Pagine

venerdì 4 aprile 2014

Gustavo Pica, "La scelta"


Sul blog di Gustavo Pica, un post sul processo di unificazione europea e la scelta che abbiamo davanti. Il professore reagisce ad un articolo per il Corriere della Sera di Gianni Bulgari, nel quale l’imprenditore e gioielliere invitava a scegliere tra Euro ed Europa unificata, non potendo avere entrambi (invita, quindi, a scegliere di salvare un figlio per non perderli entrambi).

Il punto di convergenza è nell’ammettere che l’Unione Politica non è “a portata di mano”, ed anzi sembra allontanarsi per effetto delle reazioni nazionalistiche che la crisi alimenta; addirittura in Inghilterra, Spagna e Italia (ma anche altrove) si manifestano anche internamente spinte separatiste preesistenti ma che sono ravvivate, come una brace, dal vento della crescente difficoltà, in particolare della classe media-inferiore autonoma. Aspettarsi che in pochi anni, compatibili con la tenuta sociale e politica dei paesi “periferici”, si possano introdurre massivi trasferimenti, tassazione europea, governo condiviso politicamente responsabile, welfare comune, condivisione dei rischi finanziari pubblici e privati (come è negli USA) è una pericolosa “illusione”, secondo Piga, “capace di ritardare la ricerca di una soluzione concreta ai problemi”.

Questo coraggioso modo di guardare in faccia il problema porta Piga a ricordare, come Bulgari, che gli Stati Uniti d’America hanno impiegato 150 anni per raggiungere l’esito attuale. Sino a quella data (cioè sino agli anni trenta-quaranta) non avevano neppure una Banca Centrale e non avevano un vero Bilancio Federale. Giova ricordare, e bene fa il professore, che gli Stati approssimativamente Federati uno ad uno, con complessi trattati bilaterali e comuni, del 1700 e poi, via via del 1800 erano separati da abissi di differenze culturali, antropologiche (in relazione alla prevalente popolazione di immigrazione delle diverse aree) ed economiche. Gli Stati Uniti decisero di avere il dollaro (6 luglio 1785, solo con Lincoln emesso dal Governo Federale) “ben prima di essere uniti politicamente, ben prima di essere ‘mobili’ culturalmente e geograficamente, perché il simbolo della sovranità doveva – malgrado le evidenti rigidità che avrebbe comportato – forzare il dialogo tra diversi”. Secondo Piga, e questo è ovviamente un giudizio impegnativo, l’Europa di oggi non è sotto questo profilo molto diversa dagli Stati Uniti di allora.
Il lunghissimo processo che si avvia con il dollaro legato all’oro (poi anche all’argento) ed emesso in modo decentrato nel 1785 e concluso, più o meno, negli anni trenta del novecento, è stato difficile, ed anzi “ebbe spesso risvolti drammatici”. Richiese, come ricorda Piga opportunamente, sia l’invenzione del treno (cioè un salto quantico della mobilità interna di uomini e soprattutto merci) sia due guerre: la guerra civile negli anni sessanta dell’ottocento con i suoi 700.000 morti totali (su una popolazione di ca. 30 milioni) e la prima guerra mondiale che allargò la percezione di sé degli americani.
Ma richiese, e questo è sia importante sia interessante, anche un grande leader come Franklin Delano Roosvelt che riuscì, nel mezzo della drammatica crisi economica degli anni trenta, non senza enormi difficoltà e qualche esitazione, a ottenere la delega da parte degli Stati a operare con il Bilancio Federale (che esplose). Quella che Piga chiama “la delega a decidere per tutti gli Stati”.
Quella che è, in effetti, la comprensione della necessità di una solidarietà ben intesa, madre del progetto politico nazionalista di scala maggiore.

A questo punto, il prof. Piga fa un esercizio di fantapolitica estremamente arduo e si chiede che sarebbe successo se gli Stati americani avessero, nel corso del settecento, o dell’ottocento, rinunciato alla moneta unica, cominciando ad emettere monete sovrane a diversa denominazione. Secondo lui ora “saremmo qui a chiederci sui libri di storia perché quel progetto di Unione è fallito”.
Di qui il suo auspicio: “Possiamo salvare i due figli, e risparmiarci l’isolamento a cui ci destinerebbe  la rottura dell’euro, con l’unica arma a disposizione: non l’unione politica, ma la fine dell’austerità che condanna i più deboli e meno protetti al dolore ed alla sofferenza”. Dunque la scelta, per lui, non è sull’Euro (con puntatina polemica su Claudio Borghi, Alberto Bagnai e Piga) ma sui confini territoriali che vogliamo. Se vogliamo confinare con nord africa, Turchia, Russia o con Francia, Svizzera, Austria (e Nord Africa ovviamente). Cioè se vogliamo l’Italia o l’Europa. Di chi vogliamo essere cittadini.
A questo punto, entro questa scelta identitaria, il cuore vola oltre l’ostacolo e il professore in economia Piga cambia tono: con vibrante slancio retorico richiama il potere dei cittadini di determinare le scelte e cambiare quelle che non condividono (nel caso, evidentemente, la gestione della crisi).
Non è chiarissimo come sono connessi tra loro questo auspicio finale di avviare politiche espansive, necessarie per ridefinire l’economia europea e allentare la crisi, e lo scetticismo sull’introduzione di strumenti di mutualizzazione con il quale parte il pezzo, insieme a rifiuto della risposta solo nazionale.

Qualunque sia il meccanismo tecnico-economico che ha in mente il prof. Piga, commentare un pezzo così ricco e lacerato non è facile, l’esempio scelto è denso di problematiche storiche e di differenze importanti, però è complessivamente ben scelto. Perché può aiutare ad illuminare per differenza e somiglianza il nostro specifico dilemma. Siamo di fronte alla necessità di superare, ed urgentemente, gli “egoismi” nazionali, per comprendere, tutti insieme, che la solidarietà è nel <nostro interesse comune> cioè anche nell'interesse di quello che ora, in questa congiuntura e condizione, è il più forte (naturalmente nell'interesse <ben inteso> e in prospettiva medio-lunga, come ci ricorda Claus Offe). Una simile assunzione di responsabilità in comune sarebbe effettivamente risolutiva; consentendo di salvare sia il grande progetto unitario europeo sia lo strumento della moneta unica. La moneta diventerebbe, anzi, strumento del progetto di unificazione. Tuttavia oggi la moneta è, in sostanza, un’arma (nella mani di chi resta da interrogare, per quali fini è già più chiaro).
E’ probabilmente vero che sbaglia chi concentra l'attenzione sullo strumento, senza guardare la mano che lo brandisce (non è l’errore degli studiosi prima citati, anzi). E anche che sbaglia chi pensa ad una volontà unica, quasi ad un macrosoggetto (la “Germania”, ad esempio).
A me pare che il “sistema d'azione” (vecchia ed utile categoria di Crozier) plurinazionale all’opera esprima in effetti sia una logica di stretto interesse nazionalistico (che per semplificare mentalmente pensiamo come “egoismo”) sia, ed insieme, una logica di stretto interesse di parte (cioè di un ambiente internazionale culturalmente coeso fatto di funzionari, professionisti e aziende non solo finanziarie) che è altamente plurale, si tratta -mi pare- di un intero mondo-di-vita (vecchia categoria habermasiana). Di qui l’invito, che altamente condivido, di Offe (ma anche di Habermas e su questo di Streeck) a ripensare la politica su linee sovranazionali, riconoscendo gli interessi e le identità e volontà simili -e quelle diverse- attraverso i confini statuali (in altre parole, secondo linee di classe, di interesse fondamentale o strutturali).

Si potrebbe dire, seguendo la traccia lasciata dal post che commentiamo, che la scelta è tra “venire alle mani” con quel mondo-di-vita (cosa molto più difficile di quanto possa sembrare, perché non è solo questione di argomenti e di razionalità, neppure solo di interessi) o accettare di passare per tensioni, rivolte, forse guerre; oppure cercare una strada più lunga (sacrificando uno dei figli, cioè l’Euro) che, certo, non garantisce l'approdo.

Tornando al pezzo di Piga però si può dire che il suo esempio, il processo di unificazione americano, è contemporaneamente ben scelto e tragico. I cittadini americani, nei 150 anni (oltre tre generazioni) hanno avuto due guerre, infiniti conflitti sociali, giuridici, economici, umani. Hanno attraversato tensioni gigantesche. Una enorme sofferenza.
C’è da restare incerti. Chi pensa che almeno togliere le armi dalle mani sia un utile passaggio intermedio potrebbe non avere torto.

Ma qualunque sia la scelta (che in fondo è più tattica che strategica), pro o contro Euro, è sull’interrogazione, ed il disvelamento, degli interessi che si addensano intorno alle etichette nazionali, ma in effetti sono legati più ad un sistema-di-vita internazionale comune che alle nazioni, che c’è il lavoro politico da fare e la costruzione della nazione comune. Non avremo mai una nazione comune se non abbiamo una politica comune, ed una comune sfera pubblica.
Ma questa si forma sulle agende, sui conflitti, sulle divergenze e convergenze di interesse che devono progressivamente attraversare, e poi dissolvere, le frontiere.


Probabilmente avremo presto il nostro treno (rappresentato dalle tecnologie di traduzione simultanea in mobilità), bisognerà farne buon uso.

1 commento:

  1. Ho smesso da tempo di seguire Piga. E' un muro di gomma: vede perfettamente quali sono le incongruenze del sistema, le sue analisi sono spesso pertinenti (anche se - almeno fino a qualche tempo fa - trascurano l'aspetto altrettanto cruciale della democrazia), ma al momento di saltare alla conclusione si ferma e preferisce lanciare il cuore oltre l'ostacolo. Oltre un certo limite, gli slanci retorici diventano stucchevoli, e dopo essermene sorbito parecchi in risposta a miei commenti ho preferito lasciarlo ai suoi psicodrammi, avendone già abbastanza dei miei.

    RispondiElimina