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venerdì 14 marzo 2014

L’Europa, il sogno ambiguo ed il nemico esterno


L’Unione Europea, come la Comunità dalla quale ha preso il via è uno strano sogno: parte dal dolore del dopoguerra e dai desideri di tanti, viene strumentalizzato da subito da élite politiche che desiderano in fondo una cosa diversa, è utilizzato dalla aristocrazia produttiva e finanziaria continentale per costruirsi un’arena protetta al riparo dalla pressione dell’opinione pubblica, in effetti dalla democrazia.

Questo incoerente schema è tenuto insieme per quaranta anni da un nemico esterno, anzi da due: il blocco sovietico, che rende necessario coordinare una capacità di azione comune, e la Germania, che deve restare divisa a salvaguardia dei rapporti di forza interni. Si tratta di uno schema che ha una sua forza indubbia, e nel quale si trovano bene tutte le forze politiche ed economiche.
In questi anni prevale per lo più (fino agli inizi degli anni novanta) la retorica sociale. L’Europa è un progetto sociale, il progetto di un super-stato che non lo è, ma comunque vuole irradiare il suo esempio nel mondo. La più avanzata normativa di protezione ambientale, di sicurezza, alimentare, per i trasporti, l’immigrazione e così via… Poi, magari, non è vero, ma l’Europa è una fucina di nuove norme tecniche, sulla concorrenza, sui mercati, di nuovi stili di vita. Questa è l’Europa che sviluppa un inconfondibile “soft power” in grado di rivaleggiare con quello americano (tra l’altro negli stessi anni appannato dalla politica alla “cow boy” in cui scivola talvolta).

C’è una rottura, e avviene nel ristretto periodo di due-tre anni, 1989-91: l’unificazione (l’anchluss) delle due Germanie e il crollo con dissoluzione dell’impero sovietico. I due eventi, strettamente concatenati, lasciano il progetto europeo senza nemici esterni. Alla fine senza ragione sociale.
Tutta la crisi di questi anni è figlia legittima di questa rottura. Da quel momento si ripetono gli “incidenti”, i referendum perduti (tra cui quello capitale francese), la dinamica divergente. Ogni Stato inizia a sentirsi legittimato a perseguire il proprio personale interesse senza alcuna remora. Per prima la Germania e per seconda la Francia. Il progetto Europeo diventa lo strano e provvisorio insieme di 28 progetti.

Non è proprio vero. In realtà c’è ancora un progetto unificante (ed era presente sin dagli esordi): il desiderio di proteggere il business della grande industria e della grande finanza dalla pressione della democrazia nazionale. Da quel faticoso lavoro di composizione di interessi e di lotta culturale, ideologica, valoriale ed ideale che va condotta incessantemente nelle sensibili arene pubbliche nazionali per spostare in proprio favore i rapporti di forza e revocare qualche garanzia, qualche diritto, qualche vecchio e ormai costoso accordo. Il progetto che resta è esattamente opposto a quello che aveva nel cuore Altiero Spinelli, che la cosa aveva chiarissima, e che chiamava “spezzare le autarchie economiche”.
Se questo è il progetto, lo strumento di questa guerra interna, a questo punto, sono diventati i Trattati, l’austerità e lo stesso Euro.

La moneta unica, in particolare, costringe a svalutare i prezzi interni per riportare in equilibrio le strutture industriali dei paesi membri. Lo abbiamo visto innumerevoli volte, da ultimo intorno all’accezione data alla parole chiave <competitività>. Ma questo significa svalutare il lavoro e il tenore di vita di chi vive di lavoro, far esplodere le ineguaglianze, ridurre i diritti e alterare i rapporti di forza in favore del capitale. Il senso di una simile operazione è chiara.


A me pare, che questo sia il quadro che ci ha lasciato la subitanea scomparsa del nemico esterno. Potrebbe la sua improvvisa ricomparsa, nelle vesti tradizionali della Russia di Putin, cambiare le cose? Ricordare agli opposti egoismi nazionali e di classe che abbiamo, noi europei, un destino comune ed un retaggio che non è scontato, ma da difendere ogni giorno? Ovviamente nella più civile versione della rivalità economica e politica.

Mai come oggi davanti all’Europa sono due strade:
-          Precipitare nella lotta di tutti contro tutti, e nello scontro a chi si accaparra la prossima fornitura di gas, o respinge il prossimo immigrato;
-          Ritrovare le ragioni superiori che inducevano ognuno a fare il mezzo passo indietro necessario per trovare un terreno comune.

Quali percorreremo dipenderà anche da noi.


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