Sul New York Times è uscito un
interessante Articolo
di Eduardo Porter, sul libro di Piketty “Capitale, ottocento e ineguaglianze”, che
abbiamo già visto in questo post.
L’autore traduce per la sensibilità statunitense l’importante libro dell’autore
francese. Un libro che Branko Milanovic,
il maggior esperto della distribuzione del reddito, ha definito
come “uno dei libri spartiacque nel pensiero
economico”.
L’ineguaglianza, individuata dalla
concentrazione di quote maggiori del reddito disponibile in una quota sempre
più piccola della popolazione, sta di nuovo crescendo da alcuni decenni
rispetto al periodo del dopoguerra, nel quale era scesa.
La
teoria economica standard non è molto interessata a questo tema (che, invece,
sta riemergendo persino nelle
analisi del FMI) perché presuppone, in base alla storica analisi di
Kuznets, che le forze economiche del mercato comunque lavorano a distribuire le
risorse in direzione di maggiore efficienza ed equità. La teoria di Simon
Kusnets derivava da un’analisi dei dati disponibili nel 1954, che suggerivano l’ineguaglianza
sotto controllo (era registrata una espansione nelle prime fasi di crescita
economica, poi la stabilizzazione e quindi la riduzione) in via naturale. Una sorta
di curva a campana. Questa conclusione ha fornito, in effetti, molto “carburante”
al confronto ideologico e morale, allora imperante, con il comunismo sovietico.
L’economia di mercato può distribuire equamente i suoi frutti (che crea, peraltro,
in abbondanza) senza pesanti interventi dello Stato.
Dunque salari e profitti non sono in
competizione, ma crescono di pari passo; la questione è chiusa, conviene
concentrarsi sui cicli economici per ridurne ampiezza e dannosità (è la
questione che i neoliberali crederanno di aver risolto nel periodo della “grande
moderazione” dal 1980 al 2008).
Peccato
che oggi, le evidenze siano largamente diverse.
La parte di torta che va al primo 10%, e quella che va al primo 0,01% è letteralmente
esplosa a partire dal 1980, restando peraltro molto sensibile alle crisi
finanziarie ricorrenti. Quella del primo 0,1% è cresciuta fortemente, mentre
quella dell’1% è comunque cresciuta significativamente. Le altre sono rimaste
stagnanti o in calo.
Anche
la lettura della situazione italiana vede una marcata ineguaglianza, tutt’altro
che in via di riduzione.
La preoccupazione per la distribuzione
del reddito, che era centrale nell’analisi della generazione di economisti del
1800 (ad esempio in Ricardo e in Marx), riemerge allora con forza. In sostanza
ci stiamo riavvicinando alla distribuzione del 19° secolo.
Sulla base di queste osservazioni
Piketty propone di considerare la fase di riduzione della ineguaglianza (la
fetta di reddito assorbita dal primo 10% scese tra il 1913 ed i 1948 dalla metà
ad un terzo) a cavallo tra le due guerre come un caso particolare in una
tendenza di lungo periodo di segno contrario. In quel periodo una depressione,
due guerre mondiali e l’alta inflazione avevano distrutto una buona parte dello
stock di capitale.
La cosa è molto importante, perché vorrebbe
dire che il capitalismo, non è autocorrettivo, come vorrebbe Kuznets. È necessaria
una spiegazione.
Piketty propone di concludere, sulla
scorta di una amplissima analisi dei dati disponibili, su secoli e decine di
paesi, che è all’opera una “regolarità storica”: il tasso di rendimento del capitale accumulato (macchinari, terreni,
strumenti finanziari, immobili) è sempre superiore alla crescita economica.
Ciò sia prima della rivoluzione industriale sia dopo.
Quindi
il reddito derivante dai patrimoni cresce più velocemente dei salari.
In altre parole, fino a che questi rendimenti da capitale sono continuamente
reinvestiti (e sono ereditati senza significative riduzioni) la ricchezza
crescerà più velocemente dell’economia e quindi si concentrerà sempre di più.
In realtà quindi la propensione al risparmio, se individualmente è un
comportamento saggio (e magari anche morale), collettivamente diventa
controproducente.
Anche il caso americano (nel quale, si
dice, la grande concentrazione di ricchezza –lo 0,01%- non è ereditata ma
creata da “innovatori”) viene ricondotta ad un caso particolare ben spiegabile,
in quel caso la violenta crescita della popolazione (che moltiplicandosi per
molte volte, ha reso meno rilevante la trasmissione ereditaria, introducendo
sempre maggiori forze produttive). Una circostanza non riproducibile. Anche qui
in futuro agiranno prevalentemente due forze: ai proprietari di capitale una
quota crescente ed il rimanente al reddito da lavoro (di cui una parte
importante a top manager e “stelle”).
Il problema è che, come vede anche Summers,
questa è la strada di una sempre
maggiore instabilità.
Tra gli antidoti la tassazione progressiva
sul patrimonio, allo scopo di riportare il rendimento sul capitale dopo le
imposte al livello del tasso di crescita economica complessiva e fermare la
concentrazione.
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