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venerdì 14 marzo 2014

Eduardo Porter circa il libro di Piketty : “L’aumento irresistibile della disparità di ricchezza”


Sul New York Times è uscito un interessante Articolo di Eduardo Porter, sul libro di Piketty “Capitale, ottocento e ineguaglianze”, che abbiamo già visto in questo post. L’autore traduce per la sensibilità statunitense l’importante libro dell’autore francese. Un libro che Branko Milanovic, il maggior esperto della distribuzione del reddito, ha definito come “uno dei libri spartiacque nel pensiero economico”.
L’ineguaglianza, individuata dalla concentrazione di quote maggiori del reddito disponibile in una quota sempre più piccola della popolazione, sta di nuovo crescendo da alcuni decenni rispetto al periodo del dopoguerra, nel quale era scesa.

La teoria economica standard non è molto interessata a questo tema (che, invece, sta riemergendo persino nelle analisi del FMI) perché presuppone, in base alla storica analisi di Kuznets, che le forze economiche del mercato comunque lavorano a distribuire le risorse in direzione di maggiore efficienza ed equità. La teoria di Simon Kusnets derivava da un’analisi dei dati disponibili nel 1954, che suggerivano l’ineguaglianza sotto controllo (era registrata una espansione nelle prime fasi di crescita economica, poi la stabilizzazione e quindi la riduzione) in via naturale. Una sorta di curva a campana. Questa conclusione ha fornito, in effetti, molto “carburante” al confronto ideologico e morale, allora imperante, con il comunismo sovietico. L’economia di mercato può distribuire equamente i suoi frutti (che crea, peraltro, in abbondanza) senza pesanti interventi dello Stato.
Dunque salari e profitti non sono in competizione, ma crescono di pari passo; la questione è chiusa, conviene concentrarsi sui cicli economici per ridurne ampiezza e dannosità (è la questione che i neoliberali crederanno di aver risolto nel periodo della “grande moderazione” dal 1980 al 2008).

Peccato che oggi, le evidenze siano largamente diverse. La parte di torta che va al primo 10%, e quella che va al primo 0,01% è letteralmente esplosa a partire dal 1980, restando peraltro molto sensibile alle crisi finanziarie ricorrenti. Quella del primo 0,1% è cresciuta fortemente, mentre quella dell’1% è comunque cresciuta significativamente. Le altre sono rimaste stagnanti o in calo.
Anche la lettura della situazione italiana vede una marcata ineguaglianza, tutt’altro che in via di riduzione.

La preoccupazione per la distribuzione del reddito, che era centrale nell’analisi della generazione di economisti del 1800 (ad esempio in Ricardo e in Marx), riemerge allora con forza. In sostanza ci stiamo riavvicinando alla distribuzione del 19° secolo.

Sulla base di queste osservazioni Piketty propone di considerare la fase di riduzione della ineguaglianza (la fetta di reddito assorbita dal primo 10% scese tra il 1913 ed i 1948 dalla metà ad un terzo) a cavallo tra le due guerre come un caso particolare in una tendenza di lungo periodo di segno contrario. In quel periodo una depressione, due guerre mondiali e l’alta inflazione avevano distrutto una buona parte dello stock di capitale.

La cosa è molto importante, perché vorrebbe dire che il capitalismo, non è autocorrettivo, come vorrebbe Kuznets. È necessaria una spiegazione.
Piketty propone di concludere, sulla scorta di una amplissima analisi dei dati disponibili, su secoli e decine di paesi, che è all’opera una “regolarità storica”: il tasso di rendimento del capitale accumulato (macchinari, terreni, strumenti finanziari, immobili) è sempre superiore alla crescita economica. Ciò sia prima della rivoluzione industriale sia dopo.
Quindi il reddito derivante dai patrimoni cresce più velocemente dei salari. In altre parole, fino a che questi rendimenti da capitale sono continuamente reinvestiti (e sono ereditati senza significative riduzioni) la ricchezza crescerà più velocemente dell’economia e quindi si concentrerà sempre di più. In realtà quindi la propensione al risparmio, se individualmente è un comportamento saggio (e magari anche morale), collettivamente diventa controproducente.


Anche il caso americano (nel quale, si dice, la grande concentrazione di ricchezza –lo 0,01%- non è ereditata ma creata da “innovatori”) viene ricondotta ad un caso particolare ben spiegabile, in quel caso la violenta crescita della popolazione (che moltiplicandosi per molte volte, ha reso meno rilevante la trasmissione ereditaria, introducendo sempre maggiori forze produttive). Una circostanza non riproducibile. Anche qui in futuro agiranno prevalentemente due forze: ai proprietari di capitale una quota crescente ed il rimanente al reddito da lavoro (di cui una parte importante a top manager e “stelle”).

Il problema è che, come vede anche Summers,  questa è la strada di una sempre maggiore instabilità.

Tra gli antidoti la tassazione progressiva sul patrimonio, allo scopo di riportare il rendimento sul capitale dopo le imposte al livello del tasso di crescita economica complessiva e fermare la concentrazione.


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