Su La
Repubblica del 9 marzo, trova spazio un fondo
di Eugenio Scalfari che sembra orientare il giornale nello scontro sotto
traccia, apparentemente rinviato, tra il nuovo Segretario del PD e Presidente
del Consiglio ed il vecchio Vicesegretario del PD e Presidente del Consiglio. Tra
Matteo Renzi e Enrico Letta. Potremmo disinteressarci della cosa, ma due
argomenti militano nei confronti della sua rilevanza: il paese è a uno snodo
decisivo della sua vita ed alcuni dei temi trattati ne rappresentano la
sostanza; lo scontro tra il personale politico del vecchio establishment (di
cui Letta junior è uno dei più esemplari rappresentanti), in fase discendente,
e il nuovo ascendente è uno dei terreni nei quali la transizione italiana si
giocherà.
In genere ho
seguito la linea di non esprimere posizioni sulla politica corrente, salvo in
passaggi che mi sembravano implicare dimensioni più profonde. Questo è forse
uno di questi.
Quello che è
sicuramente il più autorevole giornalista italiano, ed esso stesso da lungo
tempo attore nel gioco politico e di potere, scrive in questo meditato pezzo
che a Bruxelles il Presidente del Consiglio sta iniziando a incontrare le
prevedibili difficoltà. Precisamente nell’incontro con la Commissaria Europea
agli Affari Regionali (che ha prevedibilmente chiarito che i fondi strutturali
non si possono usare per abbattere il cuneo fiscale, avendo un vincolo di
destinazione per progetti appunto infrastrutturali definiti) e con la Cancelliera tedesca,
la quale avrebbe ironizzato sulla sua (di Renzi) “tenuta atletica”.
Prosegue
ricordando che la macchina della riforma elettorale è ferma, e partirà solo con
gli ultimi ritocchi di quell’accordo politico che sinistramente chiama
“triplice” (la “triplice alleanza” è, come noto, quella tra Germania nazista,
Italia fascista e Giappone imperialista) tra Renzi-Alfano-Berlusconi. Dopo aver
ricordato i rischi d’imboscata da parte delle numerose (e ben motivate, per
quanto mi riguarda) opposizioni, Scalfari passa a quello che correttamente
chiama “il centro del problema Italia”: cioè
l’economia.
A questo punto
parte con il suo attacco principale: tutti gli interventi “fattibili” sono “già
stati avviati e in gran parte contabilizzati da Enrico letta e dai suoi
ministri a partire da Fabrizio Saccomanni”. Questa
è la sua tesi.
A parte che se
fosse vero noi saremmo chiaramente spacciati, a me pare che questa ipotesi
regga poco all’analisi (o meglio poggi molto più di quanto vorrebbe sul
significato del termine “fattibile”;
per chi? e per cosa?).
Renzi, infatti,
si sarebbe reso conto (presumo nel corso della breve visita a Bruxelles) “che
non può trascurare i vincoli europei”. Bene, i vincoli non vanno mai
“trascurati”. Io sono stato formato in una disciplina progettuale e condivido. Ma i vincoli vanno sempre
con rispetto, saggiati, interrogati, sfidati, reinterpretati. Altrimenti il
progetto non esiste.
Probabilmente
non essendo il dott. Scalfari un progettista non lo sa. Dunque sostiene che a
Bruxelles è necessario “convincere” e non “battere i pugni”. Poi andiamo oltre
nella lettura, ma su questo punto mi vorrei soffermare: “battere i pugni” è una
metafora che indica l’atteggiamento di chi in un negoziato esprime la propria
forza, la mostra, la esibisce (come un gorilla che, per non arrivare ad uno
scontro, che potrebbe essere molto dannoso con un rivale, esibisce il proprio
potenziale). Ora, si tratta di decidere cosa
è il consesso Europeo; se è un luogo cooperativo e pacifico, nel quale si
definiscono idee astratte e senza corpo, in cui non si rappresenta e
distribuisce potere. Un luogo, cioè, nel quale non ci sono risorse scarse, la
cui distribuzione non resti soggetta a giochi a somma zero, o moderatamente
positiva. Se è un luogo simile, allora è effettivamente inappropriato mostrare
forza e determinazione. Allora si può andare solo a “convincere”. Allora si può
essere simili a quella caricatura della Teoria discorsiva di Habermas che
immagina chi non lo ha mai letto.
Ma se, come mi
pare evidente, l’arena europea è un luogo del potere; un luogo in cui le idee e
le posizioni teoriche, le stesse interpretazioni giuridiche, implicano e
vestono (venendone strutturate) posizioni di forza ed interessi. Allora, mi
spiace, ma non c’è posto in cui si debba “battere i pugni” meno. Certo, per
“batterli” bisogna decidere quali interessi si vuole spostare. Bisogna decidere
da che parte si sta.
Proprio qui
potrebbe giocarsi la distanza utile tra il governo uscente e il nuovo. Il
vecchio governo, per ragioni anche strutturali (peraltro, allo stato, presenti
anche nel nuovo) non intendeva spostare
alcun interesse: né a Bruxelles o Berlino, né a Roma. Ma facendo ciò si è
condannato all’immobilismo e al fallimento. Questo è sotto gli occhi di tutti
gli italiani ma evidentemente non del dott. Scalfari. Il quale, invece, pensa
che l’Agenda di Letta sia completa e perfetta. La descrive con le sue stesse
parole, e ne conclude che “difficilmente Renzi potrà fare di più e di diverso”.
Quali sono
queste cose fatte e da fare? L’elenco è questo:
1-
il cuneo fiscale
ridotto per 3 miliardi, nel 2014, e 10, per il 2015, con coperture dalla
“spending review” e recupero dell’evasione;
2-
pagamento debiti
Pubblica Amministrazione alle imprese, con fondi per 20 miliardi;
3-
investimenti
da parte di aziende pubbliche per 3 miliardi;
4-
riduzione debito
pubblico attraverso privatizzazione di “asset” patrimoniali;
5-
il beneficio
dello spread, cioè della sua riduzione da impegnare per scuole ed
occupazione giovanile;
6-
la riduzione
delle imposte sul lavoro ed il rifinanziamento del credito di imposta, con
fondi resi disponibili dalla Commissione Europea;
7-
un decisivo passo
avanti sull’Unione Bancaria, durante il semestre a guida italiana;
8-
diminuzione del rapporto
deficit-pil da 2,6 a
2,3 e dell’avanzo al 5%;
9-
nel semestre, riequilibrio del tasso di cambio
verso il dollaro da 1,4 a
1,2 o 1,1.
Secondo Scalfari
“questo è quanto il Governo Letta ha avviato e in gran parte messo in opera e
queste sono le prospettive che avrebbe fatto valere nel corso del semestre
europeo”. Ancora, per il giornalista “difficilmente Renzi potrà fare di più e
di diverso”.
Arriva a dire,
il dott. Scalfari, e senza che gli appaia singolare o meritevole di attenzione,
che la recente contestazione
fatta da Olli Rehn al Governo Italiano sia “stata
fatta con l’obiettivo di dare al nostro governo un’arma in mano per vincere le
resistenze della maggioranza che lo appoggia”. Una simile frase è di una gravità assoluta, soprattutto
perché è plausibile. La dico in un
altro modo: la
Tecnostruttura denominata “Ufficio per gli Affari Economici e Finanziari” della Commissione
Europea (cioè del Governo Europeo, che riceve dal Parlamento un mandato
politico, ed è espressione in questo momento del Partito Popolare Europeo, come
tutti i suoi membri), in tacita intesa evidentemente con una parte del personale
politico nazionale, usa una procedura tecnico-contabile (con tanto di
tonnellate di numeri, evidentemente forzati) per avviare un’azione di pressione
sul Parlamento Italiano, per costringere le forze politiche in esso presenti ad
allinearsi ad una linea politica preordinata di rigore ed austerità.
Questo è quanto
è stato scritto sul giornale nazionale La Repubblica ,
il 9 marzo 2014, alla pagina 27, terza colonna, terzo capoverso.
Se si voleva una
prova del fatto che lo scomparso Peter
Mair aveva ragione è stata ottenuta.
Dalle parole stesse dell’ex Presidente del Consiglio. La funzione dei
cosiddetti “vincoli esterni” (che sono evidentemente esterni solo alla
democrazia e alla sfera pubblica razionale, cioè alla discussione pubblica) è a
questo punto chiara. Si tratta di vincoli autoindotti dalle élite politiche
sulla scala nazionale-sovranazionale e improntati a un gioco delle parti ormai
diventato così ovvio da non essere neppure nascosto.
Per me questo è
motivo sovrabbondante per decidere con chi stare. In nessun caso potrei
considerare giustificato questo nascondere, vigliaccamente, le proprie
decisioni politiche nella veste di strutture tecniche imposte dall’alto.
Spiace, sinceramente, che un democratico come Eugenio Scalfari si presti a tale
indegna manovra.
Nel merito, poi,
i nove punti indicati (al netto delle rodomontate come la risoluzione
dell’Unione Bancaria, quando sappiamo che è stata rinviata
di dieci anni, o addirittura del riequilibrio del tasso di cambio che dipende
dall’azione di attori esterni come gli USA e la Cina ) sono al limite dell’assoluto immobilismo.
Rispetto alla portata del problema che abbiamo davanti, ridurre il cuneo di
soli 3 mld, pagare solo 20 mld di debiti incancreniti, investire solo 3 mld,
aspettare fantomatici fondi della UE, significa esattamente non fare niente.
Ma certo,
bisogna fare solo ciò che è “fattibile” e senza “battere i pugni”. Alla luce
del gioco delle parti che il dott. Letta ha candidamente illustrato con la Commissione Europea ,
la cosa è molto più chiara:
- Ciò che è “fattibile” è quel che non muta la decisione fondamentale di procedere alla svalutazione competitiva per via di deflazione interna;
- Ciò che è “fattibile” è quel che non mette in discussione il punto che i flussi finanziari devono rientrare nel nord Europa, senza interruzioni e rallentamenti;
- Ciò che è “fattibile” è tenere sotto pressione il mondo del lavoro, perché resti subordinato al dominio del capitale finanziario internazionale.
Lunedì e martedì
ci sono le riunioni dell’Eurogruppo, a rappresentare l’Italia non ci sarà più
Saccomanni, ma Padoan. Vedremo.
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