In vista delle
elezioni europee è stato lanciato un appello da numerosi intellettuali europei
sul sito Vote Europa. Anche se la cosa è
molto politica credo sia il caso di rifletterci. L’avvio è stato proposto da Ulrich Beck (iniziatore), e firmato da: Zygmunt Bauman, Elisabeth Beck-Gernsheim, Daniel Birnbaum, Angelo Bolaffi, Jacques Delors, Chris Dercon, Slavenka Drakulić, Mathias Enard,
Olafur Eliasson, Péter Esterházy, Inge Feltrinelli, Iván Fischer, Anthony Giddens, Lars Gustafsson, Jürgen Habermas, Ágnes Heller, Harold James, Mary Kaldor, Navid Kermani, Ivan Krastev, Michael Krüger, Pascal Lamy, Christine Country Fried, Bruno Latour,
Sibylle Lewitscharoff, Antonín Jaroslav Liehm, Geert Mak, Robert Manasse,
Adam Michnik, Christoph Möller, Henrietta L. Moore, Edgar Morin, Adolf
Muschg, Cees Nooteboom, Andrei PLESU, Ilma Rakusa, Volker Schlöndorff,
Peter Schneider, Gesine Schwan, Hanna Schygulla, Tomas Sedlacek, Kostas Simitis, Klaus Staeck, Saša
Stanisic, Richard Swartz, Michael M. Thoss, Camille de Toledo, Lilian Thuram, Alain Touraine,
António Vitorino, Christina Weiss, Michel Wieviorka.
Il punto che
Beck ci propone è di cercare la risposta, tramite le prossime elezioni europee
di maggio, alla domanda più importante: <che
tipo di Europa vogliamo?> Al contrario delle occasioni precedenti, nelle
quali non è mai stata posta la questione dell’indirizzo (demandata
sostanzialmente alla trattativa di potere tra gli Stati membri e quindi incardinata
in Trattati, mai sottoposti a voto)la novità significativa è che viene
sottoposta al voto anche la figura chiave del Presidente del Commissione
Europea. Ciò che è in questione diventa quindi, in modo più chiaro, la linea
politica del prossimo decisivo quinquennio.
Per Beck si
tratta di una posizione in linea con la sua forte posizione in favore dell’apertura
cosmopolita, per il quale è esemplare il suo “Potere e contropotere nell’età globale” (che un giorno leggeremo
insieme), come via di uscita possibile dalla seconda modernità dominata dal
mercato verso un “ordine alternativo al centro del quale si collocano la
libertà politica e la giustizia sociale ed economica (e non le leggi del
mercato). La globalizzazione è fatta dai potenti contro i poveri. Non viene
promossa un’interazione delle diverse società che coinvolge le diverse culture,
ma l’imposizione di una di esse a tutte le altre” (Beck, cit. p.XV) Obiettivo è
“ripensare l’interdipendenza e la reciprocità”.
L’appello è il seguente: “Questo maggio, i cittadini saranno chiamati
a votare sul futuro dell'Europa, per la prima volta: Che tipo di Europa
vogliamo? Dal momento che il Trattato di Lisbona è entrato in vigore, e
per tutto il periodo della crisi, i cittadini non hanno mai avuto l'opportunità
di essere coinvolti in un processo democratico decisionale sul futuro
dell'UE. Cosa c'è di nuovo: questa volta, diversi candidati, in
competizione per la carica di Presidente della Commissione europea, stanno
portando diversi modelli per l'Europa con loro per le elezioni. Si tratta
di un salto di qualità politico, perché la stessa discussione si svolgerà in
tutta Europa in diverse lingue allo stesso tempo e sugli stessi soggetti ...
una discussione su persone e dei loro programmi. Vogliamo il ‘meno Europa’, di
David Cameron, che è controllato dagli imperativi del mercato, o il ‘diverso
tipo di Europa’, che sottopone il mercato a regole democratiche, immaginato in
qualità di Presidente del Parlamento Europeo da Martin Schulz?
I partiti anti-europei ed i loro candidati desiderano essere
democraticamente eletti, al fine di minare la democrazia in
Europa. Chiediamo ai cittadini europei di negare la voce a questo attacco per
un suicidio politico.
Tuttavia, vi è un urgente bisogno di prendere lo scetticismo delle
persone sul serio. È fondamentale per il Rinascimento d'Europa che i difetti
di nascita dell'Unione siano rivelati pubblicamente. Siamo contrari a una
politica europea che può mobilitare € 700.000.000.000 per stabilizzare il
sistema bancario, ma è disposto a spendere solo 6 miliardi per affrontare il
problema della disoccupazione tra i giovani! Molti europei, soprattutto i
giovani, hanno la sensazione che un mondo anonimo, parallelo chiamato ‘Bruxelles’,
sia venuto alla luce e minacci la loro identità, lingua e cultura. Che ciò che
è emerso sia un'Europa elitaria, piuttosto che una Europa dei popoli. Al
fine di arrivare ad una Europa dei popoli, le politiche devono affrontare le
questioni che sono importanti per le persone.
Europa è in piedi a un bivio. Se riusciamo a superare il‘dispotismo
benigno’ (Jacques Delors) in Europa e stabilire una posizione di forza e
orientata al futuro allora la voce al vecchio continente nel mondo globalizzato
dipenderà in gran parte dall'esperienza e dalle capacità diplomatiche del
Presidente che viene eletto alla Commissione.”
L’appello, insomma, chiede di aprire ancora credito alla
speranza di un possibile cambiamento. Di esprimere la voce di chi non approva
le politiche interamente orientate al mercato (cioè al mercantilismo ed alla
finanziarizzazione che ne sono, da sempre,
necessario corollario) che hanno prevalso negli ultimi trenta anni. Politiche
che lasciano senza armi verso gli squilibri giganteschi generati dalla sempre
maggiore interdipendenza mondiale e favoriscono contemporaneamente l’accumulo
di ricchezza e potere in poche mani. Il rifiuto di sottoporre il processo
europeo di unificazione ed allargamento alla pubblica discussione democratica,
o ai meccanismi di voto, è espressione di questa scelta di campo. Di questa
idea che i mercati, ed i loro sacerdoti e templi (gli organismi internazionali
tecnocratici -come FMI e BM, o OCSE-, ed il sistema bancario) siano depositari
dell’unica possibile decisione. Di una razionalità senza alternative.
La speranza che gli estensori dell’appello avanzano è che
si possa, invece, aprire la discussione su quale modello vogliamo
perseguire.
L’intervento di Beck
parte dalla pericolosità della crisi dell’Euro per ricordare che “l'Europa è
più di una moneta, più di un Trattato Fiscale. L'Europa è la speranza per la libertà,
la democrazia e l'apertura al mondo”.
Bauman, vede l’Unione Europea come un potenziale scudo verso i
“peggiori eccessi dei poteri globali sfrenati e senza scrupolo”, ma in pratica agisce
spesso come una “sorta di quinta colonna degli stessi poteri globali
un'avanguardia delle forze che cospirano per erodere e, infine, di rendere
nullo sia la nazione sia le possibilità dello stato di sovranità”. Contemporaneamente
sono attive entrambe le facce, i due “giochi” s’intrecciano necessariamente. L’Europa
è, quindi, una sorta di “laboratorio” di ciò che il pianeta potrebbe diventare.
L’arena di uno scontro decisivo.
Jurgen Habermas porta l’attenzione verso il Governo Federale Tedesco che
porta, a suo parere, la responsabilità politica per la crisi con i suoi
“osceni” risultati in termini di disuguaglianza tra nazioni ed entro.
L’obiettivo dovrebbe allora essere superare la ricerca di una “Europa Tedesca”
per andare verso una Unione Politica “degna di questo nome”, nella quale una
leadership egoistica diventi “superflua”.
Agnes Heller ricorda che senza un “vivace spirito democratico” la
democrazia come la conosciamo (“di massa”) diventerà una “foglia morta” e
potrebbe crollare sotto il nazionalismo, il razzismo, il fondamentalismo, il
radicalismo di destra e di sinistra, la violenza. Termina con un avviso
volutamente enfatico: “attenzione Europa, i vecchi fantasmi possono
riemergere!”
Pascal Lamy, come altri, pone l’attenzione sulla civilizzazione
della globalizzazione che è la speranza dell’Europa. Nella stessa direzione Bruno Latour enfatizza l’importanza di
negoziare il futuro modo di abitare una terra comune, tramite l’esperimento
europeo.
Robert Menasse ricorda la transizione in uscita dal XX secolo, e la
necessità di dare forma politica e democratica alle catene di fornitura
transnazionali che rendono sempre più intrecciata l’economia (anche
finanziaria) europea di fatto. Per lui, quindi, “ciò che deve ora essere
sviluppato con urgenza è un nuovo sistema democratico coerente con queste
condizioni ed in grado di plasmarle ed influenzarle”. Occorre una democrazia
europea post-nazionale che parta dal rafforzamento del Parlamento Europeo.
Alain Touraine, mette in evidenza il fallimento dell’Euro e la
necessità di non vedere l’Europa come un “obiettivo istituzionale in sé”, ma
come “espressione concreta della nostra convinzione a rispettare la diversità
culturale e storica più attivamente in difesa dei valori universali”.
Degli interventi il più interessante mi sembra quello di
Zigmund Bauman, che evidenzia un punto meritevole di attenzione: l’Unione
Europea, come progetto plurigenerazione (sono ormai almeno tre) e
multinazionale è contemporaneamente uno
scudo ed uno specchio. Il suo vero oggetto è attualmente l’internazionalizzazione
degli scambi e la competizione tra le aree ed i popoli. Si tratta di un
incastro di giochi di potere su numerosi piani interni ed esterni: tra gli
Stati (o, meglio) tra blocchi di Stati più omogenei ed intrecciati, il Nord di
lingua tedesca ed affini, il sud mediterraneo, la Francia più o meno isolata
nella sua grandeur; tra i circuiti finanziari e relative istituzioni
sovranazionali e gli interessi industriali nazionali, che iniziano a collidere
in modo sempre più evidente; tra i sottoblocchi europei e partner/competitori esterni,
la Cina da una
parte (con i suoi rapporti con la
Germania ) e gli USA dall’altra, la vicina Russia (oggetto di
questa pericolosissima crisi attuale).
L’Europa, nel suo tragico deficit di democrazia e di
dinamica politica veramente europea, è ormai a metà strada tra un comitato
commerciale, un consorzio (magari tre), con una decisiva appendice finanziaria,
e un attore internazionale dotato di pochissimo “hard power”, ma molto “soft
power”. Troppo e troppo poco. Solo un attore internazionale forte e coeso
potrebbe sostenere i legittimi interessi e la visione del futuro, oltre che dell’organizzazione
sociale giusta ed efficiente, proprio dell’Europa. Mi riferisco al modello
sociale capace di unire salvaguardia della libertà e dignità di tutti; distribuzione
della ricchezza insieme alla sua creazione. Una creativa soluzione tra
l’efficiente (per i ricchi) ma ingiusto schema anglosassone, tutto regole e
finanza, e l’opprimente modello orientale. Ma per andare oltre bisogna
guadagnare una propria forma ed identità politica.
In questo senso sono d’accordo con Beck e gli altri
firmatari: il conflitto delle idee e il confronto delle strategie è l’unico
modo per produrre una nuova sintesi che non guardi ai modelli del passato (pur
conoscendoli e rispettandoli), né agli anni settanta né a quelli novanta, ma
che crei il modello degli anni venti del XXI secolo. Quello nel quale vivranno
i nostri figli e nipoti.
Tra chi pensa, legittimamente, che questo può essere
trovato solo entro le mura dello Stato nazione ricostituite, alla scala di 50 o
60 milioni di persone, in un mondo in cui si confrontano agglomerati di
miliardi (e nel quale, come si vede proprio ora la forza conta ancora), e chi
pensa che non ci sono modelli nuovi da cercare, perché va benissimo quello
degli anni novanta (mondializzazione, mercato completamente libero, concorrenza
totale, sicurezza degli investimenti e risparmi, poi vinca il migliore o il più
forte), credo ci sia lo spazio per tentare un’altra idea. Vale la pena almeno
di discuterne. In fondo è questo l’oggetto dell’appello.
Nessun commento:
Posta un commento