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domenica 27 aprile 2014

Eugenio Scalfari, 1978, “Parole al vento”, il dibattito sullo SME.


Ieri avevamo scritto che i due anni cruciali della storia Italiana, sotto il profilo delle conseguenze che si vedono oggi all’opera, sono il 1978 ed il 1991.
Nel 1978 al governo c’è un monocolore DC con appoggio esterno di PSI, PRI, PSDI e PCI. L’appoggio esterno del PCI è quel che passerà alla storia come “Compromesso Storico” e nasce dal compromesso tra Aldo Moro, Presidente della DC, e Enrico Berlinguer, segretario del PCI. A marzo a via Fani, mentre si reca al giuramento del Governo, Aldo Moro è rapito dalle Brigate Rosse e la sua scorta uccisa. Il 9 maggio Aldo Moro è ucciso (nello stesso giorno anche Peppino Impastato). Il 24 maggio Lama annuncia per il sindacato che i lavoratori dovranno piegarsi a sacrifici a causa della crisi economica. Nell’anno dei tre papi viene definito il negoziato sull’ingresso dell’Italia nello SME e a dicembre condotto il voto decisivo.

Governo Andreotti, 1978, commemorazione di Aldo Moro

In questo voto cruciale per la storia della Repubblica (e riconosciuto tale da molti dei protagonisti) alcuni dei più entusiasti sostenitori delle successive “devoluzioni” di sovranità sono su posizioni diverse e contrarie. Con ottimi argomenti. Tra questi il Direttore di La Repubblica, Eugenio Scalfari, e l’attuale Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Ricordo, dopo quelli di Napolitano, gli ottimi argomenti di Scalfari (che aveva assoluta ragione trentacinque anni fa) e la sua frase contenuta in uno dei suoi più efficaci articoli: “male che la memoria non soccorra gli autori nel momento del bisogno”.

Proveremo dunque a rileggere qualche passaggio dei cruciali mesi di novembre e dicembre 1978 attraverso la rilettura di alcuni articoli che il Direttore di La Repubblica scrisse intorno alla vicenda. Si va dal 30 novembre 1978, al 17 dicembre dello stesso anno.
 
Eugenio Scalfari
Nel primo articolo, che reca titolo “In barca con l’elefante”, Scalfari esplicita le ragioni dell’opposizione all’immediata adesione dell’Italia al sistema di convergenza delle monete europee. Lo SME, infatti, è come noto quel meccanismo in base al quale le monete aderenti si impegnavano a restare entro una fascia di oscillazione predeterminata (è il 2,5%, l’Italia otterrà il 6%); la cosa viene proposta con un insieme di argomenti economici (riduzione dei costi di cambio e dell’incertezza, con conseguente incremento dei commerci) e politici (primo passo verso gli Stati Uniti d’Europa, in quanto primo e decisivo passo verso la creazione di una Moneta Unica e di una Banca Centrale Europea). Malgrado il disegno attraente Scalfari oppone a tale visione un impietoso elenco dei rischi. Sono passati trentacinque anni, ma vale la pena rileggerli:
  • il progetto non è veramente “europeo” (cioè cooperativo) ma “nasce da un patto politico di ferro tra Germania e Francia. L’Europa politica avrà, quindi, un asse ben preciso fin dall’inizio e questo asse sarà come ha ricordato ieri il nostro Bernardo Valli, quello dell’Europa Carolingia”. Quindi “gli altri membri del sistema resteranno inevitabilmente alla periferia, saranno –politicamente parlando- marche di confine”.
  • la moneta dominante dello SME “è il marco tedesco. E’ un dato di fatto che nessuno può modificare. Ciò significa che se il marco tedesco continua a rivalutarsi, come avviene ormai ininterrottamente da dieci anni, nei confronti del dollaro, tutte le monete dello SME si rivaluteranno.”
  • terzo problema, per noi familiarissimo, è che “il tasso di inflazione attuale della Germania sta tra il 2 e il 3%; la media della Cee è sul 7%; l’inflazione italiana resiste pervicacemente al livello del 13%. Tra la nostra inflazione e quella della Cee c’è dunque uno scarto di sei punti; rispetto all’inflazione tedesca lo scarto è di 11 punti. Una volta agganciati allo Sme noi ci troveremo dunque in questa paradossale situazione, saremo l’unico paese al mondo con un altissimo tasso di inflazione che, invece di svalutare la propria moneta, subirà una rivalutazione. Perché tutti comprendano: ciò significa che il potere d’acquisto interno della lira continuerà a diminuire, i costi di produzione ad aumentare e le nostre merci a costare di più rispetto alle concorrenti merci straniere. Come si vede è una forbice dalle cui lame si può venire stritolati”;
  • ci sono due sole soluzioni possibili, o la Germania aumenta il proprio tasso di interesse, “ipotesi del tutto irrealistica”, oppure “si può cercare di ridurre il nostro tasso d’inflazione, portandolo almeno al livello della media europea”. Per ottenere questo risultato, dice Scalfari, bisogna “smantellare l’Italia assistenziale e corporativa a vantaggio d’una Italia produttiva, seria, efficiente”.

Queste sono le ragioni per cui, a fronte del rischio di “essere stritolati” da forbici monetarie inesorabili, il Direttore crede, nel novembre 1978, che l’obiettivo corretto di ridurre l’inflazione (ma “con equilibrio e gradualità”) “non possa essere imposto con un vincolo esterno”. Soprattutto in una piccola barca nella quale deve trovare posto un elefante.

Mentre la decisione si avvicina, e mancano solo cinque giorni alla cruciale giornata del 13 dicembre, nella quale il dramma si compirà pur con il voto contrario del PCI espresso da Giorgio Napolitano e la sua conseguente rottura con il governo (suggellato entro un mese da allora), Scalfari torna sul tema scrivendo un articolo dal titolo “Andreotti evita la crisi”, nel quale reagisce ad un fondo dell’amico Alberto Ronchey sul Corriere della Sera del giorno prima. Il 7 dicembre, infatti, l’autorevole intellettuale italiano aveva passato in rassegna “pro” e “contro”, proponendo l’immediato ingresso, in forza del superiore argomento che sia il progetto europeo a dover prevalere e che, del resto “la voce dell’Europa” non possa che far bene; farci diventare “più seri”.
Scalfari scrive in risposta che non della “voce dell’Europa” si tratti, ma di quella dell’egoismo franco-tedesco. E ricorda impietosamente i tanti “no” che l’Italia ha ricevuto nella trattativa.
Sono interessanti, perché in trentacinque anni vediamo bene che si tratta delle stesse richieste avanzate generosamente ancora oggi. Giscard oppose rifiuto alla richiesta italiana di prevedere un deciso incremento del bilancio europeo, al fine di istaurare un meccanismo governato dal Parlamento Europeo di redistribuzione del reddito nell’area comunitaria per favorire la convergenza e compensare le perdite di competitività determinate dal vincolo al cambio. Si trattava di una richiesta di “trasferimento di risorse reali dai paesi forti a quelli deboli” alla quale il Presidente Francese risposte proponendo al più degli “aiuti bilaterali”. Cioè una versione ante litteram dei “Contractual Arrangement”, proposti in questo momento dalla Germania (e questa volta rifiutati dalla Francia, passata ormai dalla parte di partner debole).
Nello stesso modo fu rifiutata la proposta italiana, ed inglese, di definire una politica di cambio comune nei confronti del dollaro. Giudicata inaccettabile dalla Bundesbank, che evidentemente non gradisce “vincoli esterni”.

Quando mancano tre giorni, e dopo solo due Spaventa pronuncerà per il PCI il suo atto di accusa, viene pubblicato un altro articolo che racconta dello scontro (inedito) tra Ugo La Malfa e Guido Baffi, Governatore della Banca d’Italia, il quale chiede un rinvio o il rigetto del provvedimento. La Malfa, al contrario, impegna il suo PRI, fino a minacciare l’uscita dalla maggioranza, opponendo alle ragioni tecniche del Governatore la “superiore idea politica”. Con questo passaggio le forze politiche si allineano sui blocchi: la DC di Andreotti è fermamente favorevole; il PRI pure; il PLI e il MSI (che è ovviamente fuori della maggioranza) sono favorevoli; il PSI (con il mediatore Cicchitto) tentano di ricucire; il PCI è contrario, e finirà su questo per rompere l’alleanza inaugurata sotto l’accordo tra Berlinguer e Moro.

Come sia, il 13 dicembre il dado è tratto. Andreotti annuncia in aula di aver ricevuto forti pressioni dai francesi e dai tedeschi (questi ultimi, nella persona del Cancelliere Schmidt, tentano anche di esercitare inutili pressioni sul PCI), fino alla minaccia di non attuare del tutto lo SME se l’Italia non entra subito. A fronte di questo ricatto morale (iscriversi a responsabili del fallimento politico della Cee) il Presidente del Consiglio chiede al Parlamento di rompere gli indugi. Avverrà, ma Scalfari correttamente chiede conto dell’incoerenza di essere indispensabili quando si tratta di aderire, salvo non ottenere niente al tavolo di trattativa.
In questo articolo (“L’Italia entra subito nello SME”) il grande giornalista ricorda al politico, e meridionalista, Ugo La Malfa che “l’operazione che è stata decisa assomiglia maledettamente alla piemontesizzazione del Mezzogiorno d’Italia –sulla pelle di Garibaldi e del Partito d’Azione- dalla corte di Torino oltre un secolo fa”. Una frase straordinaria, che potrebbe (e di fatto è, ad esempio da Zingales) essere stata pronunciata oggi.
E poi spiega così lo “schema”: “gli effetti dell’unione tra una forza e una debolezza economica e in che modo tutte le risorse dell’area debole vadano a confluire rapidamente nell’area forte, sicchè le ‘elemosine? del Nord verso il Sud non siano in realtà che una centesima parte del ‘maltolto’, li abbiamo imparati da ragazzi, leggendo i testi di de Viti, De Marco, di Giustino Fortunato, di Francesco Saverio Nitti, di Guido d’Orso e …di Ugo La Malfa. Male che la memoria non soccorra gli autori nel momento del bisogno”.

A cose fatte, il 17 dicembre 1978, quando un voto Parlamentare ha suggellato la scelta epocale di rinunciare all’indipendenza monetaria, praticamente senza alcuna contropartita, salvo belle parole e finti impegni, Scalfari scrive un doloroso articolo che reca titolo “Quota novanta”. In esso viene ricordata la rivalutazione della lira condotta dal Governo Fascista nel 1926, immediatamente seguita da due distinti e consecutivi atti di riduzione dei salari (tra il 10 ed il 20%, e poi dopo tre anni di un altro 8%) accompagnati dall’ironica e popolare canzoncina <se potessi avere mille lire al mese>. Correttamente è richiamato “lo schema” che è simile: una decisione monetaria anticipa e provoca misure di politica economica, capovolgendo il naturale nesso per cui la moneta deve essere proiezione dei fenomeni naturali dell’economia. In entrambi i casi la moneta è usata come randello esterno (Scalfari dice “vincolo esterno”) per costringere alla lotta contro l’inflazione. Cioè, questo è importante e magari ci torneremo, “per costringere il paese ad abolire i meccanismi di indicizzazione” (primo tra tutti quello sui salari, ma anche gli altri) per agire sui costi reali. Questa è la “conseguenza dell’ingresso nello SME”. E forse era la “superiore idea politica” evocata da La Malfa (cioè quella vera).
C’è un’altra conseguenza estremamente importante: “la rivalutazione ed anche la stabilizzazione del cambio estero hanno come primo effetto quello di migliorare in termini reali la posizione dei creditori e di peggiorare quello dei debitori.” Ciò, in un contesto come quello del finire degli anni settanta, in cui l’industria è fortemente indebitata verso il sistema creditizio, metterà il sistema industriale (come, infatti accadrà) con le spalle al muro, costringendo di fatto l’anello più debole –il sindacato- a cedere portando il peso del necessario risanamento.
Tra gli scenari proposti nel suo articolo da Scalfari, come possibilità per il futuro, il primo (cedimento dei sindacati sull’indicizzazione e perdita di potere di acquisto in termini reali dei salari) quindi si verificherà puntualmente.
Ma si verificherà anche il secondo (il diavolo fa le pentole ma non i coperchi) e porterà alle frequenti crisi valutarie degli anni seguenti, inclusa la perdita di competitività e quote di mercato estero delle imprese industriali italiane. Il meccanismo era, in presenza di una insufficiente compressione reale del costo del lavoro: caduta della competitività, della domanda estera, della bilancia dei pagamenti, pressioni sul cambio, perdita di riserve valutarie, restringimento della circolazione interna, innalzamento dei tassi di interesse. Quindi aumento della disoccupazione e discesa del reddito con feedback negativi sulla domanda interna. Alla fine “abbandono dello SME” (si verificherà nel 1992, a seguito dell’attacco speculativo di Soros).


L’anno termina con un nuovo e buon Presidente della Repubblica (Pertini), un papa su cui non mi esprimo ma è da oggi agli onori degli altari (Wojtila) e una Repubblica senza moneta sovrana.

Lo pagheremo per trentacinque anni.


6 commenti:

  1. Sapevano tutto, eppure oggi che la storia dà loro ragione si ritrovano a difendere ciò che all'epoca combattevano. Non riesco a capirlo, o meglio lo capisco solo se mi do spiegazioni per loro non lusinghiere.
    Alla lista degli ex-euroscettici convertiti all'euroTeismo direi che è doveroso aggiungere, a futura memoria, il nome di tale Alberto Alesina:
    http://gondrano.blogspot.it/2014/04/quattro-grandi-inganni-delleuro.html?m=1

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  2. Io vorrei trattenermi sulla soglia di una sospensione metodologica, prima di parlare semplicemente di interesse. Ovviamente c'è sempre nelle nostre cose, ma rappresenta anche una spiegazione troppo facile. Utile a spegnere subito la domanda, e precluderci più interessanti risposte.
    Direi che chi sapeva, ad un certo punto può essersi piegato allo spirito grerario, al senso dei più, al confortevole. E col tempo si è convinto (dissonanza cognitiva) che si sbagliava, che -ma si-, era giusto così. Che, in fondo, "così va il mondo". Prevale il più forte, ... e poi... quella plebe (sono tutte persone troppo colte, troppo per bene, per usare questo termine, anche con se stessi, ma è quello giusto), che vuole? C'è un ordine, alfine. E IO sono io, voi CHI siete? Io ho avuto successo. Io lo ho meritato.

    Mi spiace, ma se hai mai guardato gli alberghi di Roma, a via Condotti o nelle vie del centro, sai che si muove tutta una fauna uniforme. Certo, articolata. Non proprio tutta uguale. Certo piena di storie...

    Alla fine pensavano di vincere (almeno) loro. Poi hanno vinto solo gli altri (hai letto la mia favoletta? il re ed i baroni, e i cavalieri, e i giullari sono tutti un gruppo, pensavano di aver trovato la quadra... invece sono arrivate le avanguardie della Gerbania...) http://tempofertile.blogspot.com/2014/03/favoletta-per-bambini-la-principessa.html

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  3. Se ci pensi anche le tue spiegazioni non sono per loro affatto lusinghiere, e per la verità coincidono con le mie. Tutto sommato, se ci si piega allo spirito gregario, al senso dei più, al confortevole, non lo si fa certo per intima convinzione, o meglio: lo si fa nell'intima convinzione che è quella la via del proprio interesse.
    Che poi ognuno trovi sempre il modo di auto-assolversi fornendosi alibi psicologici che non riconoscerebbe mai agli altri, fa parte della natura umana. Ma questo non ci (li) rende meno colpevoli.
    Ora vado a leggermi la favoletta, che mi era sfuggita.
    Ottimo blog, a proposito!


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  4. "o la Germania aumenta il proprio tasso di interesse e l'inflazione"

    Mi pare che dovrebbe essere "o la Germania riduce il proprio tasso di interesse e aumenta l'inflazione".

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  5. In effetti hai ragione, logica vuole che sia così, devo controllare cosa ha esattamente scritto (è una citazione) ma probabilmente è un refuso nell'articolo.

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  6. Dunque Giorgio hai ragione (del resto era ovvio), ho ricontrollato e Scalfari esattamente scrive: "4) per rimediare questi temibilissimo rischio, ci sono due soluzioni. La Germania può consentire un aumento del proprio tasso di interesse. Barbara Spinelli, con le sue documentate inchieste sull'argomento, ha già spiegato che quest'ipotesi è del tutto irrealistica. Oppure si può cercar di ridurre il nostro tasso d'inflazione, portandolo almeno al livello della media europea. Se questo risultato fosse raggiunto, potremmo allora entrare nello Sme con assai minore timore di oggi".

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