In un forum del Boston
Review sul “reddito di base per una
società giusta” leggiamo l’intervento
di Annette Bernhardt e (in un altro post) quello di Brishen Rogers. Nel pezzo
di Rogers viene chiarito, nel contesto statunitense, come molto spesso il “reddito
di base” sia proposto da punti di vista libertariani, anche agitando
prematuramente e strumentalmente allarmi sulla fine del lavoro, mentre andrebbe
inserito invece in un contesto di presa di potere dal basso del mondo del
lavoro, sfidato e destabilizzato da nuove tecnologie il cui principale effetto
non è di eliminare il lavoro, ma di deprezzarlo e renderlo servile.
Michelangelo Buonarroti |
Mentre sul tema dell’attualità degli allarmi per una
società senza lavoro guidata dalla tecnologia si può leggere il recente articolo
di Mishel, sul quale magari faremo un altro post (anche per lo studioso della
ripartizione dell’ineguaglianza la “questione robot” è per ora soprattutto una
distrazione in parte intenzionale ed il tema è piuttosto tornare ad avere un
buon lavoro, adeguatamente pagato), la Bernhardt mette il dito su un punto
veramente centrale.
Questo è certamente un punto di radicale distanza dai “libertariani”,
ma è ovvio che sono alla fine gli esseri umani che creano le nuove tecnologia. In
linea di principio gli esseri umano possono modellarne quindi il percorso. Un punto
simile lo sostiene Atkinson nel suo libro
finale (di una intera vita) sulla disuguaglianza: non deve essere accettato
fatalisticamente che il percorso dello sviluppo tecnologico sia quasi come un
percorso della natura. E con esso l’automazione.
Come dice, invece, la Bernhardt un ordine del giorno
progressista deve includere il controllo intenzionale, pubblico e democratico,
del mix tecnologico, cioè: “il controllo di quali tecnologie sono sviluppate e
per quali fini, e come esse sono incorporate nell’organizzazione del lavoro e
della produzione”. Anche se qualcuno evocherà mentalmente le deviazioni iperburocratiche
sovietiche, la questione che pone la studiosa americana, come quello inglese, è
certamente cruciale e si può porre nei termini di questa alternativa:
-
la struttura della
nostra vita comune deve essere eterodiretta da dinamiche e meccanismi lasciati
al di fuori della nostra visione, comprensione e controllo (come vorrebbe Hayek
in “Legge, legislazione e libertà”, la
sua opera più coerente e matura)?
-
oppure l’impresa
collettiva della civile cooperazione può essere portata sotto l’autonomo
controllo umano?
Possiamo, in altre parole, essere liberi? Essere
liberi, anzi, che cosa significa?
E’ libero chi sceglie, consapevolmente, le proprie
azioni, mentre non può essere davvero libero chi si adatta passivamente alla
struttura dei rapporti sociali, economici, e politici indotti dalla piattaforma
tecnologica generale, vista come nuova natura ed a sé sovraordinata. Su questo
punto si potrebbe tornare, anche se la questione non è affrontata direttamente,
all’interessante studio di Axel Honneth “Il
diritto della libertà”. Il lavoro presuppone, per essere liberamente
accettato, una sorta di mutuo vincolamento e rispetto (Parsons), pur entro
complementari obbligazioni di ruolo, o, come diceva Hegel, l’onore e la libertà
civile.
Torniamo a Bernhardt, il focus sono gli effetti della
tecnologia sul lavoro che, come evidenzia anche Rogers:
-
struttura le
condizioni della qualificazione (o distruzione di competenza) delle attività
esistenti,
-
sposta la domanda
dei consumatori su sempre nuovi oggetti distintivi, attivando nuovi desideri e
creandone la domanda,
-
integra la forza
lavoro globale, aumentando enormemente l’offerta di lavoro (con immense conseguenze
sul piano della concorrenza),
-
e consente
outsorcing sempre più capillari, quindi disaggrega o aggrega anche su lunghe
distanze.
Queste trasformazioni possono essere mitigate (ed il “reddito
di cittadinanza” è una delle forme possibili); si può ad esempio dare
assistenza formativa ai lavoratori sostituiti o spostati, oppure possono essere
introdotte tasse sui robot (come
propone Bill Gates). Ma bisogna notare che attraverso la via fiscale, in
effetti, si va già oltre la mitigazione, si
influenza la traiettoria: se fosse introdotta una tassa per la
dequalificazione indotta dall’introduzione di tecnologia e nuove pratiche
organizzative connesse, anche se come dice l’autore “le flotte di robot
onniscenti sono a decenni di distanza”, questa sposterebbe i punti di
convenienza economica ad introdurre, e quindi anche a sviluppare e persino a
pensare, le stesse tecnologie. Come ricorda Atkinson era il punto di Hicks.
Certamente ci sarà bisogno, se si vuole andare in
questa direzione, di una metrica, cioè di una capacità e prassi valutativa: potremmo
usare il numero dei lavoratori disintermediati, la perdita potenziale di
guadagni durante la loro vita (anche a causa del ricollocamento su percorsi
professionali meno qualificanti o della durata di una disabilitante
disoccupazione), gli impatti derivanti sulla salute, sui costi aggregati sanitari,
sulla crescita ed i percorsi professionali ed umani di lungo periodo di figli e
nipoti, … è la questione della path-dependence (dipendenza dal percorso) di
molta parte della nostra economia e delle stesse biografie individuali inserite
in essa.
Occorre quindi una tecnologia della valutazione molto
sofisticata, e degli organismi corrispondenti.
Quel che è certo è che al termine di un simile filtro,
probabilmente il punto di arrivo sarebbe diverso.
Per l’autore la cosa non si deve spingere fino al
punto di seguire l’istinto di “ostacolare la tecnologia”, perché in tal caso si
potrebbero perdere delle occasioni di migliorare effettivamente le condizioni
di esistenza e anche di lavoro. La questione è che, come nella Fiat
degli anni settanta, queste trasformazioni devono essere “argomento di
contrattazione” entro i luoghi di lavoro con un sindacato denso e combattivo. L’esempio
che viene fatto è la grande battaglia sindacale portuale all’epoca (anni
sessanta e settanta) dell’introduzione dei container e della relativa logistica
meccanizzata, che ha avuto un impatto assolutamente decisivo sulle condizioni
di base della globalizzazione. Il sindacato dei portuali (ILWU) ha qui colto l’occasione
per migliorare le condizioni di sicurezza, gli incentivi per il pensionamento
anticipato, le pensioni garantite. Prossimamente faremo una lettura, grazie al
contributo di Gianni Marchetto, sulle lotte operaie in Italia su questo terreno
della sicurezza nel mondo del lavoro.
Naturalmente, non ogni volta si è di fronte all’introduzione
improvvisa di una nuova infrastruttura tecnica di larga portata, la maggior
parte del cambiamento tecnologico è incrementale, e colpisce i singoli
micronodi. È fatto di molte piccole decisioni, “che riguardano cumulativamente
requisiti di abilità, il mix dei compiti, la discrezionalità delle scelte
individuali dei lavoratori, e le opportunità di promozione”. Anche qui si
tratta di scelte che andrebbero condivise anche se sono individualmente meno
visibili; è la questione della democrazia
sul luogo di lavoro.
Inoltre, come è ovvio, tutti i settori sono connessi,
per cui un’applicazione per la consegna dei pasti perturba l’intera catena di
approvvigionamento alimentare nella quale magari si nascondono condizioni di
violazione gravi e seminascoste.
Fortunatamente molta tecnologia di connessione ha la
potenzialità di lavorare in più direzioni, non solo per mettere in contatto
tramite la piattaforma consumatore con distributore, ma anche i lavoratori tra
di loro. Chiaramente questa possibilità è accuratamente evitata, ma potrebbe
essere imposta dalla legge, ricreando con mezzi tecnologici le condizioni di
compresenza (almeno in parte) che erano la base di potere dei lavoratori nel trentennio
glorioso.
In ultima analisi l’obiettivo dovrebbe essere il
potere di essere considerati nello sviluppo stesso delle tecnologie e delle
soluzioni.
In questa prospettiva le nuove arene di regolazione sono:
-
la regolamentazione diretta della tecnologia, ad esempio degli algoritmi che determinano sempre
più i percorsi professionali, le assunzioni o i licenziamenti, o i prestiti, costringendoli
a introdurre criteri etici e sociali tipizzati nella norma, o a considerare in
vario modo il fattore umano.
-
Oppure la regolamentazione dei prodotti, ad
esempio la classificazione di servizi come Uber (ne abbiamo parlati qui)
che se fossero stati sin dall’inizio classificati come Taxi avrebbero avuto
effetti (e diffusione) del tutto diversi. L’opacità delle informazioni
utilizzate, e dei modelli di organizzazione dei dati, aiuta in questo ed altri
casi a produrre distribuzioni di benefici, ed in alcuni casi prezzi predatori,
che potrebbero essere legittimamente oggetto di regolamentazione, in
riferimento agli obiettivi pubblici e la definizione di interesse corrente.
Il punto è che “dovrebbe essere possibile implementare
la tecnologia in modo che valorizzi il lavoro umano e sia [insieme]
economicamente sostenibile”. E quindi plasmare lo sviluppo stesso della
tecnologia secondo una programmazione multistakeholders.
L’autore chiarisce che l’idea da coltivare è che il
sentiero di sviluppo (orientato da una dipendenza dal percorso) della
tecnologia, come di tutte le cose umane, non è dato ma è aperto a diverse
possibilità; ci sono “più percorsi di sviluppo tecnologico” possibili. Bisogna quindi
che l’estensione dell’attenzione, e dell’accesso, a più interessati dalle
conseguenze dell’introduzione di un sentiero tecnologico favorisca alternative nelle
quali si sviluppino soluzioni che lavorano con
gli esseri umani per migliorare la produttività congiunta e non al loro posto. Cioè che siano
disponibili per incrementale le scelte e non per automatizzarle.
Del resto le condizioni ci sono nella nostra attuale
società: concretamente l’impresa della tecnica è in larga parte collettiva, il
capitale privato normalmente finanzia solo l’ultimo miglio (lungamente insiste
su questo Mariana Mazzucato).
È chiaro, ricorda Annette Bernhardt, che tutto questo
richiedere un enorme investimento di potere, è dunque un progetto difficile, ma
al contempo lo genera. E del resto anche qualsiasi distribuzione del reddito
dopo la sua formazione (come il “reddito minimo”) ne richiede.
Vale quindi la pena concentrarsi sulle
pre-distribuzioni (come insiste Robert Reich), e la più radicale di tutte è il sentiero di sviluppo tecnologico.
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