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giovedì 24 aprile 2014

Martin Wolf “Togliere alle banche private il loro potere di creare denaro”


Su Financial Times, il principale commentatore economico, Martin Wolf, ritorna sulla questione della creazione di denaro bancario, dopo l’intervento della Banca d’Inghilterra che aveva chiarito come il reale funzionamento del sistema creditizio sia basato sull’espansione monetaria determinata dai crediti bancari e non da se stessa (dato che le riserve svolgono un’altra funzione), con un articolo dirompente.

La circostanza che, mentre la creazione di banconote contraffatte resta illegale, le banche private possano creare denaro “crea un buco al centro della nostra economia”. Genera una “interdipendenza” tra lo Stato e le imprese private speciali, in grado di fare questo, che è la fonte di “gran parte dell’instabilità delle nostre economie”.
Questo buco andrebbe chiuso.

Senza temere di perdere i suoi abbonati nella city, Wolf ricorda che i depositi creati dai prestiti (come abbiamo visto creati con la pressione di un indice su una tastiera, senza preesistere in alcun luogo o tempo) da parte delle stesse banche che li erogano costituiscono (secondo la recente stima della Banca d’Inghilterra) il 97% dell’offerta di sterline inglesi. Ovviamente non appena sono prelevati (e per questo ci sono le riserve) o trasferiti ad un altro conto e da questo spesi diventano “soldi” ed entrano nella circolazione.

Quale è il punto, allora? Per Wolf, e non si può non essere d’accordo, è che il settore bancario, se gode di questo immenso privilegio, non è una normale attività di mercato. Esso fornisce (praticamente in condizione di monopolio) due “beni pubblici” strettamente collegati: i soldi e la rete dei pagamenti.
Il sostegno organizzativo alla rete dei pagamenti, fondata come è sulla fiducia nella disponibilità del denaro su richiesta, è il motivo per il quale ci sono le “banche delle banche” (cioè le Banche Centrali su licenza pubblica) che agiscono come prestatore di ultima istanza per loro, e per il quale i governi, direttamente, prestano la loro garanzia sui depositi entro una certa cifra. Ma anche per la quale, se necessario, prestano iniezioni di capitale. Inoltre, come ricorda Wolf, è il motivo per il quale è giusto che il settore bancario sia fortemente regolamentato.
Malgrado tutto questo impegno, che ci è costato recentemente migliaia di miliardi di denaro pubblico che è, in ultima istanza, finito a gonfiare il nostro debito pubblico, i cicli del credito sono ancora fortemente destabilizzanti.

Da qui nasce la percezione di “un buco” al centro del sistema economico. Bisogna fare qualcosa.
Wolf passa rapidamente in rassegna le diverse ipotesi:
-          aumentare la regolamentazione (come in parte si sta facendo) ulteriormente stringendo i requisiti di capitale necessari per erogare prestiti; questa proposta, discussa dall’autore in un altro post, è fatta anche da Anat Admati di Stanford e Martin Hellwig dell’Istituto Max Planck.
-          una più radicale potrebbe essere di richiamare allo Stato il monopolio della creazione di moneta. Una proposta simile la fece Irving Fisher nel 1930 che propose il 100% di riserve contro i depositi.

Secondo l’ipotesi del grande economista americano (il più grande, insieme a Keynes, della sua generazione) una simile proposta otterrebbe tre risultati: ridurrebbe notevolmente la violenza dei cicli economici, porrebbe fine al rischio della “corsa agli sportelli” (e dunque ai salvataggi affannosi), e ridurrebbe drasticamente il debito pubblico.
Esiste anche uno studio di personale del FMI, del 2012, che sostiene che la cosa potrebbe funzionare bene. Poi ci sono proposte in tal senso di Laurence Kotlikoff della Boston University, e di Andrew Jackson e Ben Dyson in Modernizzare i soldi.

Se si facesse questo sarebbe compito dello Stato, e non delle banche, di creare tutti i soldi necessari per rendere fluide le transazioni, e mettere in contatto i fornitori di beni e servizi con i consumatori e utilizzatori. I clienti delle banche pagherebbero alle stesse solo una tassa per le gestione del denaro (cioè per il deposito e il servizio di pagamento su mandato). Oltre a questa prestazione di base le banche potrebbero anche offrire dei “conti di investimento”, dai quali offrire prestiti a terzi. Ma potrebbero, in quanto puri intermediari, offrire solo i soldi effettivamente investiti dai clienti (cioè messi a disposizione da questi). Gli sarebbe preclusa la creazione di denaro dal nulla, cioè il prestito non fondato su riserve specificatamente presenti.
Ovviamente dovrebbe essere eretta una barriera che impedisca ogni moltiplicazione monetaria, cioè di considerare “mezzi di pagamento” questi conti di investimento. Naturalmente i titolari dei “conti di investimento” sarebbero essi stessi vulnerabili alle perdite, e potrebbero essere imposti dai regolatori dei requisiti prudenziali patrimoniali.

Il denaro necessario per promuovere la crescita (non inflazionistica) dovrebbe essere a questo punto essere creato solo dalla Banca Centrale. Con decisioni che Wolf, da buon liberale, propone essere come oggi indipendenti dal governo (ma la Banca d’Inghilterra non è indipendente nella misura estremista in cui lo è la BCE, cosa che storicamente è una delle ragioni di non adesione del Regno Unito all’Euro).
Resta il problema di come questo nuovo denaro viene inserito nel circuito di spesa dell’economia. Wolf indica quattro modi:
-          finanziare la spesa pubblica (evidentemente tramite un conto del Tesoro presso la Banca Centrale), sostituendo i prestiti o le tasse;
-          effettuare pagamenti diretti per i cittadini;
-          riscattando debiti pubblici e privati;
-          facendo nuovi prestiti tramite le Banche o altri intermediari.

Tutti meccanismi delicati, con pro e contro, da rendere trasparenti con apposita legislazione. Si tratta di una transizione complessa, ma fattibile.

A fronte dello stress della transizione ci sarebbero, però, enormi vantaggi:
-          aumenterebbe l’offerta di moneta senza dover incoraggiare per questo le persone a sovra indebitarsi (come, in sostanza è oggi);
-          potremmo lasciar fallire tranquillamente le banche che si esponessero troppo;
-          potremmo trasferire il signoraggio (cioè i benefici della creazione di denaro) al pubblico. Nel 2013, ricorda Wolf, l’aggregato monetario M1, per la Sterlina, era all’80% del PIL inglese. Se la Banca Centrale lo decidesse questo aggregato potrebbe crescere del 5% all’anno. In conseguenza il Governo potrebbe avere uno spazio di manovra corrispondente.

Diciamolo meglio. Il Governo potrebbe usare questo 5% (Wolf, prudentemente, dice il 4%) creato dal nulla per avere un deficit fiscale (cioè una spesa pubblica) corrispondente senza alzare le tasse o chiedere prestiti. Metterebbe in circolo la moneta necessaria per far crescere l’economia al tasso desiderato (quello che corrisponde all’espansione delle forze produttive e quindi non genera inflazione) facendo spesa utile (si spera).
Oppure, la decisione è naturalmente politica, potrebbe usare questa risorsa per ridurre le tasse del 4% all’anno.

L’obiezione che Wolf (ma non è l’unica, perché c’è sempre l’argomento “von Hayek”) ricorda è che secondo gli oppositori a questa rivoluzionaria idea “l’economia morirebbe per mancanza di credito”. In effetti il credito tradizionale, bancario, resterebbe ma sarebbe notevolmente minore e soprattutto dipenderebbe dai depositi, cioè dal risparmio.
Purtroppo è proprio quello che sta succedendo (ed in tutto il mondo occidentale) da decenni: solo il 10% dei prestiti bancari (in continuo calo, peraltro) ha finanziato investimenti delle imprese produttive (quasi tutto va agli immobili, più facili da valutare e meno rischiosi). Di fatto, come ricorda Davies, “le banche stanno mangiando l’economia reale”.

La conclusione è semplice e chiara: “il nostro sistema finanziario è così instabile perché lo Stato ha permesso in primo luogo alle banche di creare quasi tutti i soldi per l'economia e poi è stato costretto ad proteggerle durante l'esecuzione di tale funzione”. Una sorta di autointrappolamento.


“Un gigantesco buco nel cuore delle nostre economie di mercato”. 

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