Pagine

martedì 1 aprile 2014

Quando rullano i tamburi della rivoluzione: Danton, 5 aprile 1794.


George Jacques Danton era un uomo certamente brutto. Aveva trentacinque anni quando morì per mano dei suoi compagni il 5 aprile del 1794. La rivoluzione francese era scoppiata nel 1789, solo cinque anni prima e finirà con il colpo di stato di Napoleone nel 1799. Ma, in effetti, la fase più radicale terminerà già con il colpo di mano termidoriano del luglio 1794 e la morte di Robespierre che gli era coetaneo.

Prima di morire, Danton, si difese con impeto e tra le innumerevoli parole pronunciò queste: “Non ci sarebbe stata alcuna Rivoluzione senza di me, non ci sarebbe la Repubblica senza di me… so che siamo condannati a morte, conosco questo tribunale, sono stato io a crearlo e chiedo perdono a Dio ed agli uomini… non era nelle intenzioni che divenisse un flagello per il genere umano, bensì un appello, un'ultima disperata risorsa per uomini disperati e gonfi di rabbia… non sarà necessario trascinarmi a forza sul patibolo… se io ora difendo me stesso è per difendere quello cui aspiravamo e, più ancora, che abbiamo conseguito e non per salvare la mia vita. Noi abbiamo spezzato la tirannia del privilegio, abbiamo posto fine ad antiche ingiustizie, cancellato titoli e poteri ai quali nessun uomo aveva diritto, nella Chiesa, nell’Esercito e in ogni singolo distretto tributario di questo nostro grande corpo politico: lo stato di Francia, ed abbiamo dichiarato che su questa terra il più umile tra gli uomini è uguale al più illustre, la libertà che abbiamo conquistata l’abbiamo data a chi era schiavo affinché alimentasse le speranze che abbiamo generato. Questa è più di una grande vittoria in battaglia, più di tutte le spade, dei cannoni e di tutti i reggimenti di cavalleria d’Europa, è un’ispirazione per un sogno comune a tutti gli uomini di qualsiasi paese…una fame di libertà che non potrà più essere ignorata… le nostre vite non sono state sprecate al suo servizio”.

Ma che succede in Francia, tra il 1788 ed il 1794, nell’arco di soli sei anni? Improvvisamente tutto muta, ogni equilibrio scompare e l’impensabile si verifica. Un regime antiquato, immensamente ingiusto, antico, immutabile, improvvisamente si accartoccia e nulla resta come era. Nell’antico regime l’1% della popolazione, i nobili, controlla un terzo delle terre del regno, il clero il 10% ed il sovrano un’altra parte importante. Il popolo, il piccolo proprietario contadino ne possiede l’ultima metà. Ma non riesce a sfruttarla, perché i nobili esercitano <diritti> in denaro e natura innumerevoli ed antichi. Consuetudini che sono difese con ostinazione, costantemente richiamate, oggetto di continui conflitti, elusioni, sviamenti.
Fino a che resta tale questa gerarchia è scritta nel libro di Dio, nessuno la discute.

All’improvviso, dicevamo, la sfera di cristallo di questo ordine perfetto viene giù in mille pezzi che nessuno riuscirà più a ricomporre. La cosa succede in pochissimi mesi, in effetti dalla convocazione degli Stati Generali alle “giornate” rivoluzionarie che si susseguono, irresistibili, in pochi mesi. Durante una rivoluzione, si può dire, il tempo accelera. Improvvisamente gli anni diventano giorni.
Le radici della rivoluzione sono ampie e complesse, la crescita economica del secolo aveva sbilanciato una economia che non distribuiva più le risorse in modo sensato e non soddisfaceva nessuno. Lo scontro tra il sovrano ed i nobili, che aveva attraversato tutta la storia della Francia, era in pieno sviluppo, ma parte consistente della nobiltà (che sarà attivissima nella prima parte della rivoluzione) avanza idee liberali. In chiave anti assolutista. Si prepara in tutto il secolo il crogiolo di idee che faranno l’illuminismo trionfante del secolo successivo.
Questo è uno dei nodi tragici: i nobili “illuminati” che promuovono la riforma (pensandola come un riaggiustamento verso il re, quando sarà una rivoluzione contro di loro) e ne sono uno dei catalizzatori indispensabili, vorrebbero solo ripristinare la tradizione e contare nel conflitto distributivo che si presenta.

L’innesco di tutto è la crisi finanziaria, resa inestricabile dalla base imponibile troppo ristretta (dato che né nobili, né di fatto la chiesa pagano le tasse) e dalle spese crescenti per la guerra. Ma la carica esplosiva si accumula lentamente nei dieci anni precedenti: una continua flessione dei prezzi del grano e del vino originata da una crisi di sovrapproduzione (cioè da insufficienza di acquirenti e deflazione). Il sistema dei <diritti feudali> diventa particolarmente insopportabile in questo contesto e diventerà (tramite i Cahiers) uno dei motori della rivoluzione.
I conflitti diffusi provocano una serie di reazioni a catena, e l’Editto del 1781, che solleverà lo sconcerto e l’ostilità della borghesia urbana (il ceto degli avvocati, dei giornalisti, dei magistrati che sarà tanto importante nella rivoluzione) che riserva alla nobilità tutti i posti nei ranghi degli ufficiali.

A questo punto abbiamo: un sovrano che ha urgente bisogno di soldi nel mezzo di una crisi di domanda e deflazione, una nobiltà sulla difensiva verso il mondo agricolo e all’attacco verso il re, i contadini pressati da un fisco opprimente che se la può prendere solo con loro, i borghesi urbani arrabbiati perché estromessi da tutto.
Il re, in particolare, ha poche scelte: o alza la pressione fiscale sui contadini o sui nobili. I primi sono troppo pressati, i secondi assolutamente indisponibili.
La mossa che compirà sarà tragica: per ristrutturare la pressione fiscale convoca gli <Stati Generali>, assemblea dei tre ordini del regno che non si riuniva dal 1614. Siamo nel 1788, solo un anno dopo tutto sarà in movimento.

La sfortuna è che nel 1787 piogge ed inondazioni danneggiano i raccolti, poi viene la siccità e a luglio 1788 la grandine. Il raccolto è tragico. Nell’economia dell’epoca, senza riserve, questo significa che qualcuno dovrà morire.
Mentre qualcuno muore la corte spende il 6% delle entrate del regno in feste e gioielli (sarà decisivo per il discredito uno scandalo che coinvolge la regina nell’acquisto di un favoloso gioiello), e da cariche affidate sempre agli stessi, senza rotazione e decoro. Con i termini odierni si potrebbe usare il termine di “casta”.

Il meccanismo rivoluzionario è dunque abbastanza complesso, ma velocissimo: a luglio 1788 le assemblee dei vecchi “Parlamenti” convocate esprimono la volontà di andare verso la <nazione>, ripensando il vecchio regime degli ordini in chiave censuaria, del “merito”. Ad ottobre i privilegiati reagiscono, richiamando le modalità del 1614 (voto per ordine e non “per testa”). Emerge una contraddizione, fino a che si è rimasti nel mondo delle teorie e dei salotti, i nobili “illuminati” ragionavano di tempi nuovi e di talento, ma quando si viene alle strette, non sono disposti a lasciare i privilegi (incluse le esenzioni). La società dell’eguaglianza e della promozione vagheggiata è troppo. Il pregiudizio nobiliare riemerge. La crisi economica farà il resto, sommosse e petizioni da tutta la Francia. Da giugno ad agosto i Parlamenti delle città periferiche di Francia si ribellano uno ad uno, con esse anche il popolo: Grenoble, Pau, Digione Tolosa, in Bretagna. A Grenoble, in particolare, il Terzo Stato guida le danze e scopre le sue carte, vuole un nuovo ordine.
Il re cede a dicembre, e consente il raddoppio della rappresentanza del Terzo Stato. Ma la situazione è disastrosa, lo Stato ha sospeso i pagamenti per assoluta insolvenza (ricorrerà anche ad un prestito illegale), l’industria tessile precipita e riempie le città di disoccupati, il prezzo del pane raddoppia per il cattivo raccolto. Giunge a compimento un movimento di crisi che matura da trenta anni.

Gli uomini di questa fase saranno Brissot e Barnave, ma anche il canonico Seyes e il nobile Mirabeau, e La Fayette, Talleyrand, Condorcet.
La parola d’ordine è <partito nazionale>, ma in effetti è una fioritura di “club” che preparano rapidamente il movimento dell’estate 1789. L’assemblea degli Stati Generali si apre a maggio 1789, il 9 giugno viene invasa dal pubblico, il 17 giugno si proclama in <Assemblea Nazionale>, compiendo il grande atto rivoluzionario. E’ stato creato un nuovo potere indipendente dal re.
A luglio nascerà la Guarda Nazionale, il 14 viene presa la Bastiglia.

Possiamo fermarci qui, la frana è venuta giù in pochi mesi, distruggendo un potere che era in effetti screditato da decenni, ma sembrava intoccabile da secoli. L’intero edificio sociale viene rivoltato, le elité perdono quasi di colpo tutto il loro patrimonio e la loro “dolce vita” (se non proprio la vita).
Tutto questo è successo, nessuno dei contemporanei solo un anno prima, nel 1787, lo avrebbe creduto possibile. La maggior parte neppure nel 1788.


Nessun commento:

Posta un commento