Pagine

domenica 19 luglio 2020

Usa, Cina, Europa: il grande scontro. Ue e cronache del crollo.



  
Ad oggi quattordici milioni di casi conclamati e ufficialmente comunicati di infezione da Coronavirus e seicentomila morti, cinque milioni di casi ancora attivi, di cui sessantamila in condizioni critiche o serie. Di questi circa due milioni sono nei soli Stati Uniti, e con essi sedicimila casi critici. Gli Stati Uniti procedono a record continui, nell’ordine di oltre settantamila nuovi casi al giorno, e hanno subito ad oggi centoquarantamila morti. Per rapporto alla popolazione abbiamo undicimila casi per milione di abitanti, meno del tragico Cile, che ne conta diciassettemila, ma più di tutti gli altri paesi con almeno dieci milioni di abitanti. Segue il Perù ed il Brasile, con circa diecimila, e, distante, la Svezia (settemilaseicento), Arabia Saudita, Spagna (seimilacinquecento), Sud Africa, Belgio (cinquemila), Russia, Bolivia, Portogallo ed, infine, l’Italia, che ne ha quattromila.
Insomma, gli Stati Uniti hanno il triplo dei casi per milione di abitanti rispetto a noi, anche se hanno meno morti (quattrocentotrenta contro cinquecentottanta). Una tragica statistica, questa, nella quale siamo superati solo dal Belgio e da Inghilterra e Spagna.


Ma la tragedia sanitaria porta con sé anche devastanti conseguenze economiche. Ed in particolare negli Usa. Un recente rapporto[1] del Fondo Monetario Internazionale certifica che il Covid-19 ha provocato la perdita del lavoro per quindici milioni di americani, ha posto sotto stress finanziario tantissime imprese piccole e medie (mentre le grandi, evidentemente, sono state efficacemente soccorse dalle straordinarie misure della Fed e del governo federale), e impattato in particolare sui tanti poveri che affollano le periferie americane. La pandemia ha provocato, scrive il FMI, grandi problemi ai servizi faccia-a-faccia ad alta intensità di lavoro (gli unici fino ad ora al riparo dall’impatto distruttivo della tecnologia) che erano il rifugio dei lavoratori a basso reddito. Attività nelle quali la bassa produttività, il modesto livello di capitale investito, rendevano un modello di supersfruttamento del lavoro e rapidissima sostituzione dello stesso. Contratti precari, a tempo, imprese poco capitalizzate e facilmente sostituibili, un ecosistema brulicante ed altamente fragile.
Su questo si è abbattuto il Covid-19.

Il Fondo ricorda alcune delle misure, effettivamente senza precedenti, prese dal governo federale e che sono state enormemente superiori a quelle registrate dal governo italiano, legato e costretto dai vincoli europei e alle prese con un negoziato del tutto assurdo, date le circostanze.

“La Federal Reserve ha adottato misure senza precedenti per fornire stimoli monetari, sostenere il buon funzionamento dei mercati finanziari nazionali e internazionali, sostenere il flusso di credito e rafforzare la trasmissione della politica monetaria. Allo stesso tempo, sono state messe in atto una serie di misure fiscali per assistere le piccole imprese e settori specifici (come le compagnie aeree), aumentare le risorse per gli operatori sanitari, espandere l'assicurazione contro la disoccupazione, creare incentivi per le imprese a trattenere i lavoratori, trasferire denaro direttamente alle famiglie e fornire risorse ai governi statali e locali”.

Malgrado ciò la produzione è attesa ad una contrazione del 6,6% ma soprattutto gli effetti duraturi e prolungati del deterioramento della situazione economica, della permanenza dell’epidemia, della disoccupazione e del conseguente calo della domanda porteranno altri fallimenti e un “cambiamento delle preferenze e delle pratiche lavorative [che] richiederà una significativa riallocazione del capitale e del lavoro”. Il Fondo parla di un “aumento sistemico della povertà”, con distribuzioni razziali ancora più pronunciate, e “per molti anni a venire”.
Questo impatto avverrà, infatti, per “una grande parte della popolazione americana” e porterà “un importante deterioramento degli standard di vita e significative difficoltà economiche per molti anni a venire”. La conseguenza più facilmente prevedibile è l’innesco di un circolo vizioso fatto di erosione della partecipazione della forza lavoro al ciclo produttivo, la distruzione di competenze, i disordini sociali.
Inoltre, il debito pubblico complessivo (ovvero delle “istituzioni pubbliche”) salirà fino al 160%, di cui oltre il 107% a carico del governo federale, con un importante salto dal 80% ante crisi. Se ci fossero altri stimoli salirebbe ancora. Il debito privato complessivo salirà, come quello societario. L’insieme delle tre cose porterà a molti nuovi fallimenti. È anche prevedibile, sempre per il FMI, un periodo di bassa inflazione o deflazione che potrebbe indurre imprese e consumatori a ritardare gli acquisti, contraendo la già asfittica domanda.

La ricetta del Fondo è apparentemente semplice e logica: potenziare il sostegno pubblico, il sistema sanitario, l’istruzione, le infrastrutture, fino a che la crisi non sia superata, e a quel punto, tornare ad un avanzo primario per mettere il debito su un percorso di riduzione. Quindi aumentare le entrate con un’imposta sui consumi (Iva), sul carbonio e sul carburante, e sulle imprese. Appena possibile eliminare le “attuali linee di credito e di liquidità”, garantire l’apertura commerciale ed eliminare le ritorsioni e le guerre valutarie. Insomma, tornare al mondo come era prima, rimuovendo quelle politiche che indeboliscono i mercati. Ovvero, si legga, indeboliscono la capacità di ricatto del grande capitale finanziario e non sul potere sovrano degli Stati e sulla dinamica di classe e razziale del paese. Assicurandosi che chi è soggetto e periferico, costretto a svendersi, lo resti.

Tutto questo avviene mentre il principale competitore, la Cina, registra una crescita economica del 3,2%, con il secondo trimestre che cresce oltre il 10% (11,5%). La produzione industriale (che è abbastanza facile da stimare in via indiretta e quindi controllare) cresce del 4,8%, mentre consumi ed investimenti restano leggermente indietro, la disoccupazione è calata. Mentre per proteggere l’economia dai rischi sistemici (anche propagati dall’esterno) vengono posti sotto controllo pubblico per un anno nove grandissime istituzioni finanziarie. Si tratta di Huaxia Life Insurance, Tianan Life Insurance, Tianan Property Insurance e Yi’an Property Insurance, e due società fiduciarie come New Times Trust e New China Trust.

E’ difficile immaginare una congiuntura più destabilizzante di questa.



Il negoziato in corso in Europa cade in questo contesto, e probabilmente a qualche livello si nutre di questa consapevolezza. I capi di Stato e di governo si muovono in un quadro altamente complesso di condizionamenti, consuetudini di pensiero, e pressioni. Tra i primi ci sono le possibilità e gli interdetti generati dalle strutture giuridiche o economiche, tra le seconde c’è l’intera dinamica storico-evolutiva delle istituzioni delle quali sono a capo o alle quali partecipano, le terze sono determinare dai gruppi di pressione accreditati presso le loro segreterie e quelle dei partiti che li sostengono, dalle organizzazioni politiche alle quali rispondono, dall’ambiente politico nel quale si muovono. L’insieme è normalmente molto adattivo e miope, tende a cambiare direzione con grande lentezza e tende a farlo più per le ragioni immediatamente presenti che per i rischi a medio o lungo termine.
Ma la situazione è potenzialmente esplosiva, sia nel breve termine (con decine di milioni di possibili nuovi disoccupati in Europa nei prossimi mesi, fallimenti a catena nelle filiere più esposte, radicale crisi del modello export-led imposto a tutta l’Europa dai paesi nordici), sia nel medio e lungo (quando gli effetti sistemici e di trascinamento avranno portato il mondo dentro una nuova depressione).



Può sembrare sia in gioco un qualche pacchetto di miliardi, l’equilibrio del Recovery Fund (o Next Generation Eu)[2] tra quota da restituire indirettamente tramite il bilancio europeo pluriennale (i trasferimenti) e quota da restituire direttamente (i prestiti), ma la questione è ben più radicale. C’è un gruppo di paesi, cosiddetti “frugali”, tra i quali Austria, Danimarca, Paesi Bassi, Svezia che sostiene, non senza fare uso di accenti razzisti davvero pesanti, la posizione secondo la quale tutto debba essere restituito direttamente, ed immediatamente. Un’altra linea è tenuta dai paesi del sud, Francia, Italia, Spagna, Grecia, con altri, che sostengono una ripartizione non inferiore a 400 miliardi di trasferimenti e il resto (fino a 750) di prestiti. La Germania sembra sostenere questa seconda linea, emersa come compromesso dall’accordo con Macron[3]. E, infine, si prefigura un durissimo scontro tra l’Olanda e l’Ungheria, in rappresentanza dell’intero “Blocco di Visegrad”[4], a causa della proposta del premier Rutte di escludere anche quest’ultima dai trasferimenti in quanto non sarebbe in linea con l’indirizzo politico europeo (ovvero non sarebbe uno “Stato di diritto”).

Tutto, come teme il cancelliere tedesco, si potrebbe chiudere dopo tre giorni di intensissimi scontri, senza alcun accordo.

La vera posta degli scontri non è l’equilibrio dei numeri, tutti ricavati da un accesso al mercato e interamente a questo restituiti in un certo numero di anni[5], anche molto lungo. La vera posta è l’equilibrio del potere entro la Ue e quello nel mondo. Ciò che viene richiesto dai “frugali” è il potere di determinare direttamente, senza sottostare agli equilibri politici creati in una Commissione Europea nella quale sono strutturalmente in minoranza, l’indirizzo della spesa e la modulazione dell’economia dei paesi che riceveranno il Fondo[6]. Ciò che viene richiesto dalla coppia Macron-Merkel, che ha proposto lo schema, è di farlo congiuntamente negli organi politici europei[7].

Ciò che c’è in comune è la meccanica a tre lame con la quale il sistema europeo intende cogliere l’occasione della crisi per aumentare in modo decisivo l’integrazione verticale del sistema produttivo e finanziario europeo intorno ai centri considerati più dinamici. Ovvero, sapendo che l’economico è sempre organizzazione sociale e circolazione di potere, della capacità di produrre ricchezza, distribuirla, appropriarsene, più saldamente nelle mani delle frazioni di interesse che nel progetto detengono posizione centrale. La meccanica emerge dal quadro difficile di una crisi da shock esterno, che interviene su altre crisi sistemiche e profondamente intrecciate sul piano geopolitico, sociale, politico ed economico, nel contesto di un radicale rallentamento di tutti i poli produttivi mondiali, e di un protagonismo senza precedenti del sistema delle banche centrali, coordinato dalla Fed[8], mentre tutte le opinioni pubbliche chiedevano una risposta.
Le tre “lame” sono, gli acquisti tramite il Peep da parte della Bce, sfidati dalla sentenza della Corte Costituzionale tedesca[9], l’erogazione di fondi tramite la Commissione europea di cui si discute, e il momento in cui, come chiede il Fmi agli Usa, si debba tornare al Fiscal Compact, ovvero all’austerità.

Non bisogna ingannarsi, le tre lame funzionano insieme.

·         La liquidità garantita dalla Bce è straordinaria (come, appunto, ricorda in via generale ancora il Fmi, parlando alla Fed e quindi anche alla Bce), è indispensabile per impedire un subitaneo crollo con conseguente insolvenza e rottura immediata della Ue, e dello schema di cooperazione (ovvero di dominio[10]) mondiale. Ma al contempo aumenta la dipendenza dei paesi che ne fanno uso, proprio in quanto ‘straordinaria’ e revocabile in una qualsiasi seduta del board.

·         Il “Recovery Fund”, o comunque vogliano chiamarlo, oltre ad essere radicalmente insufficiente, se pur non irrilevante, sarà erogato tramite i canali consuetudinari della Commissione Europea, e non solo sarà soggetto a “condizionalità”, quanto sarà destinato a spese da decidere in sede europea, secondo un programma ben preciso e negoziato in sedi tecniche molto lontane dalla politica democratica. Ne abbiamo avuto un assaggio nello spettacolo oscuro degli “Stati generali”. La spesa funzionerà necessariamente per aumentare l’interconnessione selettiva, la modernizzazione sull’asse della informatizzazione e della meccanizzazione avanzata, la capacità di gestire il lavoro e di organizzarlo. Facendo riferimento allo scontro di classe in corso, sulla matrice centro/periferia e integrato/emarginato, che determina la capacità accesso alla produzione, alle risorse e il potere di intervento sociale e politico (ma anche culturale)[11]. A livello geografico aumenterà la distanza tra le regioni forti perché interconnesse e “globali”, e quelle isolate, svuotate di risorse umane e di capitale, povere di infrastrutture (le quali non si ‘reggono’ ad un calcolo razionale costi-benefici e dunque non risulteranno finanziabili secondo gli stringenti parametri europei). A livello sociale aumenteranno le distanze tra i ‘paria’ e i ‘savi’. A livello politico tra i ‘responsabili’ e i ‘barbari’ (etichettati variamente come ‘populisti’ o ‘sovranisti’).

·         Finalmente la ripresa del ‘Fiscal compact’, reso molto più stringente dalle condizionalità che sono presenti sia nel “Recovery”, sia nel “Mes”, agirà sinergicamente alla lama che taglia offrendo solo ad alcuni, direttamente abbassando gli altri. Il punto cruciale da comprendere in modo esatto questa meccanica è che il capitalismo è un rapporto sociale. Esiste concentrando nelle mani di pochi, per sua natura[12]. Il movimento genera sempre una dialettica spaziale che è internamente connessa con la lotta di classe. Qualunque processo di valorizzazione è fatto di connessione e la connessione, a un livello di maggiore efficienza, richiede sempre investimenti. La valorizzazione è rapporto tra le possibilità date dall’organizzazione dello spazio e le decisioni di localizzazione, di spostamento. Queste producono sempre gerarchie, almeno implicite. I luoghi più dinamici, resi tali da opportuni investimenti, o da un gradiente di maggiori investimenti, attraggono risorse umane e di capitale dai luoghi meno dinamici. Proprio perché riescono a “valorizzarli” meglio (investire su piazze più forti, in mercati più solidi, trasferirsi dove il lavoro è più abbondante o i salari più alti, …). La dinamica del potere porta sempre a cercare sbocchi alle eccedenze, e porta ad acuire le forme della competizione. La competizione, nel quadro di sistemi di coerenza strutturata entro luoghi ed alleanze sociali, porta dipendenze. L’austerità funziona molto meglio se insieme alla erogazione selettiva, perché impedisce che parte delle risorse create nei centri, per effetto della maggiore integrazione e quindi del rango accresciuto ricadano, disperdendosi, anche nelle limitrofe periferie. Tiene compresse queste ultime e le contiene permanentemente nella condizione di bacino di forza lavoro debole e servizievole e di fornitore di servizi a basso valore e soprattutto costo. È la dinamica dell’imperialismo.

Le tre lame sono dunque parte di un progetto intrinsecamente imperiale di maggiore organizzazione dello spazio europeo come una sola, enorme, macchina valorizzante a vantaggio dei centri attualmente dominanti. Ed ovviamente a svantaggio delle periferie interne ed esterne, sia geografiche sia sociali.
Lo scontro nasce dentro questo schema condiviso, “next generation” appunto, per decidere chi decide quale periferia deve essere colpita dalla terza lama, quale parte deve essere interessata ed integrata con la parte forte del continente dalla seconda. Non è affatto questione marginale. Si tratta di disporre del potere di ostacolare la nascita di potenziali concorrenti, di assicurarsi che i flussi di risorse umane e finanziarie continuino ad arrivare, di essere certi che le ragioni di scambio dei propri prodotti restino vantaggiose. L’Olanda è maestra di questo gioco, ovvero nel gioco di creare colonie e dipendenze. Ma, altrettanto ovviamente lo è la Francia. In generale si tratta del gioco che l’Europa ha insegnato al mondo nel corso del XVII e XIX secolo.

Però c’è anche un piano superiore: tutti sembrano essere concordi che un accordo sia nel superiore “interesse europeo”.

Chiediamoci quindi, per capire, cosa sia questo “superiore” interesse europeo. Si tratta, semplicemente, della capacità di elevarsi al rango imperiale, liberandosi dalla tutela del capitale e della potenza geopolitica, e militare, americana. Di far finire la Seconda guerra mondiale (aprendo la Terza, naturalmente).

Per comprendere meglio di cosa si sta in effetti parlando serve prestare attenzione ai centri di potere e d’ordine che contemporaneamente arretrano (gli Usa) e avanzano (la Cina e la Russia), ma anche disporre di quella che David Harvey chiama una “teoria dello sviluppo ineguale[13], comprendere come le catene globali delle merci e dei servizi determinano le ragioni di scambio, ovvero i prezzi relativi di scambio, come si fissano, specializzano e consolidano i centri produttivi gli uni verso gli altri, dividendosi il lavoro in regime di complementarietà che è sempre anche subalternità, come si costruiscono e distruggono le economie regionali (della seconda dinamica abbiamo una qualche esperienza), osservando anche lo scontro tra le diverse frazioni del capitale e le diverse élite che lo gestiscono.

Scontro di cui sono vittime i soliti noti.


Questo interesse, insomma, sarà anche “superiore”, ma non lo è per tutti (i luoghi) e non lo è di tutti (gli attori sociali).

Da questo dovremmo partire, per criticarlo.


[1] - IMF, “Mission concluding statement”, 17 luglio 2020.
[2] - O “Next Generation Eu”, come è stato ridenominato.
[4] - Il “Blocco di Visegrad” è il terzo grande polo di paesi a bilanciare i “nordici” (in questa trattativa apparentemente provati della Germania) e i “mediterranei” (che in questa trattativa sembrano probabilmente per la prima volta operare congiuntamente).
[5] - I particolari non sono ancora stati negoziati, ma lo schema base è che la Commissione, con la garanzia del bilancio europeo, emetterà debito a lungo termine, almeno una ventina di anni, e quindi procederà dalle risorse del bilancio alla restituzione graduale. Se funziona e determina crescita, questa è la speranza, la restituzione avverrà con questa ultima e quindi il meccanismo potrebbe essere a costo zero (come in effetti avviene normalmente se si prende un prestito per svolgere un’attività redditiva e questa lo è).
[6] - La richiesta è di disporre di un potere di veto individuale sui bilanci degli stati destinatari dei flussi, in pratica decidendo dove ed in che modo questi impegnano le risorse del loro bilancio ordinario per un lungo tempo. Si tratta di un effettivo commissariamento, ma ancora più radicale di quello imposto alla Grecia, in quanto non condiviso dalla Commissione nel suo insieme.
[7] - Viceversa la proposta base è che sia la Commissione a svolgere questo ruolo.
[8] - Che ha tempestivamente esteso gli “swap”, di fatto allargando alla scala submondiale la capacità di espansione monetaria statunitense e proponendosi come erogatore di ultima istanza e garante.
[10] - Quella che Samir Amin chiamava “la triade”, ovvero l’accordo di fondo tra gli Usa, la Ue e il Giappone, che si nutre della generazione e distribuzione di debito, nella comune garanzia alla sua stabilità, e nella richiesta contropartita nei confronti del resto del mondo.
[12] - Un esempio, non privo di difetti, nel libro di Thomas Piketty, “Il capitale del XXI secolo”.

Nessun commento:

Posta un commento