Subito dopo il
crac della Lehman si dice che la
Regina d’Inghilterra, ad un Congresso di economia della London School of Economics, abbia
chiesto candidamente: <come mai non vi eravate accorti di niente?>. Il
glaciale ed imbarazzato silenzio è stato uno dei momenti più bassi (o alti,
secondo i punti di vista) della disciplina. Alcuni traggono la conclusione che
l’economia non fa previsioni e che quando le fa, le sbaglia.
Beniamino Andreatta e Luigi Spaventa |
Non è vero!
Il 12 dicembre
1978, Luigi Spaventa, indimenticato (è morto nel 2012) economista italiano più
volte eletto tra gli “indipendenti di sinistra” nel Parlamento Italiano,
pronuncia uno straordinario discorso
in occasione del più importante dibattito degli ultimi quaranta anni: quello
sull’adesione dell’Italia allo SME. Per certi versi questa decisione ha
determinato anche la successiva adesione all’Euro. E quindi ha determinato il
destino del paese entro il quale viviamo.
Torniamo dopo
sugli sfondi e le ragioni di quella scelta cruciale, prima ascoltiamo quel che
dice Spaventa: all’avvio introduce un tema che riprenderà alla fine; il
Presidente del Consiglio, Giulio Andreotti, che è il regista di quella
decisione cruciale, è uomo che “non tiene in gran conto le questioni tecniche o
i pareri tecnici, egli riduce ogni questione tecnica solo a questione politica
e, compiuta questa operazione egli –forse non a torto – pensa solo a chi conta,
poco curandosi di valutare benefici e costi che derivano da una decisione”. Per Andreotti, insomma, la questione è di
potere, non di meccanismo.
Dopo questo
essenziale disvelamento (vedremo al fine quale è il potere in questione, e di chi), Spaventa schematicamente
riassume, a futura memoria (“quasi per memoria”), cioè per noi che gli siamo
sopravvissuti (per ora), le ragioni che hanno indotto una “larga maggioranza”
di studiosi ad esprimere valutazioni negative sul costituendo sistema
monetario. Le prime sono internazionali, giova ricordarle perché
sostanzialmente, dopo quasi quaranta anni, noi ci siamo ancora dentro: esisteva
all’epoca un “disavanzo strutturale delle partite correnti del complesso dei
paesi occidentali” (causato dal costo delle materie prime), tale da non poter
essere ridotto solo con operazioni di cambio, ma da richiedere “movimenti di
reddito e recessione”. Una simile situazione o si gestisce in modo cooperativo
e tramite un’armonizzazione della crescita e del gioco avanzi/disavanzi dei
singoli paesi, oppure si determina la situazione per la quale (secondo una
fulminante immagine, assolutamente attuale): “il disavanzo complessivo, quasi
che fosse un carico che si muove non stivato bene in una nave su un mare in
tempesta, tende a concentrarsi in quei paesi la cui crescita diviene più rapida
di quella degli altri o in quelli in cui i costi ed i prezzi aumentano più
rapidamente degli altri”. E’ esattamente quel che è successo negli anni zero.
In queste
condizioni, se si determina una differenza tra paesi che vogliono crescere più velocemente e
paesi che vogliono restare in avanzo, al momento in cui si verificherà
fatalmente la riduzione delle riserve e la difficoltà di rinvenire prestiti scatterà
l’obbligo, per Spaventa, per i paesi in disavanzo ad attuare “politiche interne
restrittive”, mentre “non c’è alcuna sanzione che obbliga i paesi che
accumulano riserve ad adottare politiche interne più espansive”. Ciò si è
puntualmente e più volte verificato con paesi come la Germania in avanzo
costante, riserve non mobilitabili per la cattura delle Banche Centrali
Nazionali nel sistema BCE e l’impossibilità di avere un prestatore di ultima
istanza per tenere sotto controllo i prestatori privati.
Insomma, nel
1978, il problema posto dal Tesoro
Americano nel 2012 era già posto con chiarezza assoluta.
Senza questi
contrappesi (che ancora dolorosamente mancano), per l’economista italiano “quest’area monetaria rischia oggi di
configurarsi come un’area di bassa pressione e di deflazione, nella quale la
stabilità del cambio viene perseguita a spese dello sviluppo dell’occupazione e
del reddito”. A costringere a questo esito, che si è puntualmente
verificato, è l’obiettivo di fondo della politica economica tedesca: “evitare
il danno che potrebbe derivare alle esportazioni da ripetute rivalutazioni del
solo marco, ma non accettare di promuovere uno sviluppo più rapido della
domanda interna”. In assenza di regole che determinino simmetrie ed obblighi
(come a più riprese richiesto dall’OCSE, e successivamente negli anni novanta
anche dal FMI) deriverebbe un sacrificio solo
per i paesi più deboli.
Dunque si
comincia a vedere di chi è il potere.
Ma non
affrettiamo la lettura. Spaventa ricorda che anche dal punto di vista interno,
le debolezze strutturali relative dell’economia italiana implicherebbero la
necessità, per convergere come necessario in un quadro di unione monetaria, di
avere a lungo un tasso di crescita ed
investimenti superiore. Dunque un tasso di sviluppo delle esportazioni più
elevato, in modo da avere le risorse per garantire la crescita (in alternativa
avere “stabili entrate in conto capitale”). Altro fattore di squilibrio è la tendenza
dell’economia italiana ad avere un tasso d’inflazione superiore a quello
tendenziale del nord (e della Germania in particolare). Anche qui, se non è
corretto (come non succederà) il differenziale porterà a maggiore divergenza e
non convergenza.
La cosa più
divertente, del testo di Spaventa è che chiama a testimone di queste
valutazioni il prof. Mario Monti
(si), che per il Sole 24 Ore, nel 1978, valutava fragile e rischiosa la
situazione e consigliava un rinvio. L’argomento si concentrava sugli effetti di
cambio, in questo contesto Spaventa enuncia quella che, col senno di poi,
potrebbe essere preso come termine centrale della riflessione e atto di accusa
principe contro l’intera logica della costruzione monetaria europea: “il cambio è la più endogena della variabili:
non può essere trasformata o in obiettivo fine a sé stesso o in strumento da
manovrare per il conseguimento di altre finalità”.
Quali sono
queste “altre finalità”? Finalità
politiche. Quali? Spaventa non ha dubbi, si tratta di uno strumento. “Il sistema monetario è uno strumento che
offre la costrizione, perché rende più duro e rigido il vincolo esterno”.
Una costrizione necessaria, “si ragiona”, perché l’Italia segua i comportamenti
“necessaria al suo risanamento”. Si tratta di un “grimaldello”, per “mutare i
presenti equilibri politici di partito e di maggioranza”; una “prova di forza”
per aggirare il necessario consenso ai sacrifici, per “imporlo invece di
suscitarlo”, per massimizzare i costi sociali ed economici dello sforzo, ma a
danno solo di alcuni.
Non si tratta di
altro. Non di uno sforzo (come pure si cercherà di giustificare) per far fare
un salto all’idea Europea, al sogno
di Spinelli; malgrado il “terrorismo ideologico europeistico” che si
rischia, in quegli anni come in questi, a parlare contro, ad obiettare. I
difetti di questo percorso di unificazione sono, nel 1978 come nel 2014, i
“difetti di una creatura nata politicamente male e politicamente malformata”,
essi derivano “dagli egoismi nazionali degli altri paesi più forti”. Egoismi
che, allora come adesso, caricano i pesi solo sui più deboli.
Dunque è in questione, specificatemente, il
potere. Quel potere che oscura le voci scomode (come il Rapporto
Mc Dougall) che disegnava una politica europea reale, che partisse da un
solido bilancio comune. Quel potere che non si vergogna di evocare l’interesse
nazionale, quando è francese, ma proibisce anche solo pensarlo, quando è dei
deboli paesi mediterranei (o dell’Irlanda e Portogallo).
E cosa è stato sacrificato a queste finalità
politiche? Al minimo per Spaventa si doveva ottenere (ed in tal senso si
era impegnato il Governo nel voto preliminare) di avviare l’accordo
contestualmente su: sostegni al credito, misure compensative e accordi di
cambio. E su margini di flessibilità e gradualità. In sostanza si tratta delle
stesse cose (sotto nomi diversi) di cui ancora si discute.
Cosa è stato ottenuto dal Governo Andreotti?
“Zero”. Solo una banda di oscillazione un poco più ampia, ma che il paese
deviante verso l’alto (come farà) potrà violare impunentemente, mentre verso il
basso sarà punita.
Quale è lo sfondo di questo notevole discorso. Siamo nel dicembre 1978. Nel 1975 gli USA
avevano abbandonato il Vietnam; nel 1976 Bettino Craxi è eletto al Midas; nel
1977 Lama viene contestato all’Università di Roma e Berlinguer fa il suo famoso discorso sull'austerità; nel 1978 a febbraio i sindacati
varano una linea di rigore; il 16 marzo Aldo Moro, mentre si sta recando al
primo giorno di dibattito sulla fiducia al Governo Andreotti con l’appoggio
esterno del PCI (cd. “Compromesso Storico”) viene rapito; il 9 maggio è trovato
ucciso; il 5 dicembre i 12 paesi della comunità Europea, salvo la Gran Bretagna , decidono di approvare
il Sistema Monetario Europeo; il 12 dicembre Andreotti comunica alla Camera che
l’Italia aderirà subito. Tutti i sacrifici non hanno visto contropartite.
Il PCI voterà
contro e di lì a poco passerà all’opposizione (gennaio 1979), nel 1980 avviene il famoso "divorzio" tra il Tesoro e la Banca d'Italia e la "lite delle comari".
Perché tutto questo succede?
Credo Spaventa
risponda ad abundantiam, e che la sua conclusione sia senz’altro valida, per
l’allora e per l’oggi (lui stesso lo dimenticherà, ma questa è –forse- un’altra
storia, come accade anche a Scalfari, e peraltro a Napolitano):
“Obiettare a
questo argomento è pericoloso perché si rischia di essere marchiati di
antieuropeismo, si rischia di essere marchiati come nazionalisti, come
retrogradi…
Ma obiettare si
deve”
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