Ieri abbiamo letto il
libro di Sarrazin, nel quale è esposta con chiarezza e franchezza la
posizione liberale tedesca (o conservatrice, se volete) nella quale l’assoluta
priorità alla stabilità dei prezzi, e quindi al contenimento dell’inflazione, è
individuato come architrave di lungo periodo per una crescita non “drogata” da
eccessi di debito come nel modello alternativo di scuola anglosassone, nel
quale (sostiene Sarrazin) la crescita è trainata da un’espansione continua
della moneta creditizia e della moneta fiduciaria emessa dalle Banche Centrali,
con conseguenti rischi di instabilità. Questo è il motivo che induce a porre al
centro dell’economia e della società la
stabilità, e a rifuggire dal debito, concepito come “colpa” dalla quale “redimersi”
tramite il dolore e l’austerità.
Pur riconoscendo un fondamento alla
critica dell’economia fortemente finanziarizzata, praticata dalla FED, la
posizione del nostro appare a chi scrive sostanzialmente elusiva. L’assetto imposto dalla Bundesbank alla BCE (come ammette
con grande ed apprezzabile franchezza l’autore tedesco) non è meno incentrato
sulla finanza. Se lo è meno sul debito è solo perché il ruolo scomodo di
debitori è lasciato agli altri tramite un’astuta sospensione dei meccanismi di mercato
autoequilibranti. Ma è proprio l’assialità sani/insani (o virtuosi/peccatori)
che trasuda in quasi tutte le pagine del testo, e scivola tra le pieghe delle
parole usate in molti passaggi, ad essere sospetta. Il non detto (o meglio il
naturalizzato) è proprio la politica di
potenza che è assunta come esito naturale di rapporti di forza visti “nelle
cose” (e non nelle decisioni). Cioè nella maggiore competitività della
industria e dell’economia tedesca messa a
contatto senza filtri con quelle del resto d’Europa. L’esito è l’impoverimento.
Proprio questo esito, chiaramente
individuato nel testo, induce Sarrazin a chiedere la fine dell’Euro (non perché
ingiusto, ma perché insostenibile politicamente). Sarrazin propone in sostanza
di cessare la guerra.
Nella stessa direzione va l’Articolo
intervista di Sinn su La Stampa, il
Presidente dell’influente IFO ed ex Consigliere della Corte Costituzionale
tedesca, continua la sua battaglia contro ogni e qualsiasi ipotesi di mutualizzazione
del debito sovrano. Dunque contro gli acquisti di Bond (sia se emessi da imprese
non finanziarie, o da banche o da Stati) in quanto, a suo parere, la BCE deve
restare neutrale ed imparziale, senza
intervenire per forzare i meccanismi di mercato in favore di uno stato o
l’altro. La politica monetaria deve restare unica e non differenziata per aree.
In sostanza la politica monetaria non
deve surrogare una politica fiscale (cioè politica e discrezionale) per la
quale manca uno Stato Europeo in grado di farla. L’argomento di schermo è di
tipo legale (l’operazione, ai sensi dei Trattati, è obiettivamente illegale e
comunque è vista come tale dalle Sentenze
della Corte Costituzionale Tedesca), ma il punto è che in sostanza il mercato
deve operare i suoi vincitori e vinti.
Dopo commenteremo brevemente questa
logica da guerra (economica), per ora continuiamo a vedere che dice il
commentatore liberale: anche se l’acquisto fosse proporzionale al PIL (e dunque
neutro rispetto alla forza delle economie, ma non ai mercati) sarebbe a suo
parere illegale. Si tratterebbe di “finanziamento monetario”, in quanto avrebbe l’effetto di intervenire
sui rendimenti. Spieghiamo meglio questo punto, che è cruciale: se in un mercato
emetto un Bond (e ci sono ca. 10.000 miliardi di Titoli di Stato da rinnovare
nel mondo) concorro con gli altri, degli altri Stati, per la cattura degli
investitori. In un sistema limitato non tutti i Titoli possono essere comprati
allo stesso tasso. Dunque i titoli più affidabili avranno un tasso migliore
(più basso) mentre quelli meno sicuri costeranno di più. In conseguenza gli
Stati più deboli avranno maggiori costi di finanziamento e potranno indebitarsi di meno.
Se la BCE, in quanto Banca Centrale di
tutti, interviene in questo meccanismo comprando fuori di una logica di mercato
(comprerebbe solo titoli tedeschi in tal caso) in base a qualsiasi regola
alternativa, altera i prezzi che si formano sul mercato. Dunque sostiene gli
Stati in difficoltà. Ciò, secondo Sinn è proibito dai Trattati, perché è una “politica
fiscale” surrettizia.
Ora, il problema è che l’Euro
rappresenta esattamente una sospensione del normale mercato dei cambi, che in
una economia di mercato, in base ad un “sano” e “naturale” meccanismo di
mercato (cioè il semplice fatto che per comprare un bene o servizio all’estero
devo comprare prima la moneta, come facevamo prima per andare all’estero)
riequilibra automaticamente la
competitività relativa dei diversi paesi. Questo è il motivo per cui Sarrazin,
nella sua analisi, posto di fronte alla scelta se rinunciare alla proibizione
di intervenire con politiche fiscali compensative (che possono essere fatte
solo dalla BCE, di fatto, per assenza di uno Stato Europeo con un suo Tesoro ed
un suo bilancio adeguato), propone di rinunciare invece alla Moneta Unica.
Sinn, che peraltro ha proposto più o
meno la
stessa cosa, risponde che “se fosse possibile uscire dall’Euro tutto
sarebbe più semplice”, infatti “solo nell’eurozona ci si trova dinanzi a
problemi talmente intricati da essere quasi irrisolvibili”. Per questo, in
assenza di rottura del vincolo di cambio, resta
solo la deflazione per ripristinare la competitività. Un riequilibrio della
bilancia commerciale interna (e quindi della competitività) è necessaria “per
la sopravvivenza dell’Euro”. In altre parole, secondo la visione del Presidente
dell’IFO, l’Euro può sopravvivere solo se tutte le aree economiche hanno un
equilibrio commerciale reciproco (altrimenti nel sistema Target 2, come abbiamo
visto in Sarrazin, si formano montagne di crediti per la Germania e di debiti
per gli altri, che se non gestiti possono provocare un repentino crollo nel
sistema bancario e fiscale del creditore) oppure
cadrà.
Sbilanciamento "Target 2" |
Il problema è che le masse in campo,
persino per la grande Germania, cominciano ad essere enormi; lo stesso Sinn
stimava un paio di anni fa in oltre 700 miliardi i crediti garantiti
direttamente o indirettamente dallo Stato Tedesco nei diversi salvataggi, lo squilibrio
commerciale della Germania ammonta a centinaia di miliardi all’anno (forse due)
e questi si accumulano sotto forma di crediti nel sistema Target 2. Continuare a caricare il bilancio della BCE di Titoli
potrebbe portare, in caso di crisi, alla necessità di rifinanziarla o di
coprire con emissione di moneta lo sbilancio, diluendolo e provocando
inflazione.
Il rischio che vede Sinn è che i
contribuenti (tedeschi) prima o poi giudichino eccessivi questi rischi (a
fronte dei quali, peraltro, gli industriali e le imprese finanziarie tedesche
stanno facendo enormi utili) e si “ribellino”.
In effetti in un sistema capitalista, a
fronte dei guadagni qualcuno deve rischiare perdite. Se il rischio di cambio è
stato neutralizzato, e con ciò sono
state abbassate le naturali difese all’eccesso di competitività di un sistema
con l’altro (quello più competitivo finisce per costare di più, perché la sua
moneta si apprezza), il rischio che è stato tolto agli industriali deve andare
ai risparmiatori (se vogliono investire su titoli a maggior rendimento), oppure
ai contribuenti (se un sistema pubblico contiene i rischi dei Titoli,
comprandoli, oppure se emette Eurobond). Questo dilemma dovrebbe essere risolto
per Sinn riportandolo agli investitori, oppure ripristinando la logica di
cambio.
Si
tratta di scelte difficili, ma che andrebbero fatte.
Per il Presidente dell’IFO la Grecia non ha alternativa che uscire dall’Euro,
ma l’Italia può ancora “prosperare nell’Euro” se accetta “un decennio di
stagnazione”. In questo modo, lasciando fino al 2025 che prezzi e stipendi
crescano “molto meno” che negli altri paesi (sono già tra i più bassi nell’area),
potrebbe riprendersi. Questo perché “la sua industria in fondo è competitiva,
anche se è diventata solo un pò cara”. L’Italia,
infatti, secondo le sue parole, è “tra i grandi sconfitti dell’Euro”.
A me pare che sia Sarrazin, come Sinn,
siano esattamente coscienti della natura intrinsecamente aggressiva della politica
economica imposta nei Trattati discussi a cavallo della fine del millennio.
Entrambi, dopo quindici anni di divaricazione e successi tedeschi, cercano una
via di uscita dalle conseguenze. Mentre Sarrazin teme il crollo del sistema
Target 2 (arrivato ad enormi squilibri), per eccesso di concentrazione di
crediti e debiti, e anche le reazioni politiche all’austerità, Sinn teme di
dover far fronte agli impegni di garanzia assunti (esplicitamente ed
implicitamente).
Dopo aver dichiarato guerra (economica)
al sistema industriale dei competitori, ed averla vinta la Germania inizia a
temere di esaurire le proprie risorse e, per la terza volta, trovarsi con una
montagna di “debiti di guerra”.
Succede
quando si vuole troppo.
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