“Dove c’è il pericolo cresce anche ciò
che salva”.
Ieri, mercoledì 12
marzo è andato in scena un colpo di teatro annunciato e riuscito. Una piccola
valanga di provvedimenti, alcuni senza precedenti:
- La riduzione annunciata a partire da
maggio dell’IRPEF per i lavoratori dipendenti pubblici e privati, incluso
co-co-co, precari a vario titolo, per 10 miliardi di euro delle tasse, 1.000
euro all’anno, 80 euro al mese per ca. 10.000.000 di persone;
- La riduzione, in pari data, di ca. 2,4
miliardi per l’IRAP (per le imprese);
- L’aumento della tassazione alle rendite
finanziarie (esclusi i Titoli di Stato che sarebbe una partita di giro) dal 20
al 26%;
- L’allungamento per Decreto della durata
massima dei contratti precari da un anno a tre.
Mi fermerei a queste
misure. Quelle fiscali non sono andate in un immediato Decreto perché, come ha
ricordato Padoan al Premier, dal 1 gennaio è entrata in vigore la modifica
della Costituzione prevista ed imposta dal “Fiscal Compact” (proditoriamente e
rapidamente approvata dal precedente Parlamento), per cui ogni misura che
rischia di sforare i parametri, anche in condizioni di emergenza come queste,
deve prima essere approvata dal Parlamento insieme ad un nuovo DEF.
La misura che buca lo
schermo è indubbiamente quella “degli 80 euro”, al contempo (per battere un
colpo sulla botte) c’è allungamento a tre anni dei contratti precari. Così sono
contenti anche nel palazzo di Confindustria.
Quale vale di più?
Cosa aiuta la crescita?
Non
lo so, sinceramente la seconda è una misura che non vedo come potrebbe creare
occupazione per diversi motivi (intanto si occupa se si produce, e si produce
se si vende; poi avere un giovane per tre anni o tre per un anno, per come è organizzato oggi il lavoro, è
più o meno la stessa cosa dal lato dell’impresa, tanto avete visto molta
formazione on the job?), ma può dare un minimo di stabilità ai giovani. Un
minimo, però, perché tre anni non consentono di contrarre un mutuo, di
ammortizzare una macchina, forse solo di comprare una cucina. Dal lato delle
imprese, può spingerle (ci sarebbe da sperarlo) ad investire un poco di più
sulle persone che provvisoriamente lavorano per loro; ma ci credo poco, la cosa
dipende da ben altri fattori che non i contratti.
Per gli appassionati della domanda (che per me continua ad avere senso): è di
destra o di sinistra? Ancora complicatino da dire, direi la prima, ma bisogna
valutare il testo e la cornice generale.
La prima invece, “quella degli 80 euro”, è una misura che fa fatica, da sola, a creare crescita. E questo per diversi motivi: se finanziata principalmente con tagli si ottiene un immediato effetto depressivo (fonte FMI, in queste condizioni macroeconomiche ogni euro di minore crescita provoca due euro ca. di riduzione del PIL), ed un effetto espansivo su un montante sicuramente inferiore (una parte dell’importo andrà ad alleviare posizioni debitorie, e dunque si tradurrà in minori oneri sul debito per un periodo lungo, cioè si spalmerà); inoltre una parte andrà in prodotti e servizi esteri (ad esempio, chi li userà per comprare un’auto nuova per l’80% sarà un’auto straniera e un servizio finanziario italiano); per la parte della “copertura” che si tradurrà in deficit pubblico (se ci sarà) porterà maggiori oneri sul debito, a loro volta da finanziare con futuri tagli, che potrebbero contribuire a far abbassare la fiducia (e dunque alzare gli interessi).
La terza misura
importante, aumento tassazione delle rendite finanziarie, ci riporta in linea
con la media europea ed è una misura opportuna. E’ lo squilibrio tra attrazione
del capitale nel sistema finanziario e nei suoi impieghi diretti che fa parte
del “rashomon” di questa crisi multiforme. Tuttavia l’azione è da comprendere
nei particolari (anche le rendite da investimenti azionari, sono “finanziarie”,
ma sono investimenti industriali).
Però mi pare, per non
essere disfattista, che ci sia uno strato immediatamente sotto più
interessante: la misura “degli 80 euro” rompe il muro dell’ortodossia di
Maastricht, e lo fa senza aspettare il permesso. Rappresenta, nella forma (che
conta molto), la rottura dell’incantesimo.
Intendiamoci, è in
parte vero che bisogna rispettare procedure che prevedono coinvolgimenti del
livello sovranazionale; ma “chi non chiede non ottiene”, e ci chiede
timidamente ottiene timidamente.
Dunque potrebbe essere
un segno che la politica (cioè la democrazia), finalmente, vuole tornare ad
avere una voce propria, rispetto all’economia.
Una rondine non fa
primavera, dunque tocca aspettare, ma per me questo è positivo.
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