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venerdì 25 aprile 2014

Pier Carlo Padoan “Un nuovo contratto per l’Europa”


Su La Repubblica una breve recensione del libro “La diversità come ricchezza — Ovvero: a che serve l'Europa”, del Ministro Padoan in cui dichiara la necessità di un <Nuovo contratto per l’Europa>. Un ambizioso nuovo “Patto” tra i paesi del “Nord calvinista” (in questa etichetta onnicomprensiva ed evocativa, anche se storicamente imprecisa, mette evidentemente la Germania ed i suoi alleati, dall’Olanda alla Polonia) e il “Sud cattolico” (qui troviamo Italia, Francia, Spagna e Grecia).

Secondo il recensore, per Padoan si tratta di “scambiare” (è dunque una forma di “patto” di natura commerciale, non identitario o basato sul riconoscimento ed il sostegno, cioè la solidarietà), “il rafforzamento dell’Unione Bancaria con l’allentamento dei vincoli di bilancio” (contenuti in Contratti di Programma). Dunque abbiamo già nella prima frase l’indicazione di uno strano accordo: malgrado la parola ambiziosa di “patto” (e l’ancora più alta caratterizzazione in base all’identità religiosa e culturale più profonda), qui si propone un semplice negozio, uno scambio, tra due poste che a prima vista sono entrambe richieste dal sud. L’Unione Bancaria è il terreno di un aspro scontro tra chi la vorrebbe ampia e rapida, per condividere i rischi di salvataggio bancari, diluendoli su una base più ampia e chi, come la Germania, la vuole rinviare e caricare in prima battuta sui rispettivi paesi, per timore di doverne sopportare il maggior peso. Così andò il primo negoziato di dicembre e così sta andando avanti. L’allentamento del vincolo di bilancio è un’ovvia richiesta dei paesi del sud. In realtà Padoan sta proponendo, e poi diventa chiaro, di sottoporsi volontariamente al meccanismo coercitivo dei Contractual Arrangement (che nessuno vuole, e che è una sorta di neocolonialismo autoritario umiliante per uno Stato Sovrano) in cambio della vera Unione Bancaria dotata di risorse comuni.

Ma andiamo avanti, l’Italia (va beh un poco di ambizione ci vuole) per il Ministro deve “guidare” un processo di cambiamento che porti diverse ed importanti cose: in primo luogo “ricchezza e lavoro” (peccato per l’ordine), quindi “fiducia e solidarietà”. E’ proprio vero che scrive un economista, perché l’ordine di uno scienziato sociale sarebbe stato: “solidarietà”, “fiducia”, “lavoro (e dignità)”, “ricchezza”. Diciamo comunque che la lista va bene.
Il libro sarebbe stato scritto prima di diventare Ministro (ma comunque è pubblicato ora, dunque è condiviso dall’attuale persona) e svilupperebbe un duplice attacco: agli “euro entusiasti” (specie, peraltro, in via di estinzione che andrebbe accuratamente protetta come testimonianza di una strana subcultura un tempo dominante) e agli “euroscettici”. Tra l’altro l’autore, gentilmente, qualifica “miti” entrambi, ma mentre i primi sono solo “falsi”, i secondi sono “folli”. L’attacco sarà quindi anche bifronte ma non equo.
Dopo il richiamo del sogno di unificazione ed armonizzazione nord-sud (che, ad andar bene, potrebbe richiedere secoli, come in ogni esempio noto), Padoan propone un’agenda di otto punti:
1-      Un'unione bancaria forte, che possa contare su un'adeguata messa in comune delle risorse per la soluzione della crisi(…)
2-      Una politica di consolidamento fiscale che vada oltre l'austerità, dove la velocità di riduzione del debito sia ragionevole, e la cui articolazione, in termini di tasse e di spese, sia orientata alla crescita e all'equità sociale.
3-      Una politica di riforme strutturali per migliorare qualità e quantità della crescita, e per accrescere lo stimolo all'innovazione.
4-      Una riallocazione delle risorse del Bilancio Europeo a favore di innovazione e crescita.
5-      Il completamento del mercato interno tramite la liberalizzazione dei servizi.
6-      La creazione di uno spazio dell'innovazione europea che preveda l'introduzione di un brevetto europeo e la messa in rete dei sistemi di ricerca nazionali.
7-      Un accordo commerciale transatlantico, che moltiplicherebbe le spinte alla crescita della produttività.
8-      La creazione di un mercato comune dell'energia (…)

Il meccanismo negoziale immaginato come detto sarebbe basato sullo scambio tra Accordi Contrattuali (pacchetti di riforme imposte in cambio di allentamenti o contribuzioni) con l’Unione Bancaria. Probabilmente questa ultima è considerata dall’economista la chiave di volta per riattivare il fondamentale “anello di trasmissione” della politica monetaria (cioè la capacità di erogare credito da parte delle banche commerciali). Peccato che anche dove non si sono generati i colli di bottiglia caratteristici dell’area Euro, ed al nord (anche se non “calvinista”) questa trasmissione sia inceppata. In effetti probabilmente bisogna sostituirla.

Comunque, malgrado la parsimonia dell’analisi, Padoan termina la sua proposta con la parte che trovo più sconcertante: un simile accordo, o Patto, dovrebbe avvenire sotto tutela di un padrone benevolo (ovvero di una nazione egemone), “più solido e lungimirante”. Gli esempi sono storici: evidentemente immagino l’egemone Napoleone con i suoi riluttanti “alleati” continentali; oppure l’egemone Inghilterra, con i suoi “clienti”, talvolta cannoneggiati; o, ancora, l’egemone e lungimirante America, con i suoi saltuari colpetti nei cortili di casa e le guerricciole periferiche; ma anche, si potrebbe citare, l’egemone Unione Sovietica con gli “alleati” talvolta schiacciati sotto i cingoli del “Patto di Varsavia”.
In assenza di tale fortuna (e purtroppo non avendo più la generosa disponibilità del duo Germania-Francia), resta l’ipotesi che il Patto sia preso tra molti paesi che esercitino una leadership congiunta. Cioè “un gruppo di Paesi tra i quali non può mancare l'Italia, uno dei soci fondatori della Comunità economica europea, creata nel 1957 e sciolta nel 1993 per dar vita all'attuale Unione Europea”. Ma, di nuovo la Storia, mostrerebbe che un accordo multipolare è possibile solo in forma solidaristica e cooperativa, cioè se permane: “la volontà di condividere un progetto comune di lungo periodo, la disponibilità di tutti ad adattare le proprie priorità per lavorare all'obiettivo comune, la disponibilità di tutti a mantenere sempre aperto il dialogo reciproco”.
In effetti questo è l’auspicio di Beck e di Habermas, ma richiederebbe esattamente l’ordine delle priorità invertito (“solidarietà”, per cui “fiducia”, “lavoro e dignità” quindi “ricchezza”). Forse l’economista non se ne avviene, accecato dalle sue deformazioni professionali, ma è tutto un altro mondo. Bisogna rovesciare il tavolo dell’economicismo egoista e rimettere democrazia e politica al centro della scena.

Forse “non è impossibile che ciò accada in Europa”, ma certo bisogna farne di strada.

Una strada che potrebbe partire dall’Agenda (cioè dalla sua critica e ridefinizione); quindi riguardiamola:
1-      Un'unione bancaria forte, che possa contare su un'adeguata messa in comune delle risorse per la soluzione della crisi (…) è un tema giusto ed importante, ma prima di questo, o insieme, occorre ridefinire in profondità la missione pubblica del sistema bancario privato e pubblico. Il monopolio nella creazione e distribuzione della ricchezza-denaro è un compito di grandissima responsabilità e immenso potere, è indispensabile riportarlo sotto controllo democratico.
2-      Una politica di consolidamento fiscale che vada oltre l'austerità, dove la velocità di riduzione del debito sia ragionevole, e la cui articolazione, in termini di tasse e di spese, sia orientata alla crescita e all'equità sociale. E’ un obiettivo giusto, ma l’enfasi sul debito è ancora eccessiva, ciò che bisogna ottenere è che il debito sia sotto controllo, non necessariamente che sia ridotto. Diventa più importante definire meccanismi d’indipendenza dai mercati e di protezione dagli eccessi speculativi che non ridurre quantitativamente il numeratore di un rapporto che non ha necessariamente un significato.
3-      Una politica di riforme strutturali per migliorare qualità e quantità della crescita, e per accrescere lo stimolo all'innovazione, si tratta di una necessità, ma l’ordine delle priorità è sbagliato ed economicista; le riforme più urgenti sono quelle per aumentare la solidarietà e la coesione sociale, la fiducia reciproca e nel futuro. Senza questa infrastruttura non può esserci crescita umana, sociale e neppure economica. Sarebbe il caso, su questo punto, per il Ministro se chiedesse un’udienza in Vaticano. Oppure, laicamente, si soffermasse a riflettere sui fini.
4-      Una riallocazione delle risorse del Bilancio Europeo a favore di innovazione e crescita. Anche qui le risorse del Bilancio vanno certamente riallocate, ma in favore di coesione, efficienza (anche energetica), innovazione e crescita umana e sociale come risultato delle precedenti.
5-      Il completamento del mercato interno tramite la liberalizzazione dei servizi. Questo obiettivo è complesso e ampiamente discutibile. I servizi vanno resi inclusivi, universali ed efficienti. Non necessariamente privati. Stupisce che un economista con tradizioni di sinistra non comprenda la dinamica dei beni comuni. In ogni caso questo è un tema politico sul quale l’espressione deve essere lasciata all’azione dei Parlamenti entro il dibattito pubblico. Non è una questione principalmente economica e meno che mai tecnica (anche se ha ovvie, e numerose implicazioni tecniche che vanno discusse).
6-      La creazione di uno spazio dell'innovazione europea che preveda l'introduzione di un brevetto europeo e la messa in rete dei sistemi di ricerca nazionali. Questo punto sembra di minore generalità dei precedenti, ma comunque ha la sua notevole importanza, anche e non solo per l’assoluta rilevanza del tema dei diritti intellettuali nel determinare distribuzioni ed ineguaglianze.
7-      Un accordo commerciale transatlantico, che moltiplicherebbe le spinte alla crescita della produttività. Questa questione è altamente controversa. Non è scontato che porterebbe vantaggi alla produttività e potrebbe farlo a danno della protezione dell’ambiente e della diversità. Le ritrosie della Germania sul punto sembrano ben fondate.
8-      La creazione di un mercato comune dell'energia (…) Il mercato comune sull’energia è un obiettivo vecchio, sempre riproposto ma è un obiettivo di settore, anche qui la generalità minore non si spiega.

In definitiva, soprattutto se l’accordo non deve nascere dalla sottomissione ad una potenza egemone, ma dalla cooperazione tra alleati solidali, bisogna rimettere per prima cosa sulle sue gambe il discorso. Non “ricchezza e lavoro”, quindi “fiducia e solidarietà”, ma “solidarietà” (tra popoli ed entro le nazioni), “fiducia” (nel futuro e reciproca), “lavoro e dignità”, quindi “ricchezza e crescita umana e sociale”.
Questi obiettivi, potrebbero essere articolati politicamente, e sulla spinta di una rinnovata e vitale democrazia rimuovere i vincoli che impediscono una vera unione solidale.

Ma allora “l’Agenda” dovrebbe più essere:
A-    riformare l’Unione, promuovendo un vero Welfare Europeo universalista, e la solidarietà tra i popoli, tramite politiche comuni verso l’accoglienza, la circolazione, i diritti comuni, l’istruzione europea, una fiscalità armonizzata;
B-    riformare il mercato del lavoro, e l’economia produttiva, garantendo salari minimi europei adeguati e dignitosi, procedure di sostegno ed indirizzo per gli inoccupati. Politiche volte a riequilibrare i rapporti di forza in direzione di una maggiore dignità e garanzia a chi lavora e produce;
C-    ripensare la trasmissione finanziaria ed il ruolo del sistema bancario nel contesto di una economia giusta e solidale;
D-    ridefinire, anche tramite una Conferenza sul Debito Europea, il modello di gestione del debito pubblico e privato, modificando in profondità la missione della BCE e dello stesso sistema creditizio;
E-     riportare alla sfera di discussione e della determinazione democratica, nelle sedi appropriate, i temi comuni, surrettiziamente fatti propri negli anni dalla tecnocrazia europea, come quello dei “beni comuni” (e quindi dei servizi locali) su cui più volte si sono espressi i cittadini;
F-     riportare ad una regolazione condivisa e secondo regole comuni, i particolari settori di interscambio come la ricerca (che deve essere pubblica e comune, con un’accurata e prudente regolazione dell’istituto del brevetto), l’energia (che deve essere libera, distribuita, efficiente e quanto più possibile legata al modello dei prosumers e degli aggregatori);
G-    ricondurre l’accordo TTIP ad una sfera di assoluta trasparenza e discussione democratica, sottraendolo alle pressioni delle lobbies ed alle tentazioni imperiali;
H-    ripensare il bilancio Europeo, rafforzandolo, sulla base di tali priorità.


Questa “Agenda”, od una simile, avrebbe sufficiente ambizione da sfuggire alla critica che Munchau fa sul suo blog, riportato in Voci dall’Estero di proporre tanti punti per predisporsi al solito compromesso al ribasso, accondiscendente di fatto ai desideri della egemone Germania.


Sinceramente il momento chiede molto più coraggio, e discontinuità

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