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lunedì 10 marzo 2014

Circa Eugenio Scalfari, “Caro Matteo, chi fa da sé non fa per tre”


Su La Repubblica del 9 marzo, trova spazio un fondo di Eugenio Scalfari che sembra orientare il giornale nello scontro sotto traccia, apparentemente rinviato, tra il nuovo Segretario del PD e Presidente del Consiglio ed il vecchio Vicesegretario del PD e Presidente del Consiglio. Tra Matteo Renzi e Enrico Letta. Potremmo disinteressarci della cosa, ma due argomenti militano nei confronti della sua rilevanza: il paese è a uno snodo decisivo della sua vita ed alcuni dei temi trattati ne rappresentano la sostanza; lo scontro tra il personale politico del vecchio establishment (di cui Letta junior è uno dei più esemplari rappresentanti), in fase discendente, e il nuovo ascendente è uno dei terreni nei quali la transizione italiana si giocherà.
In genere ho seguito la linea di non esprimere posizioni sulla politica corrente, salvo in passaggi che mi sembravano implicare dimensioni più profonde. Questo è forse uno di questi.


Quello che è sicuramente il più autorevole giornalista italiano, ed esso stesso da lungo tempo attore nel gioco politico e di potere, scrive in questo meditato pezzo che a Bruxelles il Presidente del Consiglio sta iniziando a incontrare le prevedibili difficoltà. Precisamente nell’incontro con la Commissaria Europea agli Affari Regionali (che ha prevedibilmente chiarito che i fondi strutturali non si possono usare per abbattere il cuneo fiscale, avendo un vincolo di destinazione per progetti appunto infrastrutturali definiti) e con la Cancelliera tedesca, la quale avrebbe ironizzato sulla sua (di Renzi) “tenuta atletica”.
Prosegue ricordando che la macchina della riforma elettorale è ferma, e partirà solo con gli ultimi ritocchi di quell’accordo politico che sinistramente chiama “triplice” (la “triplice alleanza” è, come noto, quella tra Germania nazista, Italia fascista e Giappone imperialista) tra Renzi-Alfano-Berlusconi. Dopo aver ricordato i rischi d’imboscata da parte delle numerose (e ben motivate, per quanto mi riguarda) opposizioni, Scalfari passa a quello che correttamente chiama “il centro del problema Italia”: cioè l’economia.
A questo punto parte con il suo attacco principale: tutti gli interventi “fattibili” sono “già stati avviati e in gran parte contabilizzati da Enrico letta e dai suoi ministri a partire da Fabrizio Saccomanni”. Questa è la sua tesi.

A parte che se fosse vero noi saremmo chiaramente spacciati, a me pare che questa ipotesi regga poco all’analisi (o meglio poggi molto più di quanto vorrebbe sul significato del termine “fattibile”; per chi? e per cosa?).
Renzi, infatti, si sarebbe reso conto (presumo nel corso della breve visita a Bruxelles) “che non può trascurare i vincoli europei”. Bene, i vincoli non vanno mai “trascurati”. Io sono stato formato in una disciplina progettuale e condivido. Ma i vincoli vanno sempre con rispetto, saggiati, interrogati, sfidati, reinterpretati. Altrimenti il progetto non esiste.
Probabilmente non essendo il dott. Scalfari un progettista non lo sa. Dunque sostiene che a Bruxelles è necessario “convincere” e non “battere i pugni”. Poi andiamo oltre nella lettura, ma su questo punto mi vorrei soffermare: “battere i pugni” è una metafora che indica l’atteggiamento di chi in un negoziato esprime la propria forza, la mostra, la esibisce (come un gorilla che, per non arrivare ad uno scontro, che potrebbe essere molto dannoso con un rivale, esibisce il proprio potenziale). Ora, si tratta di decidere cosa è il consesso Europeo; se è un luogo cooperativo e pacifico, nel quale si definiscono idee astratte e senza corpo, in cui non si rappresenta e distribuisce potere. Un luogo, cioè, nel quale non ci sono risorse scarse, la cui distribuzione non resti soggetta a giochi a somma zero, o moderatamente positiva. Se è un luogo simile, allora è effettivamente inappropriato mostrare forza e determinazione. Allora si può andare solo a “convincere”. Allora si può essere simili a quella caricatura della Teoria discorsiva di Habermas che immagina chi non lo ha mai letto.
Ma se, come mi pare evidente, l’arena europea è un luogo del potere; un luogo in cui le idee e le posizioni teoriche, le stesse interpretazioni giuridiche, implicano e vestono (venendone strutturate) posizioni di forza ed interessi. Allora, mi spiace, ma non c’è posto in cui si debba “battere i pugni” meno. Certo, per “batterli” bisogna decidere quali interessi si vuole spostare. Bisogna decidere da che parte si sta.

Proprio qui potrebbe giocarsi la distanza utile tra il governo uscente e il nuovo. Il vecchio governo, per ragioni anche strutturali (peraltro, allo stato, presenti anche nel nuovo) non intendeva spostare alcun interesse: né a Bruxelles o Berlino, né a Roma. Ma facendo ciò si è condannato all’immobilismo e al fallimento. Questo è sotto gli occhi di tutti gli italiani ma evidentemente non del dott. Scalfari. Il quale, invece, pensa che l’Agenda di Letta sia completa e perfetta. La descrive con le sue stesse parole, e ne conclude che “difficilmente Renzi potrà fare di più e di diverso”.
Quali sono queste cose fatte e da fare? L’elenco è questo:
1-      il cuneo fiscale ridotto per 3 miliardi, nel 2014, e 10, per il 2015, con coperture dalla “spending review” e recupero dell’evasione;
2-      pagamento debiti Pubblica Amministrazione alle imprese, con fondi per 20 miliardi;
3-      investimenti da parte di aziende pubbliche per 3 miliardi;
4-      riduzione debito pubblico attraverso privatizzazione di “asset” patrimoniali;
5-      il beneficio dello spread, cioè della sua riduzione da impegnare per scuole ed occupazione giovanile;
6-      la riduzione delle imposte sul lavoro ed il rifinanziamento del credito di imposta, con fondi resi disponibili dalla Commissione Europea;
7-      un decisivo passo avanti sull’Unione Bancaria, durante il semestre a guida italiana;
8-      diminuzione del rapporto deficit-pil da 2,6 a 2,3 e dell’avanzo al 5%;
9-       nel semestre, riequilibrio del tasso di cambio verso il dollaro da 1,4 a 1,2 o 1,1.

Secondo Scalfari “questo è quanto il Governo Letta ha avviato e in gran parte messo in opera e queste sono le prospettive che avrebbe fatto valere nel corso del semestre europeo”. Ancora, per il giornalista “difficilmente Renzi potrà fare di più e di diverso”.
Arriva a dire, il dott. Scalfari, e senza che gli appaia singolare o meritevole di attenzione, che la recente contestazione fatta da Olli Rehn al Governo Italiano sia “stata fatta con l’obiettivo di dare al nostro governo un’arma in mano per vincere le resistenze della maggioranza che lo appoggia”. Una simile frase è di una gravità assoluta, soprattutto perché è plausibile. La dico in un altro modo: la Tecnostruttura denominata “Ufficio per gli Affari Economici e Finanziari” della Commissione Europea (cioè del Governo Europeo, che riceve dal Parlamento un mandato politico, ed è espressione in questo momento del Partito Popolare Europeo, come tutti i suoi membri), in tacita intesa evidentemente con una parte del personale politico nazionale, usa una procedura tecnico-contabile (con tanto di tonnellate di numeri, evidentemente forzati) per avviare un’azione di pressione sul Parlamento Italiano, per costringere le forze politiche in esso presenti ad allinearsi ad una linea politica preordinata di rigore ed austerità.

Questo è quanto è stato scritto sul giornale nazionale La Repubblica, il 9 marzo 2014, alla pagina 27, terza colonna, terzo capoverso.

Se si voleva una prova del fatto che lo scomparso Peter Mair aveva ragione è stata ottenuta. Dalle parole stesse dell’ex Presidente del Consiglio. La funzione dei cosiddetti “vincoli esterni” (che sono evidentemente esterni solo alla democrazia e alla sfera pubblica razionale, cioè alla discussione pubblica) è a questo punto chiara. Si tratta di vincoli autoindotti dalle élite politiche sulla scala nazionale-sovranazionale e improntati a un gioco delle parti ormai diventato così ovvio da non essere neppure nascosto.
Per me questo è motivo sovrabbondante per decidere con chi stare. In nessun caso potrei considerare giustificato questo nascondere, vigliaccamente, le proprie decisioni politiche nella veste di strutture tecniche imposte dall’alto. Spiace, sinceramente, che un democratico come Eugenio Scalfari si presti a tale indegna manovra.

Nel merito, poi, i nove punti indicati (al netto delle rodomontate come la risoluzione dell’Unione Bancaria, quando sappiamo che è stata rinviata di dieci anni, o addirittura del riequilibrio del tasso di cambio che dipende dall’azione di attori esterni come gli USA e la Cina) sono al limite dell’assoluto immobilismo. Rispetto alla portata del problema che abbiamo davanti, ridurre il cuneo di soli 3 mld, pagare solo 20 mld di debiti incancreniti, investire solo 3 mld, aspettare fantomatici fondi della UE, significa esattamente non fare niente.

Ma certo, bisogna fare solo ciò che è “fattibile” e senza “battere i pugni”. Alla luce del gioco delle parti che il dott. Letta ha candidamente illustrato con la Commissione Europea, la cosa è molto più chiara:
  • Ciò che è “fattibile” è quel che non muta la decisione fondamentale di procedere alla svalutazione competitiva per via di deflazione interna;
  • Ciò che è “fattibile” è quel che non mette in discussione il punto che i flussi finanziari devono rientrare nel nord Europa, senza interruzioni e rallentamenti;
  • Ciò che è “fattibile” è tenere sotto pressione il mondo del lavoro, perché resti subordinato al dominio del capitale finanziario internazionale.


Lunedì e martedì ci sono le riunioni dell’Eurogruppo, a rappresentare l’Italia non ci sarà più Saccomanni, ma Padoan. Vedremo.

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