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venerdì 7 marzo 2014

Klemens von Metternich, “La muraglia a volte non basta”

Il Conte Klemens von Metternich nacque nel 1773 e morì nel 1859; dal 1809 al 1848 resse le sorti politiche dell’Austria. La sua opera fu rivolta, pur avendo avuto un allievo di Kant come istitutore, alla strenua ed ostinata resistenza al cambiamento che il suo tempo gli proponeva. Al continuo ed infaticabile innalzamento di muri, sempre più alti, contro il liberalesimo e la rivoluzione, che al fine ne decreterà la fine politica nel 1848.

Il 1848 è un anno mirabile. Fu scritto Il Manifesto del Partito Comunista da Karl Marx, in tutta Europa le rivolte squassarono i polverosi edifici dell’assolutismo fino a rovinarli al suolo. Nulla fu più eguale. Da “Il mio testamento politico” (1849-55) leggiamo come il Conte lo vide: “agli inizi del 1848 gli stati della mitteleuropa sono caduti o sembrano traballanti, come se fosse avvenuto un violento terremoto. Tutto è partito, come sempre ormai accade dalla fine del XVIII secolo, anche questa volta, dalla Francia. L’effetto che si è manifestato ha assunto la cadenza delle leggi fisiche. L’impatto ha operato sulle grandi entità indipendenti e sui piccoli stati cuscinetto, incuneati tra di esse in maniera diversa, dal momento che le prime lo hanno avvertito più violentemente. La Francia, la cui ricostruzione è stata fatta con materiale leggero, si è ricoperta di polvere, mentre nei grandi imperi centrali si è sparsa a terra una gran quantità di pietre e travature, sotto le quali venne sepolto il vecchio ordine.” Riconobbe nel tempo il “momento di svolta della storia mondiale”, ma a questo si oppose fino all’ultimo giorno.

Perché? Il motivo è lo stesso per il quale, oggi, tanti si battono strenuamente per conservare un assetto dei poteri e una forma dei saperi evidentemente fallito e non più adatto al tempo. Ad un tempo nel quale la violenta accelerazione, probabilmente indotta da potenti strutture tecnologiche e dal desiderio dei popoli, strappa il tessuto stesso della convivenza in occidente.
Per Metternich la storia procede per vie naturali, “mette in fila le cose l’una dopo l’altra” elimina le “cattive sostanze” e progressivamente “forma quelle adatte”. E’ come un organismo che non fa salti. La differenza è, insomma, tra “il corso ordinato delle cose e il procedere a salti”. Le seconde “comportano sempre creazioni nuove, ma gli uomini non possono creare nulla”. Questo spirito radicalmente anti-illuminista si manifesta nella paura dell’incerto, del progetto, dell’innovazione: “invadere il terreno su cui i principi godono ancora della massima considerazione e violare il campo occupato da ardite teorie, l’ho sempre considerato un errore, le cui conseguenze sono incalcolabili”.
Questo naturalismo lo porta a cercare di evitare “il progresso attraverso i conflitti sociali”, ma di “realizzare la libertà come inevitabile prodotto dell’ordine”, giungere al benessere solo attraverso “le condizioni dell’ordine materiale e morale”.

Il 13 marzo del 1848, quando fu costretto a dimettersi, questo modello di naturalismo conservatore incontra finalmente le forze che ha cercato di contenere e respingere. Viene quindi travolto da quelli che considerava “istinti e passioni”, incapaci di creare ordine e stabilità. La sua idea statica della storia, basata su una natura umana immutabile e bisognosa soprattutto di disciplina ed ordine, viene confutata. Da allora la storia si metterà in moto e rovescerà completamente e definitivamente l’aristocrazia e gli assetti economici ad essa funzionali.

La politica del Conte von Metternich era, insomma, tutta rivolta a conservare disperatamente l’ordine che funzionava da ambiente di esistenza del suo mondo, fortwursteln [perseverare], “continuare con lo stesso andazzo”; procrastinare, differire la fine. Evitare ogni cambiamento, anche il più piccolo, stuccare la minima crepa; difendere, difendere, difendere.
Immobili, come statue di sale.
Alzare sempre nuove muraglie, soffocare la vita civile, impedire alla parola di circolare, sommergerla di parole d’ordine, moltiplicare le guardie e le prigioni.

Non bastò.

Non basterà.

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