Nel
blog “Scheerpost”, un sito collettivo da tenere d’occhio, è riportata un’intervista[1] di
Robert Scheer[2]
all’anziano professor Michael J. Brenner[3],
illustre professore emerito di Affari internazionali presso la Università di Pittsbourgh,
e prima della John Hopkins e Direttore del Programma Studi Globali e
Relazioni Internazionali dell’Università del Texas, poi insegnante a
Stanford, al Mit, ad Harvard.
L’ottantenne
professore avvia la conversazione raccontando un’esperienza personale: come usa
a molti da anni diffondeva analisi politiche sulla situazione mondiale ad una
selezionata mailing list di corrispondenti. Avendo condiviso analisi sulla crisi
ucraina non corrispondenti alla linea ufficiale ha ricevuto un tale violento
tenore di risposte da essere costretto a concluderne che la società americana “non
è in grado di condurre un onesto, logico, ragionevolmente informato discorso sulla
questione”. In altre parole, non esiste su questi temi una reale sfera
pubblica, sostituita da fantasia, falsificazioni, fabbricazioni di informazioni,
faziosità e aggressione. Il crollo dell’infrastruttura della democrazia
liberale arriva al punto che uscire dalla linea, anche parlando con corrispondenti
storici legati da vincoli di rispetto e amicizia, comporta immediati attacchi
personali.
Questo
lo vediamo benissimo anche in Italia, sono “tempi da canaglia”, come
ebbe a dire Lillian Helman[4]
durante il McCartismo.
Bisogna
notare che quel che Brenner ha fatto, nel suo post incriminato, non è niente
altro di quel che ogni buon accademico dovrebbe fare normalmente: porre
domande. Ovvero, come dice il conduttore, “quel che ha fatto tutta la vita”. L’accademico
conferma infatti di aver mandato i commenti ad una lista di circa 5.000 persone
che erano in contatto da un decennio, ed erano tutti addetti al settore. Ma in
questo caso persone che sono normalmente sobrie ed equilibrate, vecchie
conoscenze, mediamente impegnate e ben informate sulle questioni di politica
estera, si sono abbandonate ad attacchi al patriottismo dello scrivente; alcuni
hanno alluso a che l’ex funzionario del Dipartimento della Difesa si sia
fatto pagare da Putin; altri che sia semplicemente pazzo. Quel che ha
sbalordito, inoltre, Brenner è che persone di grande competenza specifica hanno
“comprato” ogni aspetto della “storia immaginaria” propagata dall’amministrazione
Usa, e quindi accettata ed interamente inghiottita dai media e dalla classe
politico-intellettuale. Accettata ed inghiottita anche da molti accademici e
dall’intera galassia dei think thank di Washington.
Una
questione di “patriottismo”, evidentemente.
La
conclusione che ne trae il nostro è che ormai le parole cadono nel vuoto;
quel che si registra è la totale cancellazione della sfera pubblica[5] e
l’affermazione in sua vece di un discorso cristallizzato, uniforme, e
insensato. Ovvero “privo di qualsiasi logica interiore”. Nel quale il nesso tra
premesse ed obiettivi e conseguenze è reso oscuro e inarticolato. Si tratta di
quel che chiama un “nichilismo politico ed intellettuale”. Per la prima volta
nella sua vita di insider di successo Brenner ha dunque “sentito di non far
parte di questo mondo”.
Concordo
con lui[6].
Questo
è senz’altro il primo punto. La
nozione di ‘patria’, totalmente
aderente al ristretto grumo di interessi e cognizioni espresso dal sistema politico-sociale
dominante, e dai suoi ambienti di riferimento, è diversa da quella che un ex
insider, altamente professionalizzato, ma da tempo ‘fuori dai giochi’ (l’autore
ha circa ottanta anni) considera evidentemente, anche se implicitamente, essere
la propria. La responsabilità di Brenner è verso l’America, come si vede nella
conversazione, ma dove questa è piuttosto l’insieme del suo popolo e destino
che non il ristretto, immediato, miope, istinto predatorio di ristretti circoli
bi-partizan dominanti.
Il
secondo punto viene evocato
subito da Scheer, ed è una traccia che più di uno individua[7]:
mentre nella Guerra Fredda tutte e due le parti erano disposte a negoziare, e
le controparti erano “molto serie”, anche quando si chiamavano Mao Zedong,
improvvisamente in questo caso Putin è stato messo fuori del genere umano,
nella “categoria Hitler”. C’è un salto generazionale qui, una caduta di
competenza diffusa nell’ambiente decisionale, probabilmente una radicale
differenza nelle esperienze formative.
La
critica di Brenner, che della Guerra Fredda è stato uno dei protagonisti
(comunque coinvolto), è che in ogni analisi si deve partire da alcuni
fondamentali:
-
che
natura ha il regime russo,
-
quali
obiettivi ha,
-
che
preoccupazioni in politica estera e per la sicurezza nazionale.
Partendo
dalla prima questione per il nostro il regime russo non è una
dittatura, Putin non è un dittatore, non è onnipotente ma è espressione
del paese e della sua leadership collettiva. Il governo russo ha processi
decisionali complessi. Aggiungo che sono di tipo democratico-elettorale (si è
usato talvolta il termine ‘democratura’ per indicare il carattere non ‘standard’
nei canoni occidentali del sistema russo).
Inoltre,
“Putin stesso è un pensatore straordinariamente sofisticato”[8].
“Non
conosco, infatti, nessun leader nazionale che abbia esposto nei dettagli, con
precisione e raffinatezza la sua visione del mondo, il posto della Russia in
esso, il carattere delle relazioni interstatali, con il candore e l'acutezza
che ha. Non è una questione se credi che quella rappresentazione che offre sia
del tutto corretta, o la conclusione che ne trae, per quanto riguarda la
politica. Ma avete a che fare con una persona e un regime che per aspetti
vitali è l'antitesi di quello che è caricaturato e quasi universalmente
accettato, non solo nell'amministrazione Biden ma nella comunità della politica
estera e nella classe politica, e in generale”.
Ma
questo modo di distorcere i fatti in effetti solleva domande basilari. Non sulla Russia, che è quel che è, ma sugli Usa. La
domanda che fa Brenner nella parte di gran lunga più interessante dell’intervista
è: “di cosa abbiamo paura? Perché gli americani si sentono così minacciati,
così ansiosi?” Abbastanza evidentemente la minaccia è piuttosto dalla Cina,
solo che con questa azione di “incoraggiamento” sta formando con la Russia ed
altri un blocco che insieme è “formidabile”. Ma anche quella cinese è una sfida
alla supremazia ed egemonia americana, non direttamente al paese, la Cina non è
espansionista, come dirà dopo.
Se
questo è vero, la vera domanda diventa: “cosa c’è di così convincente nel
mantenimento e nella difesa di una concezione della provvidenziale nascita
degli Stati Uniti d’America nel mondo, che costringe a vedere persone come
Putin [che non la riconoscono] come diaboliche”? Ovvero a paragonarle a Stalin
e Hitler e ridicolmente accusarle di genocidio? È qui interessante l’uso
appropriato della parola “diaboliche”, perché la domanda ha uno sfondo
teologico e non politologico. Brenner tocca un punto molto noto dell’autorappresentazione
storica della élite angloamericana (ovvero della minoranza relativa Wasp, che
detiene saldamente l’egemonia negli Usa almeno da ‘600), come popolo di
destino, incaricato da Dio di portare la cittadella celeste sulla terra. Chi si
oppone a Dio è sempre un diavolo.
Dunque
la fonte della inquietudine, e l’esatta nozione di ‘patriottismo’ all’opera, è
dentro, non è fuori nel mondo. Gli americani non sono inquieti (ovviamente
le élite Wasp e i loro cooptati) per qualcosa che riguarda veramente la
Russia, o la stessa Cina, ma per qualcosa che riguarda il favore del cielo, per
così dire. Il problema è che vedere il mondo in questo modo, decisamente premoderno,
porta a “grossolane distorsioni” e condurrà al disastro.
Ciò
anche perché questa volta non si sta andando a spianare un paese piccolo, una
potenza marginale o al massimo media, come l’Afghanistan, l’Iraq o il vecchio
Vietnam. Ma si sta facendo quel che durante l’intera Guerra fredda la saggezza
di entrambe le parti evitò. Confrontarsi con un’enorme potenza nucleare (su
questo specifico terreno anche più forte degli Usa). Quel che è accaduto è
un passaggio generazionale tra coloro
che, come Brenner, erano nati negli anni ’40 o prima, ed avevano visto una
poliarchia di potere come contesto di crescita, e coloro che sono nati negli
anni ’80 o ’90 oggi al posto di comando nelle amministrazioni chiave, che sono
cresciuti nella “fase unipolare”. I secondi hanno dimenticato il rischio della
guerra nucleare, anche accidentale, con il pilota automatico. Inoltre, hanno perso
lo stesso concetto di negoziare con un nemico che non puoi semplicemente
annientare, al tempo negoziarono con Mao, e lo fece Nixon. Oggi con un nemico molto
meno radicale, ideologicamente vicino, sembra impossibile.
Oggi
la componente neoconservatore, falchi estremi, che aveva definito al tempo dei
due Bush lo schema della “Global Security”[9], è
passata, dice Scheer, nel Partito Democratico. Si sta quindi manifestando
quella che Brenner chiama direttamente una “psicopatologia collettiva”.
Ovvero, questo è molto interessante, “ciò che si ottiene in una società
nichilista in cui tutti i tipi di punti di riferimento standard e convenzionali
cessano di servire come marcatori e linee guida su come si comportano gli
individui”. Una società che cancella la storia vive in un presente scheletrico
e svuotato, che si dimentica totalmente anche dell’esistenza stessa delle armi
nucleari. Mentre prima, nel periodo di formazione ed azione pubblica dei due
dialoganti, “ogni leader nazionale e ogni governo nazionale che aveva la
custodia di armi nucleari era giunto alla conclusione e aveva assorbito la
verità fondamentale che non svolgevano alcuna funzione utilitaristica”, ora non
è più così. Ora questa consapevolezza resta solo al Pentagono, che lo studiano,
devono professionalmente studiare anche la storia della Guerra Fredda e delle
armi. In sostanza si è in un ‘territorio’ nel quale non si è mai stati. Uno in
cui si potrebbero usare le armi nucleari, anche per errore, perché nessuno
sembra davvero preoccuparsene.
Considerando
questa considerazione di sfondo, ed causa di questo orientamento antropologico
e teologico, oltre alla distruzione della consapevolezza storica si è affermata
una narrativa completamente distorta.
Per
Brenner, che ricordo essere uno studioso esperto e più che referenziato, ex consulente
del Foreign Service Institute,
il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti e Westinghouse, i
punti da rivedere nella narrazione sono:
1-
La
crisi che porta alla invasione russa ha poco a che fare con l’Ucraina. Mentre ha a che fare con la Russia e con la politica
estera americana, volta da almeno un decennio solo a renderla debole e incapace
di affermarsi negli affari europei. L’obiettivo di questa politica è uno: “vogliamo
che la Russia sia emarginata, neutralizzata come potenza in Europa”. Quel che risulta
frustrante è che Putin è riuscito a ricostruire una Russia stabile che ha un
suo proprio senso dell’interesse nazionale e che ha una visione del mondo
diversa da quella Usa.
2-
Putin
e la Russia non sono interessati all’espansione.
3-
L’Ucraina
è per loro decisiva, non solo per ragioni storiche e culturali, ma perché sullo
sfondo della storia russa è intollerabile che aderisca alla Nato e diventi
organicamente un paese nemico.
Per dare forse un’idea, aggiungo, potrebbe essere come se il Texas aderisse ad
una potenza ostile e nemica.
4-
Putin
nel continuum degli atteggiamenti dei ceti decisionali russi, da falco a
colomba, è sempre stato più vicino alle seconde. Quasi tutte le forze più potenti ritengono, ben più
di Putin, che la Russia è stata sfruttata dall’Occidente e che la politica
accomodante e di adesione o di riconoscimento come attore legittimo (più volte
tentata da Putin) sia illusoria. Se cambierà il governo russo sarà solo in
peggio.
5-
Ci
sono prove convincenti che quando Biden è salito al potere “ha preso la decisione
di creare una crisi sul Donbass per provocare la reazione militare russa ed
usarla come base per consolidare l’Occidente, unificandolo”. Costringendo in particolare l’Europa a schiacciarsi
sulla strategia americana.
6-
Un
obiettivo atteso era destabilizzare la Russia, causando la caduta di Putin, ma
questa ipotesi non è plausibile. Solo persone come Blinken, Sullivan e Nuland possono crederci.
7-
Per
ottenerlo hanno iniziato per otto anni a rafforzare l’esercito ucraino, con
armamenti e consulenti, probabilmente forze speciali sul campo (Usa, britanniche
e francesi).
8-
L’assalto
al Donbass è stato pianificato, con una decisione finale assunta a novembre ed
una data di attacco in massa fissata a febbraio dagli Usa. A febbraio, seconda settimana, Biden disse che se
l’invasione russa fosse stata limitata allora ci sarebbe stata discussione
entro la Nato per la risposta, oltre le sanzioni, ma se fosse stata massiccia
(come è stata), allora tutti sarebbero stati d’accordo di “uccidere il Nord Stream
II”[10] e
prendere misure senza precedenti verso la Banca centrale russa.
9-
I
russi hanno capito tutto il piano di gioco e che sarebbe accaduto presto.
10- quando il 18 febbraio l’Ucraina ha intensificato di 30
volte i bombardamenti sul Donbass, poi ancora di più il 21, i russi hanno agito
prima dell’offensiva generale perché militarmente era l’unica cosa da fare
ormai.
Tutta questa
cronologia è l’esatto opposto della “storia di fantasia” che pervade il
discorso pubblico.
Questo significa difendere Putin? L’ex consulente
americano ammette di trovare molto difficile difendere, o giustificare,
qualsiasi grande azione militare che possa portare a simili conseguenze sanguinose.
Salvo che per autodifesa.
Ma, qui una delle frasi probabilmente più sconvolgenti
dell’intervista: “ma sai, è lì che siamo”.
“se ci
fosse stato l'assalto ucraino pianificato sul Donbass, Putin e la Russia
sarebbero stati in guai reali, se si fossero limitati a rifornire le milizie
del Donbass. Perché dato il modo in cui avevamo armato e addestrato gli
ucraini, non potevano davvero sopportarli. Quindi quella sarebbe stata la fine.
La subordinazione della popolazione russa e la soppressione della lingua russa,
che sono tutti passi che il governo ucraino ha portato avanti e ha nel lavoro”.
Chi si sta realmente difendendo è la
Russia, non l’Ucraina.
Chiunque dicesse una cosa del genere sarebbe
immediatamente accusato di essere “putiniano”, pazzo, e, ovviamente, di non
essere un “patriota”, dunque di essere un traditore al soldo del nemico.
Cosa che, in effetti, è stato detto dell’ottantenne professore di Relazioni
Internazionali ex di Harvard, del Mit, della John Hopkins, Università del Texas,
e del ex consulente della Difesa.
Quel che succede, in effetti, è che gli Usa possono
ben essere nazionalisti (ma non si sentono tali, perché non si sentono una
nazione, ma un popolo in missione di Dio), ma nessun altro è autorizzato ad
esserlo. Sono solo gli Stati Uniti ad essere i depositari dei valori di Libertà
e Giustizia. Non riconoscono più nessuna aspirazione agli altri. Ma nel farlo
hanno compiuto il miracolo di unire Russia e Cina che sono da sempre in
frizione reciproca.
Quel che accade quindi è niente di meno che “il
sistema mondiale viene trasformato dalla formazione di questo nuovo blocco
sino-russo, che incorpora sempre altri paesi, tra cui l’Iran”. In pratica
le sanzioni, fuori del mondo strettamente Occidentale, sono state sostenute
solo da due nazioni: Giappone e Corea del Sud. Semplicemente tutta l’Asia, l’Africa,
l’America Latina, non le stanno osservando. Qualcuno agisce lentamente, per
timore delle ritorsioni americane, ma non le seguono.
Ne consegue che l’intera Grande Strategia
americana sta fallendo, sia nel separare Russia e Cina, sia nel disgregare
la Russia. Fallisce perché fondata su una mancata comprensione della situazione
e premesse sbagliate. Tutto, sostiene Brenner, era in effetti fondato su una “arroganza
assolutamente senza precedenti”, peculiarmente americana, ovvero sulla “fede
che siamo nati in una condizione di virtù originale, e siamo nati con una sorta
di missione provvidenziale per condurre il mondo a una condizione migliore e
più illuminata”. La “singolare nazione eccezionale”, che ha la libertà di
giudicare tutti gli altri.
Questa idea ha anche condotto a cose buone, ma ora è
diventata “così pervertita” ed incoraggia e giustifica gli Stati Uniti a
sentirsi il giudice di ultima istanza, unto da Dio, per decidere cosa è
legittimo e cosa non lo è. Quindi quali interessi nazionali, autodefiniti da
altri governi, si possono accettare e quali no. Tutto questo “è assurdo
nella sua arroganza” e sfida la logica. Noi americani, abbiamo dimenticato,
sostiene, sia la moderazione basata su una “umiltà politico-ideologica” sia
qualunque base di realismo. In sostanza, e qui si arriva ad un altro punto
molto profondo dell’analisi, “viviamo in un mondo di fantasia, una
fantasia che chiaramente serve alcuni bisogni psicologici vitali del paese
americano, e specialmente delle sue élite politiche”.
In sostanza le élite politiche, la cui legittimazione
strettamente democratica è sempre più incerta (in un paese nel quale pochi
votano, le elezioni si risolvono per manciate di voti e sempre contestati
aspramente) fondano la propria legittimità su un’autoattribuita “responsabilità
custodiale per il benessere del paese e della sua gente”. Questo ruolo dei “custodi”
(come al tempo scriveva anche Robert Dahl) viene però alla fine tradito, per le
conseguenze che si stanno prefigurando. La legittimazione custodiale non è,
infatti, ex ante, derivante dalla formazione legittima del consenso, ma ex
post, per le conseguenze desiderabili.
Tra le conseguenze c’è l’effetto che il vecchio
establishment repubblicano neoconservatore, diventato democratico (una cosa
che, probabilmente, è accaduta durante la presidenza Trump, quando settori di
insider sono transitati) ha involontariamente provocato. Designando contemporaneamente
come nemici la Cina e la Russia li hanno saldati. Un paese enorme, sottopopolato,
con immani risorse energetiche e minerali, con un paese sovrappopolato,
ricchissimo ed industriale, scarso di tali risorse. Per effetto gli Usa, dice
Scheer potrebbero avviarsi alla decadenza come la vecchia Roma.
In un altro podcast[11]
del medesimo sito Ellen Brown aggiunge un angolo del motivo per il quale
potrebbe crollare: l’attacco del paese con più risorse minerarie del mondo al
petrodollaro, seguito da Cina, India. Turchia e Arabia Saudita (oltre a Iran, Venezuela
ed altri), può avere ripercussioni globali per decenni e portare alla fine del
predominio del dollaro. Cosa che potrebbe rapidamente portare ad una crisi di
fiducia verso una moneta che ha alle spalle un paese iperindebitato, che ha
debiti con l’estero per 30 trilioni di dollari e paga interessi enormi. Per dare
un’idea, per rallentare l’inflazione che è in parte un effetto del disordine
commerciale giù preesistente alla guerra ed in parte della tempesta energetica,
in altra parte della espansione monetaria senza limiti degli ultimi quindici
anni, la Fed sta aumentando i tassi. Ma facendolo salgono gli interessi. E alcune
proiezioni dicono che gli interessi sul debito (che le spese di guerra incrementano)
finirà per assorbire la metà delle risorse fiscali americane. Un modo antico
per reagire sono i bottini di guerra, che è quel che è stato fatto alle riserve
russe (e iraniane, venezuelane, etc.). Tutti finiranno per scappare dalla nave.
D’altra parte, più l’America si presenta al mondo come
l’unico paese illuminato, civile, democratico, patria della libertà, e presenta
tutti coloro che non lo accettano come nemici della civiltà, più gran parte del
mondo li considereranno una sorta di Impero romano impazzito. Questo mentre,
ricorda Brenner, piuttosto la Cina non è mai stata interessata nella sua storia
a conquistare altre società e governare altri popoli. “Non sono mai stati
nel business della conquista”.
La questione non è che la Cina potrebbe mandare i suoi
soldati a passeggiare a Washington, la minaccia che sentono gli Stati Uniti è
di altro genere, e più esistenziale: l’abilità economica del sistema cinese,
qualunque cosa sia, risale ad un modello diverso. Questo è molto minaccioso
“perché -attenzione- mette in discussione la nostra auto-definizione come
naturale punto culminante del progresso e dello sviluppo umano”. La sfida
è quindi politica, di filosofia sociale, economica e solo da ultimo e
secondariamente, militare.
Per tutto questo, semplicemente, non c’è posto nella
concezione americana di ciò che è reale e naturale. Questo guida l’ansia e
paranoia per la Cina, per questo non ci sono alternative a distruggerla. Non c’è
dialogo possibile.
Non è possibile fare ciò che dovrebbe essere giusto:
“si
sviluppa un dialogo con i cinesi che richiederà anni, che sarà continuo, in cui
si cerca di elaborare i termini di una relazione, su un mondo che sarà diverso
da quello in cui ci troviamo ora, ma che certamente soddisferà i nostri
interessi e preoccupazioni di base così come quelli della Cina. Concordare le
regole della strada, ritagliarsi anche aree di convergenza. Sai, un dialogo
di civiltà”.
Un dialogo di civiltà che la Cina chiede
insistentemente e che un importante diplomatico altamente ostracizzato da oltre
10 anni, Chas Freeman[12]
(che era giovane quando Nixon visitò Pechino e lo accompagnò), tenta
inutilmente di suggerire. Lui ormai, semplicemente non esiste. E si tratta di una
persona che Brenner definisce: incredibilmente intelligente, acuto, sofisticato,
superiore per molti ordini di grandezza ai pagliacci che ora stanno facendo la
politica cinese. O un illustre politologo conservatore realista come John
Mearsheimer in questo recente intervento “How is it look when looking at Us story”[13].
La sinistra previsione finale è che giungeremo ad una
crisi del genere della Crisi dei Missili a Cuba, probabilmente a Taiwan, a
seguito di una guerra convenzionale che perderemo.
Crisi alla quale, per la qualità del personale (i “pagliacci”)
che guidano l’amministrazione Usa, ma non solo[14],
dimentica di tutto e di ogni prudenza, “spero che sopravviviamo”.
[1] - Michael J. Brenner, “American
dissent on Ukraine is dying in darkness”, Scheerpost, 15 aprile 2022.
[2] - Robert Scheer è un giornalista
esperto, autore della famosa intervista a Carter uscita su Play Boy e poi di
altre con Richard Nixon, Ronald Reagan, Bill Clinton per il Los Angeles Times.
Dal 1964 al 1969 è stato corrispondente dal Vietnam, mentre dal 1976 al 1993 è
stato corrispondente per il Los Angeles Times su temi di politica
internazionale. E’ co-conduttore del programma radiofonico “Left Right and Center”
su KCRW. Scheer Intelligence è un podcast di KCRW. Autore di otto libri.
[3] - Michael J. Brenner, professore emerito di Affari
Internazionali presso l'Università di Pittsburgh e Fellow del Center for
Transatlantic Relations presso SAIS/Johns Hopkins. È stato Direttore
del Programma di Relazioni Internazionali e Studi Globali presso
l'Università del Texas. E’ autore di numerosi libri e oltre 80 articoli e
pubblicazioni. I suoi lavori più recenti sono: “Promozione della
Democrazia e Islam”; “Paura e terrore in Medio Oriente”; “Verso
un'Europa più indipendente”; “Personalità pubbliche narcisistiche
e i nostri tempi”. I suoi scritti includono libri con la Cambridge
University Press (“Nuclear Power and Non-Proliferation”), il Center
for International Affairs dell'Università di Harvard (“The Politics of
International Monetary Reform”) e la Brookings Institution (“Reconcilable
Differences, US-France Relations In The New Era”). I suoi interessi di
ricerca riguardano la politica estera americana, la teoria delle relazioni
internazionali, l'economia politica internazionale e la sicurezza nazionale. Brenner
ha precedentemente lavorato presso il Foreign Service Institute, il Dipartimento
della Difesa degli Stati Uniti e Westinghouse.
[4] - Lilliam Hellman, “Scoundrel time”, New York Times Book, 1972
[5] - Ovvero l’infrastruttura
fondamentale della democrazia liberale, che in assenza di un’area di
discussione in linea di principio libera dal dominio e soggetta alla
costrizione dell’argomento migliore, è del tutto svuotata e coincidente con un’oligarchia
con una ritualità periodica. Cfr. Jurgen Habermas, “Storia e critica dell’opinione
pubblica”, Laterza 1971 (ed.or. 1962).
[6] - Per un mondo del quale si può far
parte invito piuttosto ad ascoltare questo postcast “The Chris Hedges report with
dr. Cornel West”.
[7] - Ad esempio, Jurgen Habermas, “Guerra
ed oltraggio”, Süddeutsche Zeitung, 29 aprile 2022.
[8] - Per averne una verifica si può
leggere in italiano, Vladimir Putin, “Di
fronte alla storia. Obiettivi e strategie della Russia”, PGreco, 2022.
[9] - Ovvero garantire “il libero e
regolare accesso alle fonti energetiche, anzitutto il petrolio, all’approvvigionamento
delle materie prime, della libertà e sicurezza dei traffici marittimi ed aerei,
della stabilità dei mercati mondiali, in particolare di quello finanziario”. Si
veda Danilo Zolo, “Cosmopolis.
La prospettiva del governo mondiale”, Tempofertile, 2 maggio 2022.
[10]
- L’uccisione del “Nord Stream
II”, obiettivo di lungo periodo dell’amministrazione Usa, rende l’Europa
dipendente dall’intermediazione dei paesi di passaggio del gas russo e riduce
la sua flessibilità energetica.
[11]
- Robert Scheer intervista
Ellen Brown sulla
crisi dell’economia mondiale. Si può leggere anche “Chi
ha ucciso il cervo? Della guerra tra moneta e merci”, Tempofertile, 25
aprile 2022.
[12] - Vicesegretario alla Difesa per gli
affari di sicurezza internazionale dal 1993 al 1994 ed ex ambasciatore
degli Stati Uniti in Arabia Saudita durante le operazioni Desert Shield e Desert Storm. Freeman è noto in ambito diplomatico per essere stato
vice segretario di Stato per gli affari africani durante la storica mediazione
statunitense per l’indipendenza della Namibia dal Sud Africa e del ritiro delle
truppe cubane dall’Angola. Ha inoltre lavorato come Vice Capo Missione e
Incaricato d’Affari nelle ambasciate americane sia a Bangkok (1984-1986) che a
Pechino (1981-1984). Dal 1979 al 1981 è stato Direttore per gli Affari
Cinesi presso il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti ed è stato il
principale interprete americano durante la storica visita del presidente
Richard Nixon in Cina nel 1972. Autore di Chas Freeman, “Arts of Power: statecraft and diplomacy”,
United States Institute of Peace Press, 1997
[13]
- John Mearsheimer, “How is it look when
looking at Us story”, 29 aprile 2022.
[14]
- Il 27 aprile il Ministro degli Esteri britannico,
Liz Truss (a proposito delle donne che non fanno la guerra), alla City Mansion
House ha ribadito che:
-
Il Regno Unito ha inviato armi e addestrato le truppe ucraine molto prima che
la guerra iniziasse.
-
Questo è il momento del coraggio, non della cautela. E dobbiamo garantire che,
insieme all’Ucraina, i Balcani occidentali e paesi come la Moldavia e la
Georgia abbiano la resistenza e le capacità per mantenere la loro sovranità e
libertà.
-
La politica della porta aperta della
Nato è sacrosanta. Se la Finlandia e la Svezia scelgono
di unirsi in risposta all’aggressione russa, dobbiamo integrarle il prima
possibile.
-
la guerra in Ucraina è “is our war”.
-
la sicurezza euro-atlantica e quella indo-pacfica sono indissolubili, bisogna
contrastare sia la Russia che la Cina e c’è bisogno di una “Global NATO”.
-
“Your Excellencies, ladies and gentlemen, geopolitics is back!”. Il suo
discorso qui.
Un gran bel lavoro di elaborazione e di sintesi. Complimenti ad Alessandro Visalli.
RispondiEliminaAspettavo un'analisi così profonda e ampia dell'America, desideravo sapere e connettere la politica USA di Trump e Biden con quella di RUSSA e CINA. Sono molto grata a Michel Brenner per la sua interpretazione capace di chiarire sia sul piano interno che euroatleuroatlantico e pacifico i ruoli delle grandi potenze nello scenario mondiale e specifico della guerra in Ucraina. Studierò nei dettagli gli argomenti trattati approfondendo le note. Grazie infinite!
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