George Jacques
Danton era un uomo certamente brutto. Aveva trentacinque anni quando morì per
mano dei suoi compagni il 5 aprile del 1794. La rivoluzione francese era
scoppiata nel 1789, solo cinque anni prima e finirà con il colpo di stato di
Napoleone nel 1799. Ma, in effetti, la fase più radicale terminerà già con il
colpo di mano termidoriano del luglio 1794 e la morte di Robespierre che gli
era coetaneo.
Prima di morire,
Danton, si difese con impeto e tra le innumerevoli parole pronunciò queste: “Non ci sarebbe stata alcuna Rivoluzione
senza di me, non ci sarebbe la
Repubblica senza di me… so che siamo condannati a morte,
conosco questo tribunale, sono stato io a crearlo e chiedo perdono a Dio ed
agli uomini… non era nelle intenzioni che divenisse un flagello per il genere
umano, bensì un appello, un'ultima disperata risorsa per uomini disperati e
gonfi di rabbia… non sarà necessario trascinarmi a forza sul patibolo… se io
ora difendo me stesso è per difendere quello cui aspiravamo e, più ancora, che
abbiamo conseguito e non per salvare la mia vita. Noi abbiamo spezzato la
tirannia del privilegio, abbiamo posto fine ad antiche ingiustizie, cancellato
titoli e poteri ai quali nessun uomo aveva diritto, nella Chiesa, nell’Esercito
e in ogni singolo distretto tributario di questo nostro grande corpo politico:
lo stato di Francia, ed abbiamo dichiarato che su questa terra il più umile tra
gli uomini è uguale al più illustre, la libertà che abbiamo conquistata
l’abbiamo data a chi era schiavo affinché alimentasse le speranze che abbiamo
generato. Questa è più di una grande vittoria in battaglia, più di tutte le
spade, dei cannoni e di tutti i reggimenti di cavalleria d’Europa, è
un’ispirazione per un sogno comune a tutti gli uomini di qualsiasi paese…una fame
di libertà che non potrà più essere ignorata… le nostre vite non sono state
sprecate al suo servizio”.
Ma che succede
in Francia, tra il 1788 ed il 1794, nell’arco di soli sei anni? Improvvisamente
tutto muta, ogni equilibrio scompare e l’impensabile si verifica. Un regime
antiquato, immensamente ingiusto, antico, immutabile, improvvisamente si
accartoccia e nulla resta come era. Nell’antico regime l’1% della popolazione,
i nobili, controlla un terzo delle terre del regno, il clero il 10% ed il
sovrano un’altra parte importante. Il popolo, il piccolo proprietario contadino
ne possiede l’ultima metà. Ma non riesce a sfruttarla, perché i nobili
esercitano <diritti> in denaro e natura innumerevoli ed antichi.
Consuetudini che sono difese con ostinazione, costantemente richiamate, oggetto
di continui conflitti, elusioni, sviamenti.
Fino a che resta
tale questa gerarchia è scritta nel libro di Dio, nessuno la discute.
All’improvviso,
dicevamo, la sfera di cristallo di questo ordine perfetto viene giù in mille pezzi
che nessuno riuscirà più a ricomporre. La cosa succede in pochissimi mesi, in
effetti dalla convocazione degli Stati Generali alle “giornate” rivoluzionarie
che si susseguono, irresistibili, in pochi mesi. Durante una rivoluzione, si
può dire, il tempo accelera. Improvvisamente gli anni diventano giorni.
Le radici della
rivoluzione sono ampie e complesse, la crescita economica del secolo aveva
sbilanciato una economia che non distribuiva più le risorse in modo sensato e
non soddisfaceva nessuno. Lo scontro tra il sovrano ed i nobili, che aveva
attraversato tutta la storia della Francia, era in pieno sviluppo, ma parte
consistente della nobiltà (che sarà attivissima nella prima parte della
rivoluzione) avanza idee liberali. In chiave anti assolutista. Si prepara in
tutto il secolo il crogiolo di idee che faranno l’illuminismo trionfante del
secolo successivo.
Questo è uno dei
nodi tragici: i nobili “illuminati” che promuovono la riforma (pensandola come
un riaggiustamento verso il re, quando sarà una rivoluzione contro di loro) e
ne sono uno dei catalizzatori indispensabili, vorrebbero solo ripristinare la
tradizione e contare nel conflitto distributivo che si presenta.
L’innesco di
tutto è la crisi finanziaria, resa inestricabile dalla base imponibile troppo
ristretta (dato che né nobili, né di fatto la chiesa pagano le tasse) e dalle
spese crescenti per la guerra. Ma la carica esplosiva si accumula lentamente
nei dieci anni precedenti: una continua flessione dei prezzi del grano e del
vino originata da una crisi di sovrapproduzione (cioè da insufficienza di
acquirenti e deflazione). Il sistema dei <diritti feudali> diventa
particolarmente insopportabile in questo contesto e diventerà (tramite i
Cahiers) uno dei motori della rivoluzione.
I conflitti diffusi
provocano una serie di reazioni a catena, e l’Editto del 1781, che solleverà lo
sconcerto e l’ostilità della borghesia urbana (il ceto degli avvocati, dei giornalisti,
dei magistrati che sarà tanto importante nella rivoluzione) che riserva alla
nobilità tutti i posti nei ranghi degli ufficiali.
A questo punto
abbiamo: un sovrano che ha urgente bisogno di soldi nel mezzo di una crisi di
domanda e deflazione, una nobiltà sulla difensiva verso il mondo agricolo e
all’attacco verso il re, i contadini pressati da un fisco opprimente che se la
può prendere solo con loro, i borghesi urbani arrabbiati perché estromessi da
tutto.
Il re, in
particolare, ha poche scelte: o alza la pressione fiscale sui contadini o sui
nobili. I primi sono troppo pressati, i secondi assolutamente indisponibili.
La mossa che
compirà sarà tragica: per ristrutturare la pressione fiscale convoca gli
<Stati Generali>, assemblea dei tre ordini del regno che non si riuniva dal
1614. Siamo nel 1788, solo un anno dopo tutto sarà in movimento.
La sfortuna è
che nel 1787 piogge ed inondazioni danneggiano i raccolti, poi viene la siccità
e a luglio 1788 la grandine. Il raccolto è tragico. Nell’economia dell’epoca,
senza riserve, questo significa che qualcuno dovrà morire.
Mentre qualcuno
muore la corte spende il 6% delle entrate del regno in feste e gioielli (sarà
decisivo per il discredito uno scandalo che coinvolge la regina nell’acquisto
di un favoloso gioiello), e da cariche affidate sempre agli stessi, senza
rotazione e decoro. Con i termini odierni si potrebbe usare il termine di
“casta”.
Il meccanismo
rivoluzionario è dunque abbastanza complesso, ma velocissimo: a luglio 1788 le
assemblee dei vecchi “Parlamenti” convocate esprimono la volontà di andare
verso la <nazione>, ripensando il vecchio regime degli ordini in chiave
censuaria, del “merito”. Ad ottobre i privilegiati reagiscono, richiamando le
modalità del 1614 (voto per ordine e non “per testa”). Emerge una
contraddizione, fino a che si è rimasti nel mondo delle teorie e dei salotti, i
nobili “illuminati” ragionavano di tempi nuovi e di talento, ma quando si viene
alle strette, non sono disposti a lasciare i privilegi (incluse le esenzioni). La
società dell’eguaglianza e della promozione vagheggiata è troppo. Il
pregiudizio nobiliare riemerge. La crisi economica farà il resto, sommosse e
petizioni da tutta la Francia. Da
giugno ad agosto i Parlamenti delle città periferiche di Francia si ribellano
uno ad uno, con esse anche il popolo: Grenoble, Pau, Digione Tolosa, in
Bretagna. A Grenoble, in particolare, il Terzo Stato guida le danze e scopre le
sue carte, vuole un nuovo ordine.
Il re cede a
dicembre, e consente il raddoppio della rappresentanza del Terzo Stato. Ma la
situazione è disastrosa, lo Stato ha sospeso i pagamenti per assoluta
insolvenza (ricorrerà anche ad un prestito illegale), l’industria tessile
precipita e riempie le città di disoccupati, il prezzo del pane raddoppia per
il cattivo raccolto. Giunge a compimento un movimento di crisi che matura da
trenta anni.
Gli uomini di
questa fase saranno Brissot e Barnave, ma anche il canonico Seyes e il nobile
Mirabeau, e La Fayette ,
Talleyrand, Condorcet.
La parola d’ordine
è <partito nazionale>, ma in effetti è una fioritura di “club” che
preparano rapidamente il movimento dell’estate 1789. L’assemblea degli Stati
Generali si apre a maggio 1789, il 9 giugno viene invasa dal pubblico, il 17
giugno si proclama in <Assemblea Nazionale>, compiendo il grande atto
rivoluzionario. E’ stato creato un nuovo
potere indipendente dal re.
A luglio nascerà
la Guarda Nazionale ,
il 14 viene presa la
Bastiglia.
Possiamo fermarci qui, la frana è venuta
giù in pochi mesi, distruggendo un potere che era in effetti screditato da
decenni, ma sembrava intoccabile da secoli. L’intero edificio sociale viene rivoltato,
le elité perdono quasi di colpo tutto il loro patrimonio e la loro “dolce vita”
(se non proprio la vita).
Tutto questo è successo,
nessuno dei contemporanei solo un anno prima, nel 1787, lo avrebbe creduto possibile.
La maggior parte neppure nel 1788.
Nessun commento:
Posta un commento