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Syndacate un articolo
di un membro della Camera dei Lord inglese, Gus O’Donnell, ritorna sulla
questione della metrica attraverso la quale misurare le performance del sistema
economico e l’efficacia delle politiche pubbliche.
Il PIL, che è lo
strumento principe di queste misurazioni, produce numerosi effetti di mascheramento (in quanto media di
fenomeni altamente eterogenei) e di sviamento
(in quanto espressione “avalutativa” di dinamiche di segno opposto). Su questo
tema centrale, anche se sempre rinviato, abbiamo già letto numerosi interventi.
Per ricordare i
principali:
- L’appassionato discorso di Robert Kennedy appena tre mesi prima di essere ucciso, nel 1968;
- . Il discorso del 1930 di Keynes, che pur non nominandolo, attacca direttamente la pratica di considerare la crescita quantitativa della ricchezza come fine ultimo dell’economia e della vita;
- Il libro di Fitoussi, Sen e Stiglitz, sul PIL come “misura sbagliata delle nostre vite”;
- Il libro di Fitoussi, “Il teorema del lampione”, nel quale viene focalizzata da questione della metrica inventata negli anni cinquanta e ormai inadatta ad una società molto più dispersa ed ineguale;
- - L’esortazione apostolica “Evangelii gaudium” di Papa Francesco, nella quale viene condotto un vigoroso attacco contro il materialismo e consumismo dell’economia contemporanea, che perde non vedendolo quel che è più proprio dell’uomo.
L’intervento
dell’aristocratico inglese, che riassume i risultati e le proposte di uno studio
commissionato dall’Istituto Legatum,
si inserisce in questa linea. Lo Studio
è condotto, oltre che da O’Donnell, da Angus Deaton, David Halpern, Martine
Durand, Richard Layard. Denuncia l’avidità e cecità dello sviluppo economico
tutto rivolto alla massimizzazione del prodotto, senza percepirne né il vero
costo (in termini di rischi ed instabilità) né la disuguaglianza crescente, con
conseguente erosione del benessere.
La proposta è di
utilizzare, quale obiettivo centrale delle politiche, il concetto di “benessere” e di dare la dovuta
importanza alla stabilità. La convinzione dell’autore è che, “nonostante l’apparente
soggettività” è possibile oggi, a livello OCSE, misurare in modo “robusto” ed
internazionale gli effetti delle politiche sul benessere.
Concentrarsi sul
“benessere”, significa dare il giusto valore (negativo) agli effetti degli
incidenti (e dunque della riduzione dei parametri di sicurezza), dei processi
di distruzione e creazione (crollo-ripresa), delle distribuzioni, degli effetti
marginali. Il benessere, infatti, cresce molto più velocemente per un
incremento marginale nei deprivati (ad esempio, nei poveri) che non negli
opulenti. L’effetto è semplice e chiaro: se misuro il PIL un euro di maggiore
produzione guadagnato da uno che ne ha già 1 milione è maggiore di 0,7 euro
guadagnato da chi non ha niente. Ma è del tutto evidente che il benessere di
chi passa da 1 milione a 1.000.001 non cambia in modo apprezzabile, mentre
passare da 0,00 a 0,7 è un netto incremento.
Questo effetto è
registrato nelle nostre economie dagli sforzi di garantire una distribuzione
minima tramite le finanze pubbliche. Ma non è valorizzato adeguatamente dalle
metriche di registrazione.
L’autore
sottolinea che la metrica del PIL è particolarmente inadatta a sistemi
economici e sociali con grandi settori pubblici, in quanto sottodescrive le
loro prestazioni. Output come il numero di prestazioni mediche o di incendi
estinti, per restare ai suoi esempi, hanno un valore positivo nel PIL, mentre il sano e lo spento non ne hanno. Potenziare i servizi di prevenzione ha,
quindi effetti negativi sul PIL (mentre al più migliora i conti pubblici), del
tutto ingiustificati. In realtà essi aumentano significativamente il benessere,
che è al fine l’unica cosa che conta.
Focalizzando il
benessere, emergono fattori come la qualità delle relazioni umane, il senso di
coesione sociale comunitaria, la sicurezza e la salute fisica e mentale, la
durata di vita, che non sono ben descritti in termini di crescita del PIL (in
alcuni casi addirittura sono negativi), ma dovrebbero essere invece al centro
delle politiche. In altre parole i governi dovrebbero essere giudicati su
queste cose e non sulla mera crescita del Prodotto Interno per alcuni.
Inoltre
focalizzare il benessere, per l’autore, produce l’effetto di valorizzare l’interazione
e la somma positiva determinata da molte azioni di cura e capacitazione (per
usare un termine di Sen). Quindi valorizza attività come la genitorialità e l’istruzione,
la cooperazione, il volontariato di cura, etc.
Tutto ciò è
sicuramente vero ed appropriato, ma non bisogna sottovalutare, che il PIL è una
misura semplice, apparentemente ovvia dai fortissimi effetti di mascheramento
del potere. Riesce a dare l’impressione di una ricchezza crescente e stabile
dove sono all’opera massicci fenomeni di impoverimento e distruzione
strutturale. Nasconde, con indubbia e straordinaria efficacia, la reale
distribuzione della capacità di alcuni di agire e catturare da altri il valore
nella società, sia rispetto al futuro, sia tra i contemporanei. Dunque si
tratta di un indicatore che manifesta, pur in tutte le critiche che da sempre
evoca, un’enorme capacità di resistenza.
Superarlo
richiederebbe in effetti una completa rivoluzione delle priorità.
Il mondo è
pronto?
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