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venerdì 28 febbraio 2014

Ucraina: l’assenza dell’identità europea brilla al confine.


L’Ucraina è una vastissima nazione al confine Russo, ha un territorio di oltre 600.000 kmq, di poco inferiore a quello francese, quasi doppio di quello tedesco e italiano, ma ha una popolazione di 47 milioni di abitanti, contro i ca. 60 di Italia e Francia e i ca 80 della Germania. E’ lunga 1.300 chilometri, con andamento est-ovest. Confina con la Polonia a Nord e il Mar Baltico a Sud. Dispone di una vastissima superficie agricola di eccellente qualità (stimata in ben 1/3 della superficie ad alta redditività mondiale) ed infatti è sempre stata il granaio d’Europa. Dall’Ucraina noi importiamo metalli ferrosi per ca. 800 milioni (53% delle importazioni) semi e piante per 170 milioni, cereali per 46 milioni (in calo del 40%) si tratta di grano duro che adoperiamo per la pasta. Siamo il terzo paese europeo per rapporti commerciali ed il settimo nel mondo. Nel paese ci sono ben cinque città con oltre un milione di abitanti (Kiev ne ha oltre due).
La sua economia, salvo l’agricoltura che è scarsamente evoluta e meccanizzata (ma è il terzo esportatore mondiale di grano), è concentrata sulle acciaierie e l’industria pesante (produzione di punta, missili balistici e superaerei da trasporto) vecchia ed antiecologica. La stratificazione sociale è divaricatissima: in un paese con il reddito medio di 300 dollari al mese ci sono alcuni dei più ricchi oligarchi dell’ex impero sovietico. Il debito pubblico (importante rispetto al PIL) di ca. 100 miliardi è stato declassato sotto quello greco.
Il paese è totalmente dipendente dalla Russia per l’energia ed è attraversato dai gasodotti che alimentano il 60% del gas che usa l’Europa.

Da Est ad Ovest il paese è attraversato da fratture: linguistiche (con i russofoni che prevalgono all’est e non all’ovest), separazioni religiose (di tutti i generi: ortodossi, cattolici, mussulmani), etniche (slavi, tartari).
La sua storia si definisce nel rapporto complesso e spesso ostile con la Russia. L’Ucraina fu la sede della Rivolta Bianca contro il potere bolscevico, sedata del sangue dall’Armata Rossa. Gli ultranazionalisti (inconfondibilmente di estrema destra) di Svoboda, del Pravy Sektor o di Spilna Sprava sono fautori della “Ucraina agli ucraini”; restano profondamente segnati dai miti razziali otto-novecenteschi dal mito dello Stato etnico, sono insieme profondamente russofobi, polonofobi e antisemiti. Si tratta di un insieme assolutamente esplosivo.
Come se non bastasse, dal 1954 nel territorio nazionale Ucraino è inclusa la Penisola della Crimea (più o meno grande coma la Sicilia), con la base Russa di Sebastopoli e Odessa, nella quale la maggioranza della popolazione è russa.
Già in passato l’Ucraina (come la Georgia) richiesero l’adesione alla Nato, ottenendo una promessa da Bush che fu rimangiata a causa della violenta reazione di Putin (imperniata sulle forniture energetiche all’Europa). Nel 2012 fu firmato un Accordo di Associazione (AA) con l'Unione Europea, la cui mancata ratifica da parte Ucraina è stato l'innesco della crisi.

Questo è il mosaico nel quale un irresponsabile Presidente (eletto, ma legatissimo agli oligarchi russofili, ed all’Est) ha flirtato per anni con l’Unione Europea al solo apparente scopo di strappare alla Russia maggiori concessioni economiche. Lasciando crescere forze nazionaliste e antirusse che gli hanno preso alla fine la mano. Quando ha cercato di farsi indietro (rifiutando di ratificare l'AA nel novembre 2013) è stato travolto da un movimento dalle complesse letture, decisamente al di sotto di ogni sospetto, che ha spinto per l’unificazione immediata con l’Europa. Si è trattato del movimento di Piazza Nezhaleznosti (Piazza Indipendenza) che da due mesi focalizza l’attenzione internazionale. Dopo le morti di qualche giorno fa e la liberazione di Yulia Tymoshenko il vecchio Presidente è scappato in Crimea (e di qui in Russia, dove ha avuto asilo) ed è stato nominato un Presidente ad interim in Olexander Turchynov, considerato il braccio destro di Tymoshenko.

L’atteggiamento Europeo è stato particolarmente imbelle, la crisi è stata gestita a corto raggio in un misto di ambizione e di arroganza, senza offrire abbastanza e lasciando che a dirigere le operazioni fossero i paesi limitrofi (una vecchia abitudine europea, ci si divide il lavoro perché manca una linea comune). Gli Stati Uniti sembra invece che abbiano giocato a prendere a schiaffi Putin, ed insieme a mettere in imbarazzo l’Europa. Contando, forse, sulla difficoltà in questo contesto di allargare ulteriormente (e di moltissimo) le frontiere, facendosi carico di altri 50 milioni di abitanti, un altro ingente debito pubblico, un paese immenso da infrastrutturare. Con la possibilità tra l'altro di far saltare completamente la PAC (Politica Agricola Comunitaria) su cui vertono faticosissimi negoziati da anni, e la già complicata politica della circolazione dei lavoratori.
In queste ore si registrano prese di posizione del Parlamento Europeo e della stessa Nato che invitano alla normalizzazione, ma insieme avvisano la Russia sulla necessità di salvaguardare l’integrità territoriale.
La Russia sta conducendo manovre con quasi 200.000 soldati alla frontiera e ha fatto pervenire alcuni carri armati in Crimea.

Tre “partite” sembrano qui aperte, e tutte di grandissimo momento:
-          l’indipendenza energetica e la pluralità degli approvvigionamenti di gas;
-          l’espansione territoriale e quindi dell’area normativa, addirittura fino al confine Russo;
-          l’espansione dell’area di scambio commerciale sino allo stesso confine.

Circa la prima è difficile sottovalutare l’importanza per entrambi i principali contendenti (ed indirettamente per gli USA) della questione della sicurezza di approvvigionamento energetico dell’Europa attraverso i canali ucraini. Si tratta di una vicenda che attraverso l’intera guerra fredda ed alla quale sono legati contratti di fornitura pluriennale per centinaia di miliardi di euro. Questo, tra parentesi, è anche il contesto nel quale si comprende l’importanza per noi del TAP (la linea di approvvigionamento di gas che salterebbe questa regione critica arrivando direttamente nel sud Italia, come si vede dalla carta di Limes).


Circa la seconda basterebbe citare un breve stralcio dell’articolo di Ruslan Pukhov “Dobbiamo riprenderci lo spazio sovietico” su Limes, 11/2013: “la possibile entrata dell’Ucraina nella Nato equivale ad un’esplosione nucleare tra Mosca e i paesi occidentali. I tentativi di tirare Kiev dentro l’Alleanza Atlantica porteranno ad una crisi di enormi proporzioni in Europa, in campo sia militare sia politico. E la stessa Ucraina assisterà a una profonda crisi interna visti i diversi orientamenti culturali della sua popolazione. L’occidente  sottovaluta l’importanza della questione ucraina per la Russia e non percepisce a dovere come Kiev possa rappresentare una grave fattore di destabilizzazione nelle sue relazioni con Mosca. Credere che la Russia sarà prima o poi costretta a mandar giù l’entrata dell’Ucraina nell’Alleanza Atlantica è pratica pericolosa che può portare ad un’evoluzione catastrofica degli eventi. Del resto molti in occidente non credevano, fino ad agosto 2008, che la Russia osasse condurre un intervento militare in Georgia”. La cosa si può leggere insieme all’articolo di Colantoni su Limes: nello scontro tra la Russia e la UE per l’indipendenza energetica (dato che oltre il 50% del fabbisogno è coperto solo da idrocarburi extra-UE) una delle armi europee è il “Terzo Pacchetto Energetico”, che prescrive la separazione tra i produttori e i trasportatori dell’energia. L’opposto della strategia Russa e dei suoi campioni (Gazprom). C’è un problema: il Pacchetto si applica solo ai paesi UE ed a quelli aderenti al Trattato della Comunità dell’Energia (al quale la Russia non aderisce). Si sta parlando dell’accesso alle infrastrutture ed alle tariffe, e del destino anche di South Stream (il progetto sul quale Berlusconi ruppe la solidarietà europea, schierandosi con Putin).

Circa la terza si scontrano in questa circostanza e scenario i “grandi giochi” della nuova potenza Russa di Putin (essenzialmente di incorporare parti perdute dell’impero, come la Crimea e l’Ucraina dell’Est, e di federare il resto in chiave antioccidentale ma, soprattutto, anticina) e della superpotenza americana (di contenere Russia e Cina con aree di scambio che portino sino alle loro frontiere il soft power obamiano).

Tra gli interventi che si sono registrati in questi giorni non è mancato quello di Soros, quello di un Articolo della nipote di Kruscev che avvisa Putin dei rischi della sua strategia di potenza,

Il rischio forse più tremendo è quello della deriva di tipo jugoslavo. Questa volta al confine tra Europa e Russia. Un vero incubo dal quale l’Europa si potrebbe svegliare diversa.
E’ anche di fronte a crisi simili che si diventa coscienti della utilità e necessità di una politica democratica comune. Di solide istituzioni, e di una responsabilità condivisa europea di fronte ad una opinione pubblica capace di un punto di vista generale.
La Larga Coalizione tedesca aveva un capitolo su una nuova politica estera più assertiva. E si legge un Ministro degli Esteri Polacco (Sikorsky), molto attivo nella crisi, che contemporaneamente afferma la necessità che <l'Europa parli con una sola voce> mentre si dichiara soddisfatto del protagonismo tedesco. Questi sono i nodi che vanno sciolti. Non è possibile <parlare con una sola voce> se a parlare sono gli Stati. Si avrà fatalmente una politica estera fatta dalla composizione degli interessi, nella quale prevarranno quelli dei più forti/vicini. Una politica fatta di blitz, forzature, ripensamenti, approssimazione. A corto raggio e con incertezza strategica.

Esiste solo una via di uscita progressiva da questo dilemma: a parlare deve essere una istituzione frutto di una dinamica politica democratica europea. Articolata secondo le rubriche sovrapposte dei valori, delle identità e degli interessi legittimi.

E’ questa l’infrastruttura essenziale che ci manca.

4 commenti:

  1. interventi: http://www.nytimes.com/2014/03/01/world/europe/russia-ukraine.html?partner=rss&emc=rss&smid=tw-nytimesworld&_r=0
    http://bigstory.ap.org/article/unidentified-men-patrol-crimean-airport-ukraine

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  2. Altro intervento interessante:
    http://www.eastjournal.net/ucraina-cosa-sta-succedendo-il-punto-della-situazione-e-le-chiavi-di-lettura-possibili/39729

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  3. La cartina di Limes con i gasdotti contiene un refuso o forse non è aggiornata: segna una linea a nord rossa attraverso il Baltico. In realtà il gasdotto Nord Stream è già operante dal 2011, dovrebbe quindi essere incluso tra i percorsi operativi. E questo non è un dettaglio, posto che sottrae grande parte della storica capacità di sabotaggio agli ucraini.

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  4. Si, grazie per la tua pertinente osservazione. La cartina è probabilmente non aggiornata, il nord stream (oltre 50 miliardi di mc di portata massima, mi sembra poco più di venti attuale) in effetti indebolisce fortemente il nodo strategico ucraino (dal quale, però transita il quadruplo). Con il sud stream la situazione dovrebbe essere meno fragile. Se hai altre informazioni parliamone. Mi pare, in diverse direzioni, una delle questioni su cui si gioca il destino europeo.

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