiarissimo, c’è anche una considerazione geopolitica, ovvero la constatazione
che 2.300 chilometri di confine e una popolazione divisa rendono impossibile
all’Ucraina una posizione stabilmente di neutralità. Dunque “se noi non
possiamo mantenere la neutralità dobbiamo entra o nella Eurasian Union con la
Russia o nella Nato, non ci sono altre opzioni”. Ma in questa intervista
prevede che come risposta, prima che entri nella Nato, la Russia potrebbe
aprire la guerra. Quindi, sinistramente, “Con una probabilità del 99,99% il
nostro prezzo per entrare nella Nato è una guerra totale (full-scale) con la
Russia. E se noi non entriamo nella Nato [invece], l’assorbimento nella Russia
in 10-12 anni. Questo è l’alternativa nella quale siamo”. Alternativa davanti
alla quale preferisce “of course” una guerra maggiore con la Russia e il
passaggio nella Nato come risultato della vittoria.
Ovviamente
un cambio di regime in Russia, con l’abbandono di quello che chiama il
“progetto URSS-2” potrebbe, alla fine, ricomporre i rapporti tra la Russia e la
Nato e Ue, ma non crede che possa succedere. Una “maggiore guerra” viene
definita dal consigliere come: un’invasione aerea, una offensiva delle armate russe
fino a Kiev e una manovra di accerchiamento delle truppe nelle zone
separatiste. Esattamente ciò che è di fatto accaduto. Gli anni previsti, 2021 o
2022. Un conflitto, è chiaro, nel quale l’Ucraina sarà attivamente supportata
dall’Occidente, con armi, equipaggiamenti, assistenza, nuove sanzioni contro la
Russia e, appena possibile, l’entrata di un contingente della Nato, una “no-Fly
zone”, etc. Alla fine “noi non perderemo, e questo è tutto”.
3- Russia
In
un articolo pubblicato sulla rivista cinese Guancha[13], il politologo russo
Dmitrij Trenin vede che il 24 febbraio 2022 (inizio della guerra) ha cambiato
completamente la situazione. La guerra per procura con gli Stati Uniti è da
inserire in un complessivo processo di cambiamento dell’ordine mondiale che
vede il baricentro di attività economica spostarsi dall’Euro-Atlantico
all’Indo-Pacifico. Quella che in questa crisi si sta abbandonando è, niente di
meno, dell’eredità di Pietro il Grande, ovvero il desiderio Russo di essere
parte integrante della civiltà paneuropea. Un processo che è andato avanti sino
al “primo” Putin (che chiese di entrare nella Ue e nella Nato).
Il
fallimento di questi tentativi deriva dal semplice fatto che “gli edifici
europei sono stati costruiti ed occupati sotto la protezione degli Stati Uniti,
e non della Russia”. Questa “non è colpa di nessuna delle parti. È impossibile
per il collettivo occidentale incorporare una scala così ampia nella sua
comunità senza minare le sue fondamenta strutturali; ampliare le fondamenta
significherebbe rinunciare alla sua posizione egemonica”. Del resto essi,
gli edifici europei, non sono di natura veramente europea ma integralmente
occidentale, non c’è posto per la Russia.
Se
la Ue non può farlo neppure la Russia:
“Per quanto riguarda la Russia, la Russia non è in grado di
rispettare le regole stabilite senza la propria partecipazione, che la rendono
subordinata all'Unione Europea. Autonomia e sovranità sono
indissolubilmente intrecciate nel DNA della nazionalità russa, nella coscienza
del popolo e della sua classe dirigente”. Quindi deve vedersi come
indipendente.
La
Russia non è un impero, ma non è neppure un paese al modo europeo. Si tratta di
una realtà multietnica organizzata intorno ad una civiltà ed alla relativa
potenza. Una civiltà che ha molto a che fare con l’Europa, ma che si radica
della Chiesa ortodossa di Bisanzio (il mito fondatore) e nella cultura
orientale. Ma gran parte dell’insediamento storico di questa cultura è stato
assorbito dall’Europa occidentale; fanno eccezione solo parti della Russia,
della Bielorussia, del Donbass e della Serbia.
Sulla
base di questi fatti la nazione russa si deve necessariamente rivolgere alla
sua enorme estensione, che ricopre tutta la parte Nord dell’Asia e numerosi
popoli, garantendo che non sia una gerarchia di metropoli e colonie, e mantenga
unità organica e diversità[14]. La Russia, insomma, è
sia “una potenza unificata grande e diversificata”, sia “una civiltà
indipendente” (dall’occidente).
Leggiamo
il passaggio:
“Al centro della forza della civiltà russa ci sono i russi,
con la loro lingua, cultura e religione, ma il fattore nazionalità nel quadro
di una civiltà unificata non è decisivo. Al contrario, la società russa è
aperta, libera ed egualitaria, accettando non solo la rappresentazione
individuale di altri popoli, ma anche la rappresentazione dell'intera nazione. Tatari,
yakuti, ceceni e numerosi gruppi etnici in Daghestan possono essere tutti
russi. L'ortodossia è la religione della maggioranza, ma la tradizione
della tolleranza religiosa consente la pacifica convivenza e l'interazione
delle principali fedi indigene: ortodossa, islam, buddismo ed ebraismo. Lo
stato unificato garantisce pace, prosperità e sviluppo di un vasto territorio
dal Mar Baltico al Mar del Giappone, dall'Artico al Mar Caspio. Per questa
civiltà complessa, il ‘potere’ è il valore più importante.
Tuttavia, lo stato stesso si basa su un sistema di valori,
senza il quale lo stato crollerebbe. La disintegrazione dell'impero russo
non fu tanto dovuta al dolore di una guerra mondiale quanto alla perdita di
fiducia nel potere supremo. La fine dell'Unione Sovietica non fu tanto per
la scarsità di merci nei negozi, quanto per le bugie di un'ideologia ufficiale
sempre più incompatibile con la vita reale”.
Si
tratta, naturalmente, di una autorappresentazione fortemente idealizzata e
decisamente politica. La storia dell’impero russo è piuttosto, a partire dalla
conquista del Khanato tataro di Kazan nel 1552, storia di conquiste e di
assimilazioni. Molte delle sue crisi, come peraltro ammette anche Trenin, sono
determinate dalla continua tentazione della componente ‘russa’ di reprimere le
tendenze autonomiste delle minoranze nazionali. Ne sono esempio l’insurrezione
polacca del 1863 (nella quale diverse classi si uniscono, mentre la base
schiavizzata resta incerta tra le offerte russe e il tentativo di mobilitazione)
ed il tentativo susseguente di ‘russificazione’ che portò alla crisi
rivoluzionaria. Il tentativo condotto da Lenin, nel Congresso di Baku nel 1920,
di proporre federalismo ed internazionalismo come cementi delle divergenti
nazionalità (non per caso bersaglio polemico costante di Putin), seguì ad una
nuova tendenza unificante sotto Stalin che ebbe successo solo a seguito della ‘Grande
guerra patriottica’. Tentativo che giunge comunque al termine, insieme alle
componenti più divergenti dell’impero multietnico in corso da quattro secoli,
con il crollo dell’Urss. E’ probabilmente a questa esperienza, alla scala
nazionale, cui Arestovich si riferisce nel ritenere che solo una ‘Grande guerra’
può creare la nazione ucraina.
Nella
visione proposta dal politologo, invece, il sistema di valori russo sarebbe
imperniato sui principi di uguaglianza tra i diversi popoli ed etnie (e
religioni) e giustizia. Nel modo di pensarsi dei russi non ci sarebbe spazio
per il razzismo e per una rivendicazione di superiorità[15], ma, al contempo, ci
sarebbe la rivendicazione orgogliosa di una propria autonomia. Giustizia,
uguaglianza, apertura, inclusività, mantenendo l’integrità interna sarebbero
quindi le guide spirituali del pensiero russo. Un pensiero che non intende e
non vuole essere esportato al resto del mondo.
Secondo
quello che è un piano di frattura ideologica che si sta allargando nel mondo, e
criticando la pretesa universalista del pensiero occidentale, Trenin afferma al
termine che “in un mondo globale in cui il modello occidentale ha raggiunto
limiti insormontabili, le piattaforme delle civiltà sono sempre più divise e ogni
civiltà ha le sue idee”. Dunque, superando le tradizioni del “comunismo tedesco”
(ovvero di Marx) e del “successivo neoliberismo americano”, la Russia si deve
riferire a filosofi, scrittori e storici russi come Pushkin, Chaadayev[16] ed altri per trovare un
solido punto di appoggio. Ovvero modernizzarsi per linee di sviluppo interno, e
non per una pedissequa imitazione di modelli altrui.
Aver
abbandonato l’ideologia comunista implica praticare la politica contemporanea senza
ideologia e preferenze politiche precostituite. Superando l’internazionalismo
proletario e le teorie liberali importate, si deve abbandonare qualsiasi velleità
di ordine mondiale. L’ordine mondiale non è unificato da una dottrina, ma
co-creato e modificato da molti attori su un piano di parità ed a diverso
livello di potenza. Un grande potere non costringe gli altri, ma non consente a
nessuno di imporgli la propria volontà, e può resistere.
Sarà
dunque dalla rottura delle relazioni con l’Occidente che emergerà la strada
della Russia, l’occasione per ridefinire il proprio posto, ruolo e scopo nel
mondo. Geograficamente la Russia è unica, non fa parte né dell’Europa né dell’Asia,
ma include sia l’Europa orientale sia l’Asia settentrionale. Si tratta, in
altre parole, di un centro di unità ed attrazione. Nel contesto della guerra ibrida
sollevata dall’Occidente sarà costretta a rivolgersi ad Est, a Cina, India e
dove possibile Medio Oriente. Questi paesi sono diventati e resteranno a lungo
le più importanti risorse diplomatiche ed economiche estere di Mosca.
Dunque
da ora la Russia, nella proposta di Trenin, dovrà rivolgere all’Occidente solo
l’attenzione militare, mentre quella diplomatica la dovrà spendere verso il
Transcaucaso, Kazakistan e l’Asia centrale, ovvero Turchia, Iran, Arabia orientale,
Asia meridionale e sud-orientale, Cina e India, senza dimenticare l’Africa ed
il Sud America. I forum d’azione non dovranno più essere il Fmi e l’Ocse,
quanto il CSTO, lo SCO.
“La cooperazione con i paesi non occidentali è importante per
formare posizioni comuni e un'ampia opinione pubblica su una serie di questioni
globali: sicurezza, economia, commercio, finanza, ecologia, informazione,
cultura e altro ancora. In molte di queste aree, la Russia può dare un
importante contributo al lavoro comune. Il ruolo attivo e costruttivo
della Russia può diventare esso stesso uno dei leader intellettuali e politici
del mondo”.
Echeggiando
toni propri della diplomazia cinese, suo partner sempre più
stretto, conclude affermando che “la Russia non cerca di dominare il mondo, non
sfrutta altri paesi e persone, non impone il proprio sistema di valori a
nessuno e non interferisce negli affari interni di altri paesi. Paesi diversi,
gruppi etnici diversi, culture diverse e le civiltà convivono armoniosamente”.
Questa
chiusa dell’articolo si connette con quello che è uno degli spiriti
emergenti del mondo. Sempre più è evidente che i paesi ‘non bianchi’
(secondo la razzistica tassonomia implicita, e talvolta non solo, occidentale[17]) emergono alla
consapevolezza che la pluralità di civiltà esistenti ha pieno diritto di
considerarsi alla pari con quella occidentale. Anzi, questa è una delle linee
di conflitto sottostanti anche il conflitto ucraino, che nelle parole di alcuni
suprematisti ‘kantiani’ è la battaglia tra la razza bianca ed ariana ucraina e
quella meticcia orientale russa.
Le
civiltà cinese, indiana e islamica si stanno alzando e rifiutano la visione
gerarchica lungo il maggiore o minore ‘avanzamento’, o ‘modernità’. Al suo
meglio questo concetto potrebbe essere connesso a quanto ha detto Xi Jinping
nel 2019: “le civiltà comunicano attraverso la diversità, imparano l'una
dall'altra attraverso gli scambi e si sviluppano attraverso l'apprendimento
reciproco”[18].
Oppure, in un discorso del 2014[19] lo stesso ricorda come la
visione cinese della ricerca della “armonia senza conformità”[20] riconosca che “le civiltà
diventano più ricche e variopinte attraverso gli scambi ed il mutuo
apprendimento”. Mutuo apprendimento che rappresenta la forza motrice per il
progresso dell’umanità.
‘Razionale’
e ‘vero’ sono concepiti come prodotti del ‘vivente’ in una totalità di
relazioni, anziché, alla maniera occidentale, come attributi oggettivati dell’essere
(che sono quindi interpretati da un potere).
Apprendimento
che implica tre principi:
-
le civiltà sono varie
e rappresentano, ciascuna, la memoria collettiva dei diversi paesi, tutte sono
frutto del progresso dell’umanità.
-
Le civiltà sono eguali
nel valore e ciascuna ha punti di forza e debolezza, “non esiste al mondo una
civiltà perfetta, né una priva di merito. Le civiltà non si dividono in
superiori e inferiori, buone o cattive”[21].
-
Solo l’inclusione rende grandi,
se ogni civiltà è unica la cieca imitazione è estremamente dannosa, “tutti i
traguardi delle diverse civiltà meritano rispetto, tutti devono essere tenuti
in gran conto”.
Quindi
bisogna concluderne che i popoli di tutto il mondo sono interdipendenti, “io
sono in te, tu sei in me” e formano un “destino comune”. Il pensiero
strategico cinese è pieno di questa concettualizzazione; invece di agire per
dominare (e uniformare il mondo) punta a che tutto, secondo la sua
propensione, si trasformi (hua). Cerca di restare “sotto il cielo” per individuare
“dove va la luce”, accompagnando la situazione al suo massimo potenziale ed
effetto. Nel concetto di tianxia (spesso tradotto in “la via del cielo”)
è incluso questo particolare universalismo concreto, che implica una
dialettica dell’inclusione, e concepisce la razionalità come prorompere da una
situazione collettiva accettata senza coercizione (anziché essere radicata nel
cogito individuale), e la verità come prodotto dell’armonia. È in questo senso
che il mondo è di tutti, 大道之行也天下為公,
“quando prevarrà la Grande Via, l’Universo apparterrà a tutti”, un verso
del testo confuciano “I riti”, ripreso da Qing Kang Youwei e dal Sun Yat-sen
nell’espressione “Tian xia wei gong”.
Abbiamo
scritto tutto questo per parlare della guerra. La barbara e inumana guerra.
La
guerra che nasconde e manifesta ad un tempo grumi concreti di interesse, di
classe e di gruppo. Interesse dell’Occidente (anzi, di uno degli occidenti) a
conservare la sua capacità di aspirare dal mondo, tramite il commercio ineguale
e tramite l’interconnessione finanziaria[22], il surplus e sostenere
in tal modo un tenore di vita che eccede quello del resto dell’umanità. Interessi
che sono per questo accuratamente nascosti sotto più strati sovrapposti di
ideologia e di sentimenti apparentemente umani.
Una
delle forme che prende invariabilmente la guerra ibrida[23] occidentale è nel doppio
peso che si dà ai propri morti, e dei propri clienti o strumenti (come l’Ucraina,
in questo caso), rispetto a quelli del nemico, siano essi civili o militari. Nascondendo,
al contempo, che tutto ciò serve a “combattere la Russia fino all’ultimo
ucraino” (come dice Doug Bandow del Cato Institute[24]). Facciamo qualche
esempio di guerra nostra contro i “meno umani” condotta dall’Occidente civile:
nel 2003 in Iraq il primo giorno di bombardamenti, in mondovisione, la
coalizione ha sganciato più ordigni dei primi 24 giorni di questa guerra (fonte
Defence Intelligence Agency, ovvero Pentagono); In Iraq e in Siria sono
stati sganciati 120.000 ordigni tra bombe d'aereo e missili; nell'assalto a
Raqqa c'è stato il più massiccio bombardamento di artiglieria dal Vietnam; a
Mosul sono morti 40.000 civili per un bombardamento a tappeto che ha distrutto
138.000 case....
Ma
la guerra chiama sempre la guerra, la barbarie aumenta la barbarie, forse fino
all’esito finale, la fine della civiltà dopo un ultimo lancio di missili.
Siamo
di fronte al baratro, ciò di cui abbiamo bisogno è di un forte movimento
pacifista.
Solo
di questo.
[1] - Fenomeno che, lo dovremo
guardare con attenzione, si è incrudito quando la crisi del Covid ha spezzato
le supply chain mondiali e la ripartenza ha evidenziato l'incremento senza
controllo delle materie prime, con conseguenze sistemiche e cumulative a carico
della competitività e dell'inflazione.
[2] - Andrea Nicastro, “Mariupol
in mani russe: siamo senza più difese”, Corriere della sera, 12 aprile
2022.
[3] - Il comandante del ‘battaglione’,
nel negare di essere nazista (mentre tutta la sua stessa pelle, e quella dei
suoi uomini, lo testimonia) ha dichiarato di leggere Kant.
[4] - Papa Francesco, “Contro la
guerra”, Libreria Editrice Vaticana, 2022
[5] - Ivi., p. 95
[6] - Si veda ad esempio questo servizio ed
intervista, oppure “Why the Ukraine crisi is the West’s fault”, nel
2014, in questa
raccolta di Francesco Sylos Labini.
[7] - Mattew Kroenig, “Washington
must prepare for war with both Russia and China”, 18 aprile 2022
[8] - Vicesegretario alla Difesa per gli affari di sicurezza
internazionale dal 1993 al 1994 ed ex ambasciatore degli Stati Uniti in
Arabia Saudita durante le operazioni Desert Shield e Desert
Storm. Freeman è noto in ambito diplomatico per essere stato vice
segretario di Stato per gli affari africani durante la storica mediazione
statunitense per l’indipendenza della Namibia dal Sud Africa e del ritiro delle
truppe cubane dall’Angola. Ha inoltre lavorato come Vice Capo Missione e
Incaricato d’Affari nelle ambasciate americane sia a Bangkok (1984-1986) che a
Pechino (1981-1984). Dal 1979 al 1981 è stato Direttore per gli Affari
Cinesi presso il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti ed è stato il
principale interprete americano durante la storica visita del presidente
Richard Nixon in Cina nel 1972.
[9] - Si veda https://it-insideover-com.cdn.ampproject.org/c/s/it.insideover.com/guerra/ucraina-ex-ambasciatore-freeman-usa-non-vogliono-pace-ucraina.html/amp/
[10] - Ray McGovern lavora con “Tell
the Word”, il braccio editoriale della Chiesa ecumenica del Salvatore nel
centro di Washington. Negli anni Sessanta prestò servizio come ufficiale
di fanteria/intelligence per poi diventare analista della CIA per i successivi
27 anni. Fa parte del gruppo direttivo dei “Veteran Intelligence
Professionals for Sanity” (VIPS) che è dedicata ad analizzare e criticare l’uso
dell’intelligence. Dunque un ex agente divenuto attivista politico che negli
anni ottanta preparava il briefing quotidiano del Presidente per conto della
Cia.
[11] - Ray McGovern, “Il
paradigma dei defunti su Russia/Cina”, AntiWar, 4 aprile 2022
[12] - Oleksiy Arestovych è Consigliere
del capo dell'ufficio del presidente dell'Ucraina per le comunicazioni
strategiche nel campo della sicurezza e della difesa nazionale. Intervista del
2019.
[13] - Dmitrij Trenin, “Riflettendo
sul percorso internazionale della Russia: chi siamo, dove siamo, per cosa e
perché”, Guancha, 15 aprile 2022
[14] - Per una ampia disamina della
natura etnicamente composita della Russia in tutta la sua storia si veda Andreas
Kappeler, “La Russia. Storia di un impero multietnico”, Edizioni Lavoro 2006
(ed. or. 1992).
[15] - Dello stesso avviso è Emmanuel
Todd, “Breve storia dell’umanità”, LEG, 2020 (ed. or. 2017).
[16] - Filosofo russo nato nel 1794 e
morto nel 1856, shellingiano e quindi filoccidentale. Scrive in francese e viene
dichiarato pazzo dallo zarismo. Amico di Alexander Puskin e marginalmente
coinvolto nella rivolta decabrista, sostiene che la Russia è rimasta indietro
rispetto ai paesi occidentali e deve iniziare nuovamente. Combatté lo
slavofilismo per tutta la vita e per questo fu esiliato, nella sua opera che
prende parte per gli ‘occidenzialitatori’ sostiene comunque che la Russia doveva seguire le sue linee di
sviluppo interiori se voleva essere fedele alla sua missione storica. Alla
fine, forse per questa posizione che sviluppa una modernizzazione per linee
interne, l’opera di Chaadayev ha influenzato sia gli occidentalizzatori sia gli
slavofili.
[17] - Si può vedere
il post “Circa
David Brooks, ‘La globalizzazione è finita’. Ovvero, ancora del ‘fardello
dell’uomo bianco’”, Tempofertile, 9 aprile 2022.
[18] - Si può vedere il post “Leggendo
dentro la crisi: visioni dell’egemonia tra Cina e Usa”, Tempofertile, 13
marzo 2022.
[19] - Xi Jimping, “Gli scambi ed il
mutuo apprendimento rendono le civiltà più ricche e variopinte”, discorso al
quartier generale dell’Unesco, 27 marzo 2014, in Xi Jimping, “Governare la
Cina”, Giunti Editore 2016.
[20] - Dialoghi di Confucio, “Zilu”. Si
veda anche Lunyu 13,24, “he er bu tong”, dove “he” indica la corrispondenza tra
i suoni, nella quale ognuno esprime pienamente la propria potenzialità
articolandosi in perfetta sintonia con gli altri, questa parola implica
consenso (gongshi) che tiene tutti in gioco. Esclusione e conflitto sono
l’opposto del concetto di ‘armonia’ (una traduzione possibile di “he”) che
implica l’impegno di mediazione tra tutte le parti in gioco allo scopo di
realizzare una società che incontri il massimo consenso di tutti, dando ascolto
anche ad istanze diverse e contraddittorie, senza indulgere né
nell’autoritarismo di sceglierne una né nel libertarismo di lasciarle senza
armonia. La tensione tra ordine (zhi) e disordine (luan), sia a livello sociale
sia individuale e spirituale, è alla radice del perseguimento dell’armonia
nella ricerca costante del miglior punto di equilibrio tra le forze in gioco.
[21] - Xi Jimping, cit., p. 324
[22] - Si veda per un inquadramento
concettuale, Alessandro Visalli, “Dipendenza.
Capitalismo e transizione multipolare”, Meltemi 2020, oppure Giacomo
Gabellini, “Krisis.
Genesi, formazione e sgretolamento dell’ordine economico statunitense”, Mimesis,
2021.
[23] - Si veda Qiao Liang, Wang
Xiangsui, “Guerra senza limiti”, LEG, 2001 (ed. or. 1999).
[24] - Doug Bandow, “Washington
Will Fight Russia To The Last Ukrainian”, The American Conservative, 14 aprile
2022.
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