L’Unione Europea, come la Comunità dalla quale
ha preso il via è uno strano sogno: parte dal dolore del dopoguerra e dai
desideri di tanti, viene strumentalizzato da subito da élite politiche che
desiderano in fondo una
cosa diversa, è utilizzato dalla aristocrazia produttiva e finanziaria
continentale per costruirsi un’arena protetta al riparo dalla pressione dell’opinione
pubblica, in effetti dalla
democrazia.
Questo incoerente schema è tenuto insieme per
quaranta anni da un nemico esterno,
anzi da due: il blocco sovietico, che rende necessario coordinare una capacità
di azione comune, e la Germania, che deve restare divisa a salvaguardia dei
rapporti di forza interni. Si tratta di uno schema che ha una sua forza
indubbia, e nel quale si trovano bene tutte le forze politiche ed economiche.
In questi anni prevale per lo più (fino agli
inizi degli anni novanta) la retorica sociale. L’Europa è un progetto sociale,
il progetto di un super-stato che non lo è, ma comunque vuole irradiare il suo
esempio nel mondo. La più avanzata normativa di protezione ambientale, di
sicurezza, alimentare, per i trasporti, l’immigrazione e così via… Poi, magari,
non è vero, ma l’Europa è una fucina di nuove norme tecniche, sulla
concorrenza, sui mercati, di nuovi stili di vita. Questa è l’Europa che
sviluppa un inconfondibile “soft power” in grado di rivaleggiare con quello
americano (tra l’altro negli stessi anni appannato dalla politica alla “cow boy”
in cui scivola talvolta).
C’è una
rottura, e avviene nel ristretto periodo di due-tre anni, 1989-91: l’unificazione
(l’anchluss)
delle due Germanie e il crollo con dissoluzione dell’impero sovietico. I due
eventi, strettamente concatenati, lasciano il progetto europeo senza nemici
esterni. Alla fine senza ragione sociale.
Tutta la crisi
di questi anni è figlia legittima di questa rottura. Da quel momento
si ripetono gli “incidenti”, i referendum perduti (tra cui quello capitale
francese), la dinamica divergente. Ogni Stato inizia a sentirsi legittimato a
perseguire il proprio personale interesse senza alcuna remora. Per prima la Germania
e per seconda la Francia. Il progetto Europeo diventa lo strano e provvisorio
insieme di 28 progetti.
Non è proprio vero. In realtà c’è ancora un progetto unificante (ed era presente sin
dagli esordi): il desiderio di proteggere il business della grande industria e
della grande finanza dalla pressione della democrazia nazionale. Da quel
faticoso lavoro di composizione di interessi e di lotta culturale, ideologica,
valoriale ed ideale che va condotta incessantemente nelle sensibili arene pubbliche
nazionali per spostare in proprio favore i rapporti di forza e revocare qualche
garanzia, qualche diritto, qualche vecchio e ormai costoso accordo. Il progetto
che resta è esattamente opposto a quello che aveva nel cuore Altiero
Spinelli, che la cosa aveva chiarissima, e che chiamava “spezzare le autarchie economiche”.
Se questo è il progetto, lo strumento di questa
guerra interna, a questo punto, sono diventati i Trattati, l’austerità e lo
stesso Euro.
La moneta unica, in particolare, costringe a
svalutare i prezzi interni per riportare in equilibrio le strutture industriali
dei paesi membri. Lo abbiamo visto innumerevoli volte, da ultimo intorno all’accezione
data alla parole chiave <competitività>.
Ma questo significa svalutare il lavoro e il tenore di vita di chi vive di
lavoro, far esplodere le ineguaglianze, ridurre i diritti e alterare i rapporti
di forza in favore del capitale. Il senso di una simile operazione è chiara.
A me pare, che questo sia il quadro che ci ha
lasciato la subitanea scomparsa del nemico esterno. Potrebbe la sua improvvisa
ricomparsa, nelle vesti tradizionali della Russia di Putin, cambiare le cose?
Ricordare agli opposti egoismi nazionali e di classe che abbiamo, noi europei,
un destino comune ed un retaggio che non è scontato, ma da difendere ogni giorno? Ovviamente nella più civile versione della rivalità economica e politica.
Mai come oggi davanti all’Europa sono due strade:
-
Precipitare nella
lotta di tutti contro tutti, e nello scontro a chi si accaparra la
prossima fornitura di gas, o respinge il prossimo immigrato;
-
Ritrovare le
ragioni superiori che inducevano ognuno a fare il mezzo passo indietro
necessario per trovare un terreno comune.
Quali percorreremo dipenderà anche da noi.
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