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lunedì 31 marzo 2014

Gus O’Donnell, BIL. Benessere Interno Lordo


Su Project Syndacate un articolo di un membro della Camera dei Lord inglese, Gus O’Donnell, ritorna sulla questione della metrica attraverso la quale misurare le performance del sistema economico e l’efficacia delle politiche pubbliche.

Il PIL, che è lo strumento principe di queste misurazioni, produce numerosi effetti di mascheramento (in quanto media di fenomeni altamente eterogenei) e di sviamento (in quanto espressione “avalutativa” di dinamiche di segno opposto). Su questo tema centrale, anche se sempre rinviato, abbiamo già letto numerosi interventi.
Per ricordare i principali:
  1.          L’appassionato discorso di Robert Kennedy appena tre mesi prima di essere ucciso, nel 1968;
  2.     .  Il discorso del 1930 di Keynes, che pur non nominandolo, attacca direttamente la pratica di considerare la crescita quantitativa della ricchezza come fine ultimo dell’economia e della vita;
  3.           Il libro di Fitoussi, Sen e Stiglitz, sul PIL come “misura sbagliata delle nostre vite”;
  4.       Il libro di Fitoussi, “Il teorema del lampione”, nel quale viene focalizzata da questione della metrica inventata negli anni cinquanta e ormai inadatta ad una società molto più dispersa ed ineguale;
  5.      -  L’esortazione apostolica “Evangelii gaudium” di Papa Francesco, nella quale viene condotto un vigoroso attacco contro il materialismo e consumismo dell’economia contemporanea, che perde non vedendolo quel che è più proprio dell’uomo.


L’intervento dell’aristocratico inglese, che riassume i risultati e le proposte di uno studio commissionato dall’Istituto Legatum, si inserisce in questa linea. Lo Studio è condotto, oltre che da O’Donnell, da Angus Deaton, David Halpern, Martine Durand, Richard Layard. Denuncia l’avidità e cecità dello sviluppo economico tutto rivolto alla massimizzazione del prodotto, senza percepirne né il vero costo (in termini di rischi ed instabilità) né la disuguaglianza crescente, con conseguente erosione del benessere.
La proposta è di utilizzare, quale obiettivo centrale delle politiche, il concetto di “benessere” e di dare la dovuta importanza alla stabilità. La convinzione dell’autore è che, “nonostante l’apparente soggettività” è possibile oggi, a livello OCSE, misurare in modo “robusto” ed internazionale gli effetti delle politiche sul benessere.

Concentrarsi sul “benessere”, significa dare il giusto valore (negativo) agli effetti degli incidenti (e dunque della riduzione dei parametri di sicurezza), dei processi di distruzione e creazione (crollo-ripresa), delle distribuzioni, degli effetti marginali. Il benessere, infatti, cresce molto più velocemente per un incremento marginale nei deprivati (ad esempio, nei poveri) che non negli opulenti. L’effetto è semplice e chiaro: se misuro il PIL un euro di maggiore produzione guadagnato da uno che ne ha già 1 milione è maggiore di 0,7 euro guadagnato da chi non ha niente. Ma è del tutto evidente che il benessere di chi passa da 1 milione a 1.000.001 non cambia in modo apprezzabile, mentre passare da 0,00 a 0,7 è un netto incremento.
Questo effetto è registrato nelle nostre economie dagli sforzi di garantire una distribuzione minima tramite le finanze pubbliche. Ma non è valorizzato adeguatamente dalle metriche di registrazione.


L’autore sottolinea che la metrica del PIL è particolarmente inadatta a sistemi economici e sociali con grandi settori pubblici, in quanto sottodescrive le loro prestazioni. Output come il numero di prestazioni mediche o di incendi estinti, per restare ai suoi esempi, hanno un valore positivo nel PIL, mentre il sano e lo spento non ne hanno. Potenziare i servizi di prevenzione ha, quindi effetti negativi sul PIL (mentre al più migliora i conti pubblici), del tutto ingiustificati. In realtà essi aumentano significativamente il benessere, che è al fine l’unica cosa che conta.
Focalizzando il benessere, emergono fattori come la qualità delle relazioni umane, il senso di coesione sociale comunitaria, la sicurezza e la salute fisica e mentale, la durata di vita, che non sono ben descritti in termini di crescita del PIL (in alcuni casi addirittura sono negativi), ma dovrebbero essere invece al centro delle politiche. In altre parole i governi dovrebbero essere giudicati su queste cose e non sulla mera crescita del Prodotto Interno per alcuni.
Inoltre focalizzare il benessere, per l’autore, produce l’effetto di valorizzare l’interazione e la somma positiva determinata da molte azioni di cura e capacitazione (per usare un termine di Sen). Quindi valorizza attività come la genitorialità e l’istruzione, la cooperazione, il volontariato di cura, etc.

Tutto ciò è sicuramente vero ed appropriato, ma non bisogna sottovalutare, che il PIL è una misura semplice, apparentemente ovvia dai fortissimi effetti di mascheramento del potere. Riesce a dare l’impressione di una ricchezza crescente e stabile dove sono all’opera massicci fenomeni di impoverimento e distruzione strutturale. Nasconde, con indubbia e straordinaria efficacia, la reale distribuzione della capacità di alcuni di agire e catturare da altri il valore nella società, sia rispetto al futuro, sia tra i contemporanei. Dunque si tratta di un indicatore che manifesta, pur in tutte le critiche che da sempre evoca, un’enorme capacità di resistenza.

Superarlo richiederebbe in effetti una completa rivoluzione delle priorità.

Il mondo è pronto?

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