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giovedì 17 aprile 2014

Jacques Sapir “Negoziato o scontro”, Ucraina (e non solo lei) al bivio


La crisi ucraina giunge al suo punto cruciale, il paese sta lentamente (ma neppure tanto) scivolando verso la guerra civile e forse verso l’intervento “umanitario” dei 40.000 soldati Russi alle sue frontiere.

Sono queste le condizioni in cui, come ricorda Jacques Sapir in un suo Post, oggi si aprono i più importanti negoziati da moltissimi anni a questa parte a Ginevra. Si confronteranno le ragioni, gli interessi e le forze di Ucraina e Russia, ma anche degli Stati Uniti e dell’Europa (o meglio della Germania e dei paesi di nuova integrazione dell’Est che hanno punti di vista diametralmente opposti).
“Sul campo”, come si dice normalmente, la popolazione dell’Ucraina orientale, che è la posta più ravvicinata in gioco, esprime sfiducia verso la discutibile “rivoluzione” di Maidan Nezalezhnosti (cioè Piazza Nezalezhnosti) oppure desidera semplicemente unirsi alla Russia. Le ultime ore e giorni hanno visto estremisti, più o meno organizzati ed infiltrati dal Cremlino, occupare sempre più edifici pubblici e centri urbani nell’est e il Governo di Kiev mandare i soldati. Ieri ci sono stati scontri armati, e persino defezioni di intere unità militari motorizzate. Ancora ieri il segretario della Nato ha minacciato l’irrobustimento del dispositivo militare difensivo occidentale.
La situazione non potrebbe essere più grave.

Il governo di Kiev, ricorda Sapir, ha urgente bisogno di aiuti economici (anche per pagare il gas che la Russia ha prontamente rincarato), ma anche che non ci sono opzioni politiche accettabili sul tavolo. La soluzione deve passare per una ri-costituzione dell’Ucraina (che Putin chiede sia fortemente federale) tramite una Assemblea Costituente, seguita da un referendum.
Come giustamente ricorda Sapir, una Conferenza per la Pace, dovrebbe includere la Russia ed uscire dallo schema “buoni/cattivi”, che è per lo più proposto da parte americana. Il movimento di Maidan Nezalezhnosti non è il “buono”, cui l’imperialista Putin oppone la sua “cattiveria”. Le cose sono piuttosto più complesse.

Fin qui l’articolo di Sapir, che condivido. La crisi Ucraina è fatta di tante cose, e viene abbastanza da lontano; ne avevamo parlato a fine febbraio in questo post, nel quale proponevamo di considerare alcune “partite” in corso:
-          La grande strategia energetica, che vede la dipendenza di buona parte dell’Europa centrale (e, in misura minore nostra) dal gas e dai prodotti petroliferi russi e gli sforzi europei ed americani di sottrarsi (sullo sfondo l’ipotesi di sostituirla con una relazione con lo shale gas americano).
-          La questione del territorio, che nelle attuali condizioni si manifesta come estensione dell’area di regolazione normativa (europea) e commerciale (USA ed Europa), ma anche di alleanze militari (NATO) fin al confine Russo. Una ipotesi che è inaccettabile per le rinnovate ambizioni di potenza russe che, forse troppo frettolosamente, si consideravano superate.

D’altra parte, come avevamo detto l’assenza di identità brilla al confine”, e qui si vede molto bene quella Europa. Cioè se ne vede l’assenza.

Sino ad oggi la crisi è stata dominata dagli interessi e dalle paure dei singoli stati. L’interesse agli interscambi commerciali con importazioni per 383 miliardi nel 2013 (51 verso i Paesi Bassi, 28 verso l’Italia e 27 verso la Germania), ed esportazioni verso la Russia per 231 miliardi (dalla Cina 38, dalla Germania 27, dagli USA 12 e dall’Italia 10 miliardi).
Per dare un’idea le esportazioni italiane nel 2012 erano complessivamente 390 miliardi con la Germania come primo nostro mercato di sbocco (12,5% delle esportazioni) e la Russia appunto al 2,6%. Mentre quelle della Germania sono verso la Francia (9%), Olanda, Inghilterra, Italia ed Austria per ca. il 6% ciascuna e Svizzera, Belgio, Polonia al 4%. La Russia è ca. al 3%.

Ma le paure sono anche politiche: gli stati europei ex sovietici temono il nazionalismo di ritorno all’opera in Ucraina, ma temono anche la Russia ed il suo imperialismo.


Però a me pare ci sia anche un’altra dimensione da considerare: se il progetto europeo era figlio della paura del nemico esterno (di due nemici esterni, uno geograficamente tale, l’Unione Sovietica, ed un altro esterno alla civiltà occidentale, lo spirito tedesco), questa crisi può diventare “punto cruciale” in un modo inatteso.
La crisi politica dell’Europa, e la crisi sociale ed identitaria del suo progetto unificante, al quale si è inteso surrogare con il progetto dell’Euro, è “figlia illegittima” della rottura dell’89 (della contemporanea scomparsa di entrambi i nemici, dell’anschluss e del crollo sovietico). Questa mancanza è stata occupata parassitariamente da una volontà. Dal progetto di disciplinare finalmente le forze popolari che spingevano per l’eguaglianza reale di risorse e potere. Di controllare la politica e la democrazia con le armi dell’economia.
Questo progetto si è servito dei Trattati, di Maastricht (molto interessante ascoltare a venti anni di distanza come Mitterrand lo difende), dal Regolamento di Funzionamento (che lo stravolge, riconducendolo a semplice logica matematica e conformità a regole astratte, sottraendolo alla politica) dai successivi Trattati introdotti in occasione della crisi del 2008.

Potrebbe l’improvvisa presa di coscienza che la Storia non è finita, e che le sfide che essa propone sono sempre presenti, ricordare ai litigiosi ed egoisti Stati Europei (ed alle indaffarate élite finanziarie ed industriali) che serve una direzione comune e maggiore coesione sociale, per restare all’altezza dei propri desideri ed ambizioni? Che, forse, invece di fare i bulletti nel cortile di casa, bisognerebbe guardare al Mondo che c’è intorno, e diventare finalmente fratelli?

La prima condizione per esserlo è rispettarsi, dunque dismettere l’arma dell’Unione Monetaria e ripristinare i normali meccanismi di mercato, per ricondurre gli squilibri entro termini accettabili.

Se allora non si può non concordare con Sapir sul fatto che in Ucraina serva una Conferenza Costituzionale, con tutti gli attori in campo, altrettanto urgentemente in Europa serve una Conferenza del Debito (tra l’altro proposta persino da Sinn) ed il ripristino della logica.

Senza questi due atti prevarrà la guerra.


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