Nel 2012,
Luciano Gallino, intervistato da Paola Borgna, scrive per Laterza questo
libro che è un ininterrotto atto di accusa contro l’opinione dilagante che
le classi sociali siano uno schema interpretativo, e persino una realtà, superata
dalla storia.
Per Gallino
questa visione è il risultato di un’egemonia consolidata da parte della classe
sociale vincente, quella dei percettori di prevalente rendita da capitale (che
lui, per lo più chiama, semplicemente, “ricchi”). Tale egemonia si è formata negli
anni in seguito ad un ostinato, costante, concentrico attacco condotto da
influenti think tanks, come il Cato
Institute, la Heritage Foundation, la Società Mont Pelerin, l’Adam Smith
Institute, etc.. Dagli anni sessanta, questi autorevoli istituti, pesantemente
finanziati dalle varie associazioni imprenditoriali e dai magnati della finanza
o della grande industria, hanno creato un ambiente culturale omogeno, che parla
lo stesso linguaggio, articola i medesimi argomenti, riproduce le stesse
ricette. Queste hanno una resistenza ai fatti, che sta emergendo con evidenza
planare nell’occasione di questa crisi, tale che non è assolutamente
inappropriato parlare di ideologia. Anche gli intellettuali, per Gallino, sono
parte di questa ortodossia, con il loro spirito gregario, la mancanza di senso
critico (che dovrebbe essere il primo requisito) e di coraggio; non è alieno da
questo la forte privatizzazione degli ambienti universitari, la dipendenza
della ricerca dai fondi e dalle donazioni, le borse di studio, i dottorati attivabili
intorno a tali donazioni. E quindi l’importanza sociale, e organizzativa, di
chi riesce a far affluire i fondi e circondarsi di dottorandi o specializzandi.
Tutto questo genera
potere, viene citato L’elitè
del potere di Charles Wright Mills che evidenziava i rapporti tra i
principali esponenti politici, la classe sociale al top della ricchezza e i
militari negli USA degli anni cinquanta. Una ricerca datata, ma aggiornata da
William Domhoff in Chi
governa l’America? Le ricerche più aggiornate in Europa (Inghilterra)
parlano di un complesso economico-politico-accademico, ciò che manca è un’analisi
strutturale del modo in cui e attraverso quali “canali e rapporti
interpersonali o inter-gruppo il potere economico diventa un decreto
governativo e poi un disegno di legge e infine una legge approvata dalla
maggioranza”. Gli strumenti sono le campagne di influenza mediatica, la
creazione di notizie, il rinvio a studi e dossier, i rimbalzi su giornali,
televisione, forse ora anche blog, i contributi finanziari, diretti ed indiretti,
sistematici o occasionali, grandi e piccoli (ma continui), gli studi legali
abili nel predisporre rapide veline, immediate repliche, nuove versioni, l’attenzione
costante al lavoro delle Commissioni, gli sms, e via dicendo…
Gli effetti di
questa lunga egemonia è che, per via di grande varietà di meccanismi (tutti
fondamentalmente riconducibili alla perdita di ruolo del lavoro, in favore del
capitale già accumulato) i redditi si
sono redistribuiti dal basso verso l’alto.
Dunque la “classe
operaia” (ovvero coloro i quali lavorano con prevalente impiego di attività
fisica e svolta alle dipendenze di qualcun altro) e la “classe media” (coloro i
quali lavorano con prevalente impiego di attività intellettuale e/o non alle
dipendenze), sono stati progressivamente marginalizzati nella distribuzione
delle ricchezze prodotte dal sistema economico. Chi se ne è avvantaggiato è la “casse
dei renditieri”, cioè quella di chi non vive principalmente del proprio lavoro
ma del frutto dei propri capitali.
L’attacco è
iniziato nei primi anni ottanta (novanta nell’Europa continentale) con le
esenzioni fiscali per i ricchi ed ha preso slancio con la progressiva
liberalizzazione dei movimenti di capitale. Questa seconda cosa è essenziale
nel determinare un nuovo rapporto di forza tra il lavoro e lo stesso capitale. Dato
che il primo, come lo Stato, è impossibilitato a seguire –con la necessaria
rapidità- i flussi (faccio molto prima –e mi costa meno- trasferire un fondo in
Australia che a trasferirmi lì e trovare lavoro) l’insieme delle due azioni ha
generato una pressione insostenibile verso i sistemi pubblici di protezione
sociale. Questi ultimi sono diventati difficilmente sostenibili solo perché i
capitali “votano con i piedi” e i lavoratori no. Dunque l’intera pressione si
riversa sulla parte inferiore della stratificazione, che dispone di meno della
metà della ricchezza disponibile (ed è tra l’80 ed il 90% della popolazione
attiva) e dunque, per quanto torchiata non può garantire il gettito. Il
risultato è che si trova sovratassata e sottoservita. La “finanziarizzazione” è
effetto e motore di questo progetto, ne rappresenta anche l’istinto a “valorizzare”
(cioè sottoporre alla logica del “valore” economico) ogni aspetto della vita.
Dunque il “progetto
politico”, come afferma con nettezza Gallino, muove su due linee: abbassare le tasse sui capitali e ampliare
il gioco del lavoro a tutto il mondo (in modo da disporre di masse di
lavoratori alternativi) portando via le fabbriche o ricattando le esistenti.
Queste due lame della forbice sono irresistibili. Tagliano lo Stato Sociale e
riducono la forza negoziale delle prime due “classi” in favore della terza.
Secondo il
sociologo piemontese, erede della tradizione della fabbrica comunitaria di
Olivetti, la politica non è ricattata ed ostaggio di questa “forbice”, ma ne è la costruttrice. Non è
sopraffatta dall’economia e dalla finanza, come appare, ma in qualche modo si è
affidata in outsorcing ad essa per disciplinare e domesticare i lavoratori. Per
neutralizzarne la carica politica.
Derivano da
questo compatto assetto tutte le parole d’ordine che hanno attraversato gli
ultimi trent’anni: efficienza, produttività (p.73), competitività (p.42), prevalenza
dei servizi sulla produzione (p.45), trade-off tra efficienza ed equità
(p.114), austerità (p.126) flessibilità (p. 151).
Recuperare quindi
la percezione della contrapposizione di interessi di gruppo, o della differenza
strutturale di posizione sociale ed economica, può servire ad “elevare il
pensiero e l’azione politica” tramite “qualche tipo di dialettica tra parti
contrapposte; contrapposte perché hanno interessi, visioni del mondo, progetti
per il futuro fondamentalmente differenti, e tutto ciò esprimono nel dibattito
politico.” (P. 195) Oggi, in un certo
senso, tutti si sentono dalla stessa parte, “tutti sono convinti e ripetono
coattivamente che il mondo è cambiato, che la globalizzazione è inevitabile,
che non esistono alternative per modificare lo stato di cose”. Si tratta di una
“cattura cognitiva” che rende inesistenti le opposizioni parlamentari; tutti
gli argomenti, per Gallino, sono sostanzialmente elaborati “all’interno della classe
dei vincitori”.
Un segno è la
scomparsa dei grandi temi della ricerca sociologica (in particolare della
ricerca di campo), come: classe sociale, alienazione, integrazione sociale, mobilitazione.
Gallino conclude
citando David Harvey, nel suo
libro del 2010: “in questo momento,
come scrive Warren Buffet, la lotta di classe esiste, e la sua classe la sta
vincendo. Il nostro obiettivo immediato è dimostrargli che ha torto”.
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