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lunedì 23 marzo 2020

Perdiamo.




Le donne e gli uomini che videro finire la guerra, che adolescenti si affacciarono sul mondo di rovine che seguì e seppero, con l’energia dei venti anni, essere parte della ricostruzione.


Donne che udirono i discorsi di Togliatti e di De Gasperi e su di essi formarono la propria visione.

Uomini che appena diciottenni seguirono con il fiato sospeso i lavori dell’assemblea costituente.
Perdiamo chi sapeva ancora ricordare i gusti di un tempo da lungo trascorso.

Chi aveva toccato, di sfuggita, i soldati americani che passavano per le strade e preso le loro caramelle, e poi con quelle stesse mani avevano esercitato il diritto di voto di nuovo.

Perdiamo le menti che avevano pensato a James Dean quando, il 30 settembre 1955, morì sulla sua Porsche 550, e al colpo di stato contro Peron in Argentina.

Chi pochi anni dopo vide Fulgencio Batista lasciare l’Avana, mentre l’Unione Sovietica lanciava il primo razzo nello spazio profondo e Aldo Moro diventava segretario della Democrazia Cristiana.

Perdiamo i testimoni degli entusiasmanti anni delle decolonizzazioni dei paesi del “terzo mondo”, quando tutto sembrava possibile.


Restiamo senza le nostre madri, i nostri padri amati.

La saggezza del loro consiglio per i nostri figli, il sorriso paziente di chi sa di aver vissuto tempi peggiori, il passo lento di chi conosce la vita.

Se anche tutto questo fosse solo questo,

sarebbe troppo.

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