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domenica 2 marzo 2014

Ulrich Beck: Appello per l’Europa



In vista delle elezioni europee è stato lanciato un appello da numerosi intellettuali europei sul sito Vote Europa. Anche se la cosa è molto politica credo sia il caso di rifletterci.  L’avvio è stato proposto da Ulrich Beck (iniziatore), e firmato da: Zygmunt Bauman, Elisabeth Beck-Gernsheim, Daniel Birnbaum, Angelo Bolaffi, Jacques Delors, Chris Dercon, Slavenka Drakulić, Mathias Enard, Olafur Eliasson, Péter Esterházy, Inge Feltrinelli, Iván Fischer, Anthony Giddens, Lars Gustafsson, Jürgen Habermas Ágnes Heller, Harold James, Mary Kaldor, Navid Kermani, Ivan Krastev, Michael Krüger Pascal Lamy, Christine Country Fried, Bruno Latour, Sibylle Lewitscharoff, Antonín Jaroslav Liehm,  Geert Mak, Robert Manasse, Adam Michnik, Christoph Möller, Henrietta L. Moore, Edgar Morin, Adolf Muschg, Cees Nooteboom, Andrei PLESU, Ilma Rakusa, Volker Schlöndorff, Peter Schneider, Gesine Schwan Hanna Schygulla, Tomas Sedlacek, Kostas Simitis, Klaus Staeck, Saša Stanisic, Richard Swartz, Michael M. Thoss, Camille de Toledo, Lilian Thuram Alain Touraine, António Vitorino, Christina Weiss, Michel Wieviorka.


Il punto che Beck ci propone è di cercare la risposta, tramite le prossime elezioni europee di maggio, alla domanda più importante: <che tipo di Europa vogliamo?> Al contrario delle occasioni precedenti, nelle quali non è mai stata posta la questione dell’indirizzo (demandata sostanzialmente alla trattativa di potere tra gli Stati membri e quindi incardinata in Trattati, mai sottoposti a voto)la novità significativa è che viene sottoposta al voto anche la figura chiave del Presidente del Commissione Europea. Ciò che è in questione diventa quindi, in modo più chiaro, la linea politica del prossimo decisivo quinquennio.

Per Beck si tratta di una posizione in linea con la sua forte posizione in favore dell’apertura cosmopolita, per il quale è esemplare il suo “Potere e contropotere nell’età globale” (che un giorno leggeremo insieme), come via di uscita possibile dalla seconda modernità dominata dal mercato verso un “ordine alternativo al centro del quale si collocano la libertà politica e la giustizia sociale ed economica (e non le leggi del mercato). La globalizzazione è fatta dai potenti contro i poveri. Non viene promossa un’interazione delle diverse società che coinvolge le diverse culture, ma l’imposizione di una di esse a tutte le altre” (Beck, cit. p.XV) Obiettivo è “ripensare l’interdipendenza e la reciprocità”.

L’appello è il seguente: “Questo maggio, i cittadini saranno chiamati a votare sul futuro dell'Europa, per la prima volta: Che tipo di Europa vogliamo? Dal momento che il Trattato di Lisbona è entrato in vigore, e per tutto il periodo della crisi, i cittadini non hanno mai avuto l'opportunità di essere coinvolti in un processo democratico decisionale sul futuro dell'UE. Cosa c'è di nuovo: questa volta, diversi candidati, in competizione per la carica di Presidente della Commissione europea, stanno portando diversi modelli per l'Europa con loro per le elezioni. Si tratta di un salto di qualità politico, perché la stessa discussione si svolgerà in tutta Europa in diverse lingue allo stesso tempo e sugli stessi soggetti ... una discussione su persone e dei loro programmi. Vogliamo il ‘meno Europa’, di David Cameron, che è controllato dagli imperativi del mercato, o il ‘diverso tipo di Europa’, che sottopone il mercato a regole democratiche, immaginato in qualità di Presidente del Parlamento Europeo da Martin Schulz?
I partiti anti-europei ed i loro candidati desiderano essere democraticamente eletti, al fine di minare la democrazia in Europa. Chiediamo ai cittadini europei di negare la voce a questo attacco per un suicidio politico.
Tuttavia, vi è un urgente bisogno di prendere lo scetticismo delle persone sul serio. È fondamentale per il Rinascimento d'Europa che i difetti di nascita dell'Unione siano rivelati pubblicamente. Siamo contrari a una politica europea che può mobilitare € 700.000.000.000 per stabilizzare il sistema bancario, ma è disposto a spendere solo 6 miliardi per affrontare il problema della disoccupazione tra i giovani! Molti europei, soprattutto i giovani, hanno la sensazione che un mondo anonimo, parallelo chiamato ‘Bruxelles’, sia venuto alla luce e minacci la loro identità, lingua e cultura. Che ciò che è emerso sia un'Europa elitaria, piuttosto che una Europa dei popoli. Al fine di arrivare ad una Europa dei popoli, le politiche devono affrontare le questioni che sono importanti per le persone.
Europa è in piedi a un bivio. Se riusciamo a superare il‘dispotismo benigno’ (Jacques Delors) in Europa e stabilire una posizione di forza e orientata al futuro allora la voce al vecchio continente nel mondo globalizzato dipenderà in gran parte dall'esperienza e dalle capacità diplomatiche del Presidente che viene eletto alla Commissione.”

L’appello, insomma, chiede di aprire ancora credito alla speranza di un possibile cambiamento. Di esprimere la voce di chi non approva le politiche interamente orientate al mercato (cioè al mercantilismo ed alla finanziarizzazione che ne sono, da sempre, necessario corollario) che hanno prevalso negli ultimi trenta anni. Politiche che lasciano senza armi verso gli squilibri giganteschi generati dalla sempre maggiore interdipendenza mondiale e favoriscono contemporaneamente l’accumulo di ricchezza e potere in poche mani. Il rifiuto di sottoporre il processo europeo di unificazione ed allargamento alla pubblica discussione democratica, o ai meccanismi di voto, è espressione di questa scelta di campo. Di questa idea che i mercati, ed i loro sacerdoti e templi (gli organismi internazionali tecnocratici -come FMI e BM, o OCSE-, ed il sistema bancario) siano depositari dell’unica possibile decisione. Di una razionalità senza alternative.
La speranza che gli estensori dell’appello avanzano è che si possa, invece, aprire la discussione su quale modello vogliamo perseguire. 

L’intervento di Beck parte dalla pericolosità della crisi dell’Euro per ricordare che “l'Europa è più di una moneta, più di un Trattato Fiscale. L'Europa è la speranza per la libertà, la democrazia e l'apertura al mondo”.
Bauman, vede l’Unione Europea come un potenziale scudo verso i “peggiori eccessi dei poteri globali sfrenati e senza scrupolo”, ma in pratica agisce spesso come una “sorta di quinta colonna degli stessi poteri globali un'avanguardia delle forze che cospirano per erodere e, infine, di rendere nullo sia la nazione sia le possibilità dello stato di sovranità”. Contemporaneamente sono attive entrambe le facce, i due “giochi” s’intrecciano necessariamente. L’Europa è, quindi, una sorta di “laboratorio” di ciò che il pianeta potrebbe diventare. L’arena di uno scontro decisivo.
Jurgen Habermas porta l’attenzione verso il Governo Federale Tedesco che porta, a suo parere, la responsabilità politica per la crisi con i suoi “osceni” risultati in termini di disuguaglianza tra nazioni ed entro. L’obiettivo dovrebbe allora essere superare la ricerca di una “Europa Tedesca” per andare verso una Unione Politica “degna di questo nome”, nella quale una leadership egoistica diventi “superflua”.
Agnes Heller ricorda che senza un “vivace spirito democratico” la democrazia come la conosciamo (“di massa”) diventerà una “foglia morta” e potrebbe crollare sotto il nazionalismo, il razzismo, il fondamentalismo, il radicalismo di destra e di sinistra, la violenza. Termina con un avviso volutamente enfatico: “attenzione Europa, i vecchi fantasmi possono riemergere!”
Pascal Lamy, come altri, pone l’attenzione sulla civilizzazione della globalizzazione che è la speranza dell’Europa. Nella stessa direzione Bruno Latour enfatizza l’importanza di negoziare il futuro modo di abitare una terra comune, tramite l’esperimento europeo.
Robert Menasse ricorda la transizione in uscita dal XX secolo, e la necessità di dare forma politica e democratica alle catene di fornitura transnazionali che rendono sempre più intrecciata l’economia (anche finanziaria) europea di fatto. Per lui, quindi, “ciò che deve ora essere sviluppato con urgenza è un nuovo sistema democratico coerente con queste condizioni ed in grado di plasmarle ed influenzarle”. Occorre una democrazia europea post-nazionale che parta dal rafforzamento del Parlamento Europeo.
Alain Touraine, mette in evidenza il fallimento dell’Euro e la necessità di non vedere l’Europa come un “obiettivo istituzionale in sé”, ma come “espressione concreta della nostra convinzione a rispettare la diversità culturale e storica più attivamente in difesa dei valori universali”.

Degli interventi il più interessante mi sembra quello di Zigmund Bauman, che evidenzia un punto meritevole di attenzione: l’Unione Europea, come progetto plurigenerazione (sono ormai almeno tre) e multinazionale è contemporaneamente uno scudo ed uno specchio. Il suo vero oggetto è attualmente l’internazionalizzazione degli scambi e la competizione tra le aree ed i popoli. Si tratta di un incastro di giochi di potere su numerosi piani interni ed esterni: tra gli Stati (o, meglio) tra blocchi di Stati più omogenei ed intrecciati, il Nord di lingua tedesca ed affini, il sud mediterraneo, la Francia più o meno isolata nella sua grandeur; tra i circuiti finanziari e relative istituzioni sovranazionali e gli interessi industriali nazionali, che iniziano a collidere in modo sempre più evidente; tra i sottoblocchi europei e partner/competitori esterni, la Cina da una parte (con i suoi rapporti con la Germania) e gli USA dall’altra, la vicina Russia (oggetto di questa pericolosissima crisi attuale).
L’Europa, nel suo tragico deficit di democrazia e di dinamica politica veramente europea, è ormai a metà strada tra un comitato commerciale, un consorzio (magari tre), con una decisiva appendice finanziaria, e un attore internazionale dotato di pochissimo “hard power”, ma molto “soft power”. Troppo e troppo poco. Solo un attore internazionale forte e coeso potrebbe sostenere i legittimi interessi e la visione del futuro, oltre che dell’organizzazione sociale giusta ed efficiente, proprio dell’Europa. Mi riferisco al modello sociale capace di unire salvaguardia della libertà e dignità di tutti; distribuzione della ricchezza insieme alla sua creazione. Una creativa soluzione tra l’efficiente (per i ricchi) ma ingiusto schema anglosassone, tutto regole e finanza, e l’opprimente modello orientale. Ma per andare oltre bisogna guadagnare una propria forma ed identità politica.

In questo senso sono d’accordo con Beck e gli altri firmatari: il conflitto delle idee e il confronto delle strategie è l’unico modo per produrre una nuova sintesi che non guardi ai modelli del passato (pur conoscendoli e rispettandoli), né agli anni settanta né a quelli novanta, ma che crei il modello degli anni venti del XXI secolo. Quello nel quale vivranno i nostri figli e nipoti.

Tra chi pensa, legittimamente, che questo può essere trovato solo entro le mura dello Stato nazione ricostituite, alla scala di 50 o 60 milioni di persone, in un mondo in cui si confrontano agglomerati di miliardi (e nel quale, come si vede proprio ora la forza conta ancora), e chi pensa che non ci sono modelli nuovi da cercare, perché va benissimo quello degli anni novanta (mondializzazione, mercato completamente libero, concorrenza totale, sicurezza degli investimenti e risparmi, poi vinca il migliore o il più forte), credo ci sia lo spazio per tentare un’altra idea. Vale la pena almeno di discuterne. In fondo è questo l’oggetto dell’appello.


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