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martedì 24 marzo 2020

Manolo Monereo, “Spagna alternativa: per un programma di ricostruzione nazionale e sociale”




L’ex deputato di Podemos Manolo Monereo, su Cuartopoder, ha pubblicato un breve articolo nel quale, mentre la Spagna e la sua Madrid sono alle prese con l’epidemia da Coronavirus che l’ha colpita appena meno del nord Italia, con ben 1263 morti nella città. In questo link la traduzione in italiano a cura di Nuova Direzione. La Spagna è al punto in cui era l’Italia sei giorni fa. A Madrid usano i palazzetti dello sport come obitori e i malati negli ospedali al collasso sono costretti a far aspettare i pazienti a terra, le misure di confinamento “di tipo italiano” stanno per essere prolungate fino all’11 aprile. L’economia sarà duramente colpita, come accadrà anche in Italia è probabile che lo sarà proporzionalmente di più nelle regioni più ricche, che hanno molto di più da perdere. Quel che non siamo ancora in grado di misurare è il carattere del tutto anomalo di questa crisi. Non si tratta di una crisi da sovraccumulazione, nella quale una parte dei capitali non riescono a completare il ciclo di valorizzazione per effetto degli squilibri nella domanda accumulati, neppure di quella forma che prende quando si manifesta nel circuito finanziario, con l’improvviso manifestarsi di un “momento Minsky”[1], ma di una crisi nella quale senza alcuna distruzione materiale il produttore è dissolto. Fino a che dura questo arresto della socializzazione la “virtù” incorporata nel complessivo sistema delle “macchine”, per usare le parole del famoso “frammento” dei Grundisse di Marx[2], viene neutralizzata e nessuna produzione avviene, come se ci fosse stata una completa distruzione. Questa distruzione è maggiore nei luoghi di più alta complessità, dove il sistema è più denso e maggiori le interconnessioni, nelle quali è più alta la dipendenza. La perdita non è senza rimedio, ma la disorganizzazione non resterà senza conseguenze e la riorganizzazione sarà complessa e dolorosa[3].
Monereo avvia il suo testo con una netta affermazione, del tutto condivisibile, “niente sarà più lo stesso”. I costi della crisi saranno “morali, economici, sociali e politici”. Per affrontarli ci vuole memoria. Bisogna ricordare “ciò che è accaduto”, ricordare “da dove veniamo” e fare di questi ricordi il fondamento della proposta per il paese. Tra le cose da ricordare alcune sono la necessità di rifondare il capitalismo, di prendere atto della inefficacia della Unione Europea e della necessità di un intervento statale robusto.

Jeremy Mann


Si parte da alcune conoscenze:
1)      Siamo fragili come specie. L’uomo, che è una creatura inadeguata e poco specializzata per sopravvivere nell’ambiente naturale, una “specie indigente”, ha dovuto reagire costruendo un mondo nel mondo;
2)      Siamo quindi “animali razionali e dipendenti”. Come scrive “non esistono libertà al di fuori della comunità e diritti al di fuori dello Stato”. Noi uomini siamo sempre e necessariamente “(inter)dipendenti” per tutta la vita. Questa è la radice della contraddizione del capitalismo che “non solo non riconosce queste basi della riproduzione sociale, ma vi si oppone radicalmente in base a una logica presieduta dalla mercificazione delle relazioni sociali”;
3)      Non può esistere nessuna economia apolide, e non può esistere alcun settore privato fuori delle istituzioni pubbliche. Questa verità è quella che è mostrata nelle crisi. Questo fatto ci dice che il capitalismo è una sorta di parassita, che vive e si radica nella riproduzione sociale che non è in grado di garantirla, per cui periodicamente deve ricorrere (al verificarsi di “momenti Polanyi”[4]) all’intervento riparatore dei poteri pubblici;
4)      Al fondamento di tutto c’è lo Stato nazionale. Al momento della verità torniamo sempre qui. Ciò che esiste “è un sistema di stati ordinati gerarchicamente che istituzionalizzano un determinato sistema mondiale”.

Monereo quindi mette il dito nella piaga. La Spagna, ma quel che scrive vale anche per l’Italia, mutando ciò che c’è da mutare, ha sofferto di un complesso di inferiorità per essere restata indietro quando l’industrializzazione ed il capitalismo industriale si svilupparono, sulla base di quello mercantile, nei paesi di cultura nordica, prima l’Inghilterra (in una staffetta con l’Olanda), poi nel corso dell’ottocento la Germania e la Francia. Questo significa che, come scrive, “Il treno della modernità è stato perso” e per molti il sogno europeo è stato di poterlo raggiungere, finalmente. La Spagna, segnata da guerre civili sanguinose negli anni trenta del novecento, e poi da “una feroce oligarchia patrimoniale” e dalla dittatura (che, ricordo, è durata fino al 1975) cerca una via di fuga nei governi progressisti, come quello di Felipe Gonzales, che puntano a fuggire dalla Spagna, dalla sua storia, le sue tradizioni, per raggiungere finalmente ed in modo definitivo la modernizzazione. L’Europa è, insomma, una via di salvezza, contemporaneamente una fonte di finanziamento per costruire quello stato sociale che la Spagna non ha mai avuto. Questo, segnala Monereo, è il senso comune che fonda un consenso sociale che ancora dura, in Spagna come in Italia, verso il progetto europeo.

Quindi ora si fa strada una nuova amarezza. Molti si accorgono improvvisamente che per cambiare la società spagnola bisogna fare l’opposto: lasciare che la Spagna resti uno stato nazionale. Europei siamo comunque, con le diverse culture e radicamenti. Ma non si parla di questo quando si nomina l’Unione Europea. Concretamente quando si parla del processo di integrazione europea si individuano “un insieme di istituzioni, organizzate dagli Stati attraverso Trattati e che si è progressivamente configurato come un ordinamento giuridico egemonico di fronte alle costituzioni di singoli Stati presi singolarmente”. In realtà se si dice, come spesso si fa, che la Ue non è all’altezza del compito si fa un errore di memoria e di analisi.
L’Unione Europea, malgrado quel che dice nella sua ossessiva propaganda, non esiste per risolvere i problemi dei cittadini, aiutare gli stati a risolvere le crisi economiche, le pandemie o gli altri mali sociali. Pensare questo è “chiedere delle pere agli olmi”. Chi lo fa sta semplicemente facendo ideologia, invece che analisi della correlazione delle forze. In effetti “L’UE nasce e si sviluppa per imporre una logica sociale basata sulle quattro libertà (libera circolazione di capitali, persone, beni e servizi) e sulla radicale opposizione al tipo di potere politico emerso dopo la seconda guerra mondiale; cioè allo Stato sociale e al costituzionalismo democratico e, assai al di là, a un conflitto di classe che ha reso ingovernabili le democrazie e che ha favorito un nuovo tipo di società, altre strutture di potere e relazioni personali basate sul controllo sociale del economia”.
Se questo è vero l’Ue ha semplicemente fatto il suo lavoro. E lo ha fatto molto bene.
In effetti essa “ha depoliticizzato l’economia pubblica, omogeneizzato la classe politica, neutralizzato il conflitto sociale e costituzionalizzato il neoliberismo come l’orizzonte insormontabile del nostro tempo”. Le sue istituzioni, “organizzano, disciplinano e danno coerenza alle diverse borghesie e attuano una serie di politiche (ordo)liberali  che costruiscono il mercato e nuove relazioni tra società civile e politica”. Quel che scompare in questo modo è niente di meno che l’autogoverno democratico, in favore di complesse procedure multilivello che servono essenzialmente a consacrare il controllo dei poteri economici sugli Stati[5].

Ora, se questa è la situazione, di sfondo per Monereo nascono due problemi connessi:
-          La crisi del coronavirus renderà necessario ricostruire, quando cesserà, un paese economicamente devastato, con gravi problemi sociali e moralmente senza orizzonte.
-          Questa necessità, ed i sacrifici fatti, creeranno le condizioni per una forte ripresa di conflitto sociale e ciò in un contesto di disorientamento delle élite. Le società quindi cambieranno molto, in che direzione dipenderà dalla correlazione delle forze.

Stiamo affrontando, insomma, una situazione sconosciuta. Dovremo passare per una soppressione, più o meno temporanea, del mercato e per forme di pianificazione imperativa della vita economica e pubblica. Se tutto deve essere fatto per superare l’emergenza, tuttavia il modo in cui avviene “segnerà il tipo di ripresa e di ricostruzione sociale nel paese”. C’è, come giustamente ricorda, il precedente della crisi del 2008 (un “momento Minsky”) nella quale i neoliberali, ignorando il loro plateale fallimento, riuscirono ad usare l’emergenza per imporre ancora una dose maggiore del veleno: più tagli sociali, più subordinazione dei lavoratori, più ineguaglianza. Potrebbero anche ora tentare la stessa mossa, sfruttando lo stato di eccezione.
Un modo per l’Italia sarebbe richiedere il “soccorso” del Mes[6], magari nelle condizioni evocate dal Presidente Conte[7]. Su questo tema si sta aprendo un grosso scontro[8] che indica con una certa precisione il punto di conflitto nominato da Monereo per la Spagna.
Attraverso l’attivazione del “toolkit” del Mes[9] verrebbero infatti attivati dei meccanismi di consolidamento dei conti pubblici, agiti dall’esterno e vincolanti, i quali impedirebbero di risolvere una crisi che morde, con il gergo degli economisti, sia dal “lato dell’offerta” sia dal “lato della domanda” (paralisi delle aziende e delle catene produttive, di rango internazionale, e drastica riduzione dei redditi e della capacità di acquisto), con forte protagonismo dello stato nazionale e relativa indipendenza. Ovvero, per dirlo in altro modo, impedirebbero alle forze scatenate dalla crisi sociale di agire per rimettere in questione l’egemonia delle frazioni della borghesia nazionale, interconnessa da catene di interesse con quella europea dei paesi “core”.
Quale la differenza con semplice debito nazionale emesso tramite le aste del Tesoro, utilizzando la sospensione del Patto di Stabilità[10]? È molto semplice, quello è debito nazionale ordinario, e rientrerebbe pienamente in ogni possibile manovra sul debito che si dovesse attuare in condizioni di grave stress ed emergenza. Il Mes è debito esterno.

Come scrivono 103 economisti in un loro appello di questi giorni:

Si tratta in effetti solo di uno strumento di disciplina che gli Stati egemoni vogliono usare per imporre il loro dominio su quelli che cadano in difficoltà. Ne vogliono fare la chiave di accesso agli interventi della Bce, una chiave che sarebbe pagata con la “grecizzazione” di chi incautamente vi facesse ricorso, ossia l’impoverimento del paese e la sua successiva spoliazione da parte delle economie più forti”.

Tornano al pezzo di Monereo, si può concludere che se quel che bisogna compiere è una ricostruzione nazionale e sociale, allora, bisogna, intanto, “risolvere i problemi della sinistra con la Spagna” (ovvero della sinistra con l’idea di nazione). E quindi non solo contestare la cultura egemonica dei diritti civili, che sono una variante del liberalesimo, quanto soprattutto “costruire un blocco sociale storico con una volontà di alternativa e di governo che abbia come asse un nuovo progetto di paese”.

Sarà anche poco realista, ma questo è il momento.

Bisogna improvvisare, ritrovando le proposte per un futuro alternativo, come dice, “nella società, nell’immaginario collettivo e nella memoria dei 15M. In questo momento, si tratta di prendere nota della situazione con occhi puliti”.

Gli “occhi puliti” sono la cosa più difficile.






[1] - Un “Momento Minsky” è l’attimo nel quale muta in modo cruciale il sentimento dei mercati e si passa repentinamente da un tono ottimista ad una generale avversione al rischio. Quando comunque crollano le “piramidi del debito” (a causa di un qualsiasi elemento scatenante) lo stop asciuga il credito per tutti. Nel mutato clima emotivo avviene allora un brusco contatto con la realtà ed aziende e creditori solvibili si trovano improvvisamente a non esserlo più (è il motivo per cui Krugman nega che nella congiuntura il problema sia strutturale). La conseguente corsa alle liquidazioni delle attività provoca una riduzione accelerata di prezzo, e questo alimenta ulteriormente la caduta. In conseguenza si crea una dinamica deflazionista: ogni giorno che passa, il potere di acquisto della moneta aumenta”, per i debitori questa è una maledizione, perché se la riduzione dei prezzi è più rapida della riduzione dei debiti il relativo valore reale aumenta nel tempo (come ricordava Fisher). Naturalmente, aumentando l’onere dei debiti contratti la deflazione fa crescere i fallimenti e le insolvenze (che provocano altri fallimenti, perché la tua insolvenza è il mio mancato reddito). 
[2] - Karl Marx, “Lineamenti fondamentali di economia politica”, Einaudi, 1976 (scritto 1857), quaderno VI, 584, p.706.
[4] - Si definisce “momento Polanyi” una complessiva crisi sociale che deriva dalla invasione da parte dell'economico di ambiti del mondo della vita non mercatizzabili.
[5] - Si veda, ad esempio, A La Spina, G. Majone, “Lo Stato regolatore”, Il Mulino, 2000.
[6] - Il quale incorpora sempre misure di “condizionalità”, nell’indefettibile logica debitore/creditore indispensabili per garantire che il primo onori il suo impegno (cfr. regolamento 472/2013, art 7). Ci sono diversi aspetti che rendono in una condizione di crisi-mondo come quella attuale una simile mossa particolarmente improvvida dal punto di vista del paese nel suo complesso: il debito assunto con il ricorso al Mes è “senior”, come quelli del FMI, deve essere ripagato per primo e non può essere sottomesso a ridenominazione o altri meccanismi di svalutazione o ‘consolidamento’ del debito pubblico; è esercitato in posizione di creditore da un’agenzia politicamente poco responsiva e coperta da scudo legale, peraltro in mano a funzionari nordici; le condizionalità, cfr, art.7(5), possono essere unilateralmente modificate dalla direzione del Mes, come abbiamo visto in più riprese accadere in Grecia nel 2015 con riferimento alla Troika; qualunque debito in condizione di presumibile crisi economica e deflazione tende ad espandersi e diventare una gabbia eterna.
[7] - Che sono l’assenza di condizionalità e l’emissione, anche in fase immediatamente successiva, da parte di questo di “coronavirus bond” per espandere la portata dell’intervento (attualmente il Mes ha solo 80 miliardi di versamenti che portano ad una capacità di circa 400 miliardi, che possono arrivare a 700). A questa prospettiva si è registrata una apertura del Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, che però è probabilmente l’istituzione europea più debole, dopo l’inesistente Parlamento Europeo, nella crisi attuale (la più forte è la Bce, segue il Consiglio Europeo e le sue articolazioni) e l’apparente sostegno della Francia. Tuttavia si è registrata la ferma opposizione dell’Olanda (che, in genere, parla per la Germania). Peraltro una Sentenza della Corte di Giustizia Europea del 2012 ha stabilito che il Mes è compatibile con il diritto europeo solo se dà prestiti “condizionati”.
[8] - Da una parte politici come Paolo Gentiloni, commissario europeo per l’Italia, o il ministro Gualtieri, dall’altra recentemente il capo politico del Movimento Cinque Stelle, Vito Crimi, che dopo aver aderito ad un appello di 103 economisti contro la gestione della crisi, ha avvisato che il movimento potrebbe negare l’appoggio alla maggioranza, facendo cadere il governo, se il Mes viene attivato senza aver fatto tutti i passaggi istituzionali previsti dalla Legge 324/2912.
[9] -  Si tratta di sei diversi tipi di prestiti: l’acquisto di titoli di Stato dei paesi alle prese con correzioni macroeconomiche (è stato il caso della Grecia, ma anche delle crisi del credito di Portogallo, Irlanda e Cipro); l’acquisto di titoli di debito pubblico sul mercato primario e secondario; la ricapitalizzazione delle banche; la ricapitalizzazione diretta delle istituzioni. Ogni strumento prevede delle precise condizioni da applicare ai paesi destinatari del prestito, che vanno dall’adozione di riforme macroeconomiche alla sorveglianza sulle regole del settore bancario. Possono essere individuate soluzioni specifiche per paese.
[10] - Anche se non è ancora ufficiale l’Eurogruppo ha, su proposta della Commissione, dichiarato che può essere attivata la clausola del Patto di Stabilità e Crescita che ne sospende il meccanismo di controllo macroeconomico (il famoso 3%) in caso di grave crisi esogena.

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