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martedì 25 marzo 2014

Luigi Spaventa, Quando tutto è noto in anticipo… (“Discorso sullo SME”, 12 dicembre 1978),


Subito dopo il crac della Lehman si dice che la Regina d’Inghilterra, ad un Congresso di economia della London School of Economics, abbia chiesto candidamente: <come mai non vi eravate accorti di niente?>. Il glaciale ed imbarazzato silenzio è stato uno dei momenti più bassi (o alti, secondo i punti di vista) della disciplina. Alcuni traggono la conclusione che l’economia non fa previsioni e che quando le fa, le sbaglia.
Beniamino Andreatta e Luigi Spaventa

Non è vero!
Il 12 dicembre 1978, Luigi Spaventa, indimenticato (è morto nel 2012) economista italiano più volte eletto tra gli “indipendenti di sinistra” nel Parlamento Italiano, pronuncia uno straordinario discorso in occasione del più importante dibattito degli ultimi quaranta anni: quello sull’adesione dell’Italia allo SME. Per certi versi questa decisione ha determinato anche la successiva adesione all’Euro. E quindi ha determinato il destino del paese entro il quale viviamo.
Torniamo dopo sugli sfondi e le ragioni di quella scelta cruciale, prima ascoltiamo quel che dice Spaventa: all’avvio introduce un tema che riprenderà alla fine; il Presidente del Consiglio, Giulio Andreotti, che è il regista di quella decisione cruciale, è uomo che “non tiene in gran conto le questioni tecniche o i pareri tecnici, egli riduce ogni questione tecnica solo a questione politica e, compiuta questa operazione egli –forse non a torto – pensa solo a chi conta, poco curandosi di valutare benefici e costi che derivano da una decisione”. Per Andreotti, insomma, la questione è di potere, non di meccanismo.
Dopo questo essenziale disvelamento (vedremo al fine quale è il potere in questione, e di chi), Spaventa schematicamente riassume, a futura memoria (“quasi per memoria”), cioè per noi che gli siamo sopravvissuti (per ora), le ragioni che hanno indotto una “larga maggioranza” di studiosi ad esprimere valutazioni negative sul costituendo sistema monetario. Le prime sono internazionali, giova ricordarle perché sostanzialmente, dopo quasi quaranta anni, noi ci siamo ancora dentro: esisteva all’epoca un “disavanzo strutturale delle partite correnti del complesso dei paesi occidentali” (causato dal costo delle materie prime), tale da non poter essere ridotto solo con operazioni di cambio, ma da richiedere “movimenti di reddito e recessione”. Una simile situazione o si gestisce in modo cooperativo e tramite un’armonizzazione della crescita e del gioco avanzi/disavanzi dei singoli paesi, oppure si determina la situazione per la quale (secondo una fulminante immagine, assolutamente attuale): “il disavanzo complessivo, quasi che fosse un carico che si muove non stivato bene in una nave su un mare in tempesta, tende a concentrarsi in quei paesi la cui crescita diviene più rapida di quella degli altri o in quelli in cui i costi ed i prezzi aumentano più rapidamente degli altri”. E’ esattamente quel che è successo negli anni zero.
In queste condizioni, se si determina una differenza tra paesi che vogliono crescere più velocemente e paesi che vogliono restare in avanzo, al momento in cui si verificherà fatalmente la riduzione delle riserve e la difficoltà di rinvenire prestiti scatterà l’obbligo, per Spaventa, per i paesi in disavanzo ad attuare “politiche interne restrittive”, mentre “non c’è alcuna sanzione che obbliga i paesi che accumulano riserve ad adottare politiche interne più espansive”. Ciò si è puntualmente e più volte verificato con paesi come la Germania in avanzo costante, riserve non mobilitabili per la cattura delle Banche Centrali Nazionali nel sistema BCE e l’impossibilità di avere un prestatore di ultima istanza per tenere sotto controllo i prestatori privati.
Insomma, nel 1978, il problema posto dal Tesoro Americano nel 2012 era già posto con chiarezza assoluta.

Senza questi contrappesi (che ancora dolorosamente mancano), per l’economista italiano “quest’area monetaria rischia oggi di configurarsi come un’area di bassa pressione e di deflazione, nella quale la stabilità del cambio viene perseguita a spese dello sviluppo dell’occupazione e del reddito”. A costringere a questo esito, che si è puntualmente verificato, è l’obiettivo di fondo della politica economica tedesca: “evitare il danno che potrebbe derivare alle esportazioni da ripetute rivalutazioni del solo marco, ma non accettare di promuovere uno sviluppo più rapido della domanda interna”. In assenza di regole che determinino simmetrie ed obblighi (come a più riprese richiesto dall’OCSE, e successivamente negli anni novanta anche dal FMI) deriverebbe un sacrificio solo per i paesi più deboli.

Dunque si comincia a vedere di chi è il potere.

Ma non affrettiamo la lettura. Spaventa ricorda che anche dal punto di vista interno, le debolezze strutturali relative dell’economia italiana implicherebbero la necessità, per convergere come necessario in un quadro di unione monetaria, di avere a lungo un tasso di crescita ed investimenti superiore. Dunque un tasso di sviluppo delle esportazioni più elevato, in modo da avere le risorse per garantire la crescita (in alternativa avere “stabili entrate in conto capitale”). Altro fattore di squilibrio è la tendenza dell’economia italiana ad avere un tasso d’inflazione superiore a quello tendenziale del nord (e della Germania in particolare). Anche qui, se non è corretto (come non succederà) il differenziale porterà a maggiore divergenza e non convergenza.
La cosa più divertente, del testo di Spaventa è che chiama a testimone di queste valutazioni il prof. Mario Monti (si), che per il Sole 24 Ore, nel 1978, valutava fragile e rischiosa la situazione e consigliava un rinvio. L’argomento si concentrava sugli effetti di cambio, in questo contesto Spaventa enuncia quella che, col senno di poi, potrebbe essere preso come termine centrale della riflessione e atto di accusa principe contro l’intera logica della costruzione monetaria europea: “il cambio è la più endogena della variabili: non può essere trasformata o in obiettivo fine a sé stesso o in strumento da manovrare per il conseguimento di altre finalità”.

Quali sono queste “altre finalità”? Finalità politiche. Quali? Spaventa non ha dubbi, si tratta di uno strumento. “Il sistema monetario è uno strumento che offre la costrizione, perché rende più duro e rigido il vincolo esterno”. Una costrizione necessaria, “si ragiona”, perché l’Italia segua i comportamenti “necessaria al suo risanamento”. Si tratta di un “grimaldello”, per “mutare i presenti equilibri politici di partito e di maggioranza”; una “prova di forza” per aggirare il necessario consenso ai sacrifici, per “imporlo invece di suscitarlo”, per massimizzare i costi sociali ed economici dello sforzo, ma a danno solo di alcuni.
Non si tratta di altro. Non di uno sforzo (come pure si cercherà di giustificare) per far fare un salto all’idea Europea, al sogno di Spinelli; malgrado il “terrorismo ideologico europeistico” che si rischia, in quegli anni come in questi, a parlare contro, ad obiettare. I difetti di questo percorso di unificazione sono, nel 1978 come nel 2014, i “difetti di una creatura nata politicamente male e politicamente malformata”, essi derivano “dagli egoismi nazionali degli altri paesi più forti”. Egoismi che, allora come adesso, caricano i pesi solo sui più deboli.

Dunque è in questione, specificatemente, il potere. Quel potere che oscura le voci scomode (come il Rapporto Mc Dougall) che disegnava una politica europea reale, che partisse da un solido bilancio comune. Quel potere che non si vergogna di evocare l’interesse nazionale, quando è francese, ma proibisce anche solo pensarlo, quando è dei deboli paesi mediterranei (o dell’Irlanda e Portogallo).

E cosa è stato sacrificato a queste finalità politiche? Al minimo per Spaventa si doveva ottenere (ed in tal senso si era impegnato il Governo nel voto preliminare) di avviare l’accordo contestualmente su: sostegni al credito, misure compensative e accordi di cambio. E su margini di flessibilità e gradualità. In sostanza si tratta delle stesse cose (sotto nomi diversi) di cui ancora si discute.

Cosa è stato ottenuto dal Governo Andreotti? “Zero”. Solo una banda di oscillazione un poco più ampia, ma che il paese deviante verso l’alto (come farà) potrà violare impunentemente, mentre verso il basso sarà punita.

Quale è lo sfondo di questo notevole discorso. Siamo nel dicembre 1978. Nel 1975 gli USA avevano abbandonato il Vietnam; nel 1976 Bettino Craxi è eletto al Midas; nel 1977 Lama viene contestato all’Università di Roma e Berlinguer fa il suo famoso discorso sull'austerità; nel 1978 a febbraio i sindacati varano una linea di rigore; il 16 marzo Aldo Moro, mentre si sta recando al primo giorno di dibattito sulla fiducia al Governo Andreotti con l’appoggio esterno del PCI (cd. “Compromesso Storico”) viene rapito; il 9 maggio è trovato ucciso; il 5 dicembre i 12 paesi della comunità Europea, salvo la Gran Bretagna, decidono di approvare il Sistema Monetario Europeo; il 12 dicembre Andreotti comunica alla Camera che l’Italia aderirà subito. Tutti i sacrifici non hanno visto contropartite.
Il PCI voterà contro e di lì a poco passerà all’opposizione (gennaio 1979), nel 1980 avviene il famoso "divorzio" tra il Tesoro e la Banca d'Italia e la "lite delle comari".

Perché tutto questo succede?

Credo Spaventa risponda ad abundantiam, e che la sua conclusione sia senz’altro valida, per l’allora e per l’oggi (lui stesso lo dimenticherà, ma questa è –forse- un’altra storia, come accade anche a Scalfari, e peraltro a Napolitano):
“Obiettare a questo argomento è pericoloso perché si rischia di essere marchiati di antieuropeismo, si rischia di essere marchiati come nazionalisti, come retrogradi…
Ma obiettare si deve”



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