La crisi ucraina
giunge al suo punto cruciale, il paese sta lentamente (ma neppure tanto)
scivolando verso la guerra civile e forse verso l’intervento “umanitario” dei
40.000 soldati Russi alle sue frontiere.
Sono queste le
condizioni in cui, come ricorda Jacques Sapir in un suo Post, oggi si aprono i più
importanti negoziati da moltissimi anni a questa parte a Ginevra. Si
confronteranno le ragioni, gli interessi e le forze di Ucraina e Russia, ma
anche degli Stati Uniti e dell’Europa (o meglio della Germania e dei paesi di
nuova integrazione dell’Est che hanno punti di vista diametralmente opposti).
“Sul campo”,
come si dice normalmente, la popolazione dell’Ucraina orientale, che è la posta
più ravvicinata in gioco, esprime sfiducia verso la discutibile “rivoluzione”
di Maidan Nezalezhnosti (cioè Piazza Nezalezhnosti) oppure
desidera semplicemente unirsi alla Russia. Le ultime ore e giorni hanno visto
estremisti, più o meno organizzati ed infiltrati dal Cremlino, occupare sempre
più edifici pubblici e centri urbani nell’est e il Governo di Kiev mandare i
soldati. Ieri ci sono stati scontri armati, e persino defezioni di intere unità
militari motorizzate. Ancora ieri il segretario della Nato ha minacciato l’irrobustimento
del dispositivo militare difensivo occidentale.
La situazione non potrebbe essere più grave.
Il governo di
Kiev, ricorda Sapir, ha urgente bisogno di aiuti economici (anche per pagare il
gas che la Russia ha prontamente rincarato), ma anche che non ci sono opzioni
politiche accettabili sul tavolo. La soluzione deve passare per una
ri-costituzione dell’Ucraina (che Putin chiede sia fortemente federale) tramite
una Assemblea Costituente, seguita da un referendum.
Come giustamente
ricorda Sapir, una Conferenza per la Pace, dovrebbe includere la Russia ed
uscire dallo schema “buoni/cattivi”, che è per lo più proposto da parte
americana. Il movimento di Maidan Nezalezhnosti non è il “buono”, cui l’imperialista
Putin oppone la sua “cattiveria”. Le cose sono piuttosto più complesse.
Fin qui l’articolo
di Sapir, che condivido. La crisi Ucraina è fatta di tante cose, e viene
abbastanza da lontano; ne avevamo parlato a fine febbraio in questo
post, nel quale proponevamo di considerare alcune “partite” in corso:
-
La grande strategia energetica, che vede la dipendenza di buona parte dell’Europa
centrale (e, in misura minore nostra) dal gas e dai prodotti petroliferi russi e
gli sforzi europei ed americani di sottrarsi (sullo sfondo l’ipotesi di
sostituirla con una relazione con lo shale gas americano).
-
La questione del territorio, che nelle attuali condizioni si manifesta come
estensione dell’area di regolazione normativa (europea) e commerciale (USA ed
Europa), ma anche di alleanze militari (NATO) fin al confine Russo. Una ipotesi
che è inaccettabile per le rinnovate ambizioni di potenza russe che, forse
troppo frettolosamente, si consideravano superate.
D’altra parte,
come avevamo detto “l’assenza
di identità brilla al confine”, e qui si vede molto bene quella Europa.
Cioè se ne vede l’assenza.
Sino ad oggi la
crisi è stata dominata dagli interessi e dalle paure dei singoli stati. L’interesse
agli interscambi commerciali con importazioni per 383 miliardi nel 2013 (51
verso i Paesi Bassi, 28 verso l’Italia e 27 verso la Germania), ed esportazioni
verso la Russia per 231 miliardi (dalla Cina 38, dalla Germania 27, dagli USA
12 e dall’Italia 10 miliardi).
Per dare un’idea
le esportazioni italiane nel 2012 erano complessivamente 390 miliardi con la
Germania come primo nostro mercato di sbocco (12,5% delle esportazioni) e la
Russia appunto al 2,6%. Mentre quelle della Germania sono verso la Francia
(9%), Olanda, Inghilterra, Italia ed Austria per ca. il 6% ciascuna e Svizzera,
Belgio, Polonia al 4%. La Russia è ca. al 3%.
Ma le paure sono
anche politiche: gli stati europei ex sovietici temono il nazionalismo di
ritorno all’opera in Ucraina, ma temono anche la Russia ed il suo imperialismo.
Però a me pare
ci sia anche un’altra dimensione da considerare: se il progetto europeo era figlio
della paura del nemico
esterno (di due nemici esterni,
uno geograficamente tale, l’Unione Sovietica, ed un altro esterno alla civiltà
occidentale, lo spirito
tedesco), questa crisi può diventare “punto cruciale” in un modo inatteso.
La crisi
politica dell’Europa, e la crisi sociale ed identitaria del suo progetto
unificante, al quale si è inteso surrogare con il progetto dell’Euro, è “figlia
illegittima” della rottura dell’89 (della contemporanea scomparsa di entrambi i
nemici, dell’anschluss
e del crollo sovietico). Questa mancanza è stata occupata parassitariamente da una volontà. Dal progetto di disciplinare
finalmente le forze popolari che spingevano per l’eguaglianza reale di risorse
e potere. Di controllare la politica e la democrazia con le armi dell’economia.
Questo progetto
si è servito dei Trattati, di Maastricht (molto interessante ascoltare a venti
anni di distanza come Mitterrand lo difende),
dal Regolamento di Funzionamento (che lo stravolge, riconducendolo a semplice
logica matematica e conformità a regole astratte, sottraendolo alla politica)
dai successivi Trattati introdotti in occasione della crisi del 2008.
Potrebbe l’improvvisa
presa di coscienza che la Storia non è finita, e che le sfide che essa propone
sono sempre presenti, ricordare ai litigiosi ed egoisti Stati Europei (ed alle
indaffarate élite finanziarie ed industriali) che serve una direzione comune e
maggiore coesione sociale, per restare all’altezza dei propri desideri ed
ambizioni? Che, forse, invece di fare i bulletti nel cortile di casa,
bisognerebbe guardare al Mondo che c’è intorno, e diventare finalmente
fratelli?
La prima
condizione per esserlo è rispettarsi,
dunque dismettere l’arma dell’Unione Monetaria e ripristinare i normali
meccanismi di mercato, per ricondurre gli squilibri entro termini accettabili.
Se allora non si
può non concordare con Sapir sul fatto che in Ucraina serva una Conferenza Costituzionale,
con tutti gli attori in campo, altrettanto urgentemente in Europa serve una
Conferenza del Debito (tra l’altro proposta persino da Sinn)
ed il ripristino della logica.
Senza questi due atti prevarrà la guerra.
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