Pagine

martedì 15 aprile 2014

Paul Krugman su Piketty, “Perchè siamo in una nuova epoca dorata”. Della fine del talento.


Su New York Review of Books un articolo lungo sull’evento della traduzione del poderoso libro di Piketty in inglese da parte di Paul Krugman. Nella recensione il grande economista americano è generoso nelle sue lodi per il lavoro di Piketty, che è chiamato “magnifico lavoro”, “una rivoluzione nella nostra comprensione delle tendenze a lungo termine della disuguaglianza”, “un libro davvero superbo”, “un libro che cambierà sia il nostro modo di pensare la società sia di fare economia”, “un lavoro impressionante”.
Il rischio che il libro dell’economista francese evidenzia è di diventare una società impermeabile al talento, nella quale la ricchezza ed il successo derivano dalla ricchezza già accumulata e tramandata in dinastie familiari. Un mondo che ritorni ad assomigliare a quello antico, o per restare all’esempio ed alla dimostrazione del libro, alla “belle epoque”.
Per accorgersi di questo bisogna evitare di guardare solo al “pollo di Trilussa”, alle medie su grandi aggregati (il primo 20% contro il restante 80%) e accedere a nuove fonti di dati. Piketty (insieme ad Anthony Atkins a Oxford, e Emmanuel Saez a Berkley) individua tale fonte nelle dichiarazioni dei redditi bilanciate da altre fonti indirette e assunzioni; in questo modo riesce a mostrare che il primo 1% della stratificazione dei redditi nel 1910 (appunto la Belle Epoque) in Europa percepiva il 20% del reddito totale, il restante 9% (a completare il primo decile) un altro 30%. Il 40% sottostante si divideva il 30% e la metà della popolazione inferiore solo il 20%. Questa è la massima ineguaglianza, il primo 10% ha metà del reddito, l’ultimo 50% solo il 20%.
Una simile ineguaglianza ritorna negli USA nel 2010.
 L’Europa, contemporaneamente (2010) ha livelli più bassi di ineguaglianza: il primo 1% ha solo il 10% del reddito, mentre il 9% si divide il 25% (dunque il primo 10% ha il 35% del reddito), il 50% inferiore dispone del 25% e la “classe media” (il 40% medio-alto) ha il 40% del reddito disponibile totale.
Il livello più basso di ineguaglianza registrato nell’analisi di Piketty è in Scandinavia negli anni settanta (fino agli ottanta): il primo 1% aveva “solo” il 7% del reddito, mentre il 9% superiore un altro 18% (il primo 10% si divide il 25%), la “classe media” il 45% e la metà inferiore della distribuzione sociale il 30%.


Come possono essere successi questi spostamenti? Piketty pone l’accento sul reddito da capitale. Normalmente viene considerato poco interessante, anche perché l’analisi non si focalizza sulla grande ricchezza (il 1% o anche il 0,1%). Se, invece, si compie questa scelta analitica si vede che nella parte alta della distribuzione del reddito (quella che assorbe dal 7 al 20%) è proprio il reddito da capitale che è determinante. E che questa fonte di reddito è il motore della crescita delle ineguaglianze.
Si ha una sorta di progressiva redistribuzione dal reddito da lavoro a quello da capitale. E questo perché il tasso di remunerazione del capitale (“r”) cresce più del tasso di crescita complessivo (“g”) o cala più lentamente se si ha un rallentamento determinato dal progresso tecnologico (che sostituisce lavoro con capitale) o dalla crisi demografica. Quando questo si verifica nella "gara", che Piketty individua come fenomeno centrale, tra accumulazione del capitale e altri fattori di guida della crescita (come crescita della popolazione e progresso tecnologico), vince il capitale. La conseguenza è che “il passato tende a divorare il futuro”.
La ricchezza ereditata guadagna una posizione dominante che nessun talento può scalzare. Per questo, come mostra Piketty, i romanzieri ottocenteschi erano ossessionati dal tema dell’eredità, del buon matrimonio, dell’accesso “in società”. Il “capitalismo patrimoniale”, che abbiamo lasciato con l’ottocento, potrebbe tornare nel nostro futuro.


In questo libro, che Krugman gratifica della qualifica di “impareggiabile profondità”, viene insomma presentata una sorta di “teoria del campo unificato della disuguaglianza” che riesce per la prima volta ad integrare in un solo quadro di senso, coerente logicamente e relazionato ad accurate analisi empiriche, il fenomeno della crescita economica, della distribuzione del reddito tra capitale e lavoro, e la distribuzione delle ricchezza e del reddito tra gli individui.

C’è, però, un problema: negli USA l’elevata ineguaglianza (in particolare nel 0,1%) non deriva ancora sostanzialmente da capitali ereditati (e quindi da reddito da capitale) ma da salari colossali derivanti dalla posizione dominante di alcuni settori (in primis la finanza) e dei loro attori apicali. I “supersalariati” sono responsabili di ca. 1/3 della disuguaglianza. I loro redditi sono saliti del 362% dal 1970, mentre quelli dell’1% “solo” del 165%; questo quando quello di tutti gli altri è rimasto stagnante o in calo. Più che sposare un’ereditiera/o conviene diventare gestori di un “fondo speculativo”, se si vive a New York.
Questa considerazione aprirebbe la vasta polemica sulla fonte di questo strapotere salariale, ma nel medio periodo il punto non cambia: restando tali le politiche fiscali la migliore politica sarà comunque quella di sposare la figlia (o il figlio) del gestore del fondo.

Bene, se non si vuole accedere ad una società ingessata, in cui gli individui volenterosi e di talento, ma senza capitale, siano incoraggiati ad investire in abiti e bei modi, anziché in istruzione tecnica e competenza utile, la proposta di Piketty è di rimettere mano alle nostre politiche fiscali. In particolare al diritto ereditario.

Per fermare la “deriva verso l’oligarchia” servono energiche politiche pubbliche per riaggiustare il tasso di rendimento del capitale dopo le tasse, con quello di crescita economica generale. Un tasso calibrato bene potrebbe gradualmente ripristinare una “classe media” robusta, che vive del suo lavoro, capace di innovazione e di dinamismo.

Ne guadagnerebbe la crescita economica nel lungo periodo e la stabilità sociale.

Ne guadagnerebbe la giustizia.


Nessun commento:

Posta un commento