Sul suo blog
Paul Krugman dice espressamente, e senza perifrasi, quel che sostanzialmente
penso anche io sia il punto centrale: il conflitto centrale nella lotta per
rendere più equo e sostenibile (ma anche meno rischioso) il nostro sistema
economico è tra chi trae il suo sostentamento e reddito dallo sfruttamento del
capitale accumulato e chi dal suo lavoro. Lo dice attraverso il caso,
illuminante, dell’inflazione (quindi
della politica monetaria). L’inflazione, ci dicono sempre, è una cosa molto
brutta, una tassa occulta, che colpisce tutti e soprattutto i più deboli, … Milton
Friedman ne aveva fatto uno dei suoi cavalli di battaglia, in “Liberi
di scegliere” portava l’esempio di una strada fatta dallo Stato (per
dimostrare che l’inflazione è una tassa), e concludeva che colpisce tutti. Le
cose non stanno così: l’inflazione
colpisce soprattutto i capitali. E quindi chi trae il suo reddito da essi, mentre
chi lavora (o impiega i suoi capitali per determinare nuove produzioni, di beni
o servizi valorizzabili, tramite il lavoro) in effetti trasforma denaro in
prodotti e questi in nuovo denaro, adeguandosi progressivamente all’inflazione
(almeno entro certi limiti), chi trae reddito dal rendimento finanziario di
grandi capitali rischia di vederli erosi e li deve continuamente movimentare
(subendo costi) solo per conservarli. Questa è, per inciso, una delle ragioni
più forti (anche secondo lo stesso Krugman) per volere più inflazione;
combattere il credit crunch verso gli impieghi produttivi (si tratta di una
tendenza dell’intero sistema economico occidentale, non solo italiana).
E’ piuttosto
semplice, e quando una cosa lo è c’è sempre il sospetto che ci sfugga qualcosa.
Per questo mi piace questo breve articolo di Paul Krugman, perché nessuno può
dire che l’autore non capisca di economia, e la mette molto chiara e semplice;
con le sue stesse parole: “Qual'è allora il punto? Lasciatemi pur dire
che, di fondo, questa è una questione di
classe. La politica monetaria non è neutrale dal punto di vista tecnico e
politico; una certa inflazione può essere positiva per l’occupazione,
specialmente in presenza di una situazione di rientro da un debito eccessivo,
ma è negativa per lo 0,1% più ricco della popolazione. E questo fatto finisce
per esercitare un’enorme influenza sulla discussione”.
In genere, tutte
le volte che si parla di inflazione, qualcuno avanza l’esempio (assolutamente
mal compreso) della Repubblica di Weimar e/o degli anni settanta. Un giorno o
l’altro facciamo una piccola ricerca sulla storia economica della Repubblica di
Weimar e l’affermazione del nazismo, ma Krugman fa la domanda giusta sull’altro
punto: perché gli anni settanta sono un
periodo così brutto? I dati dicono che per le famiglie (americane) i
periodi brutti sono stati quelli delle recessioni. I redditi salgono (da 52.000 a 56.000 $, quasi
del 10%) dal 1975 al 1979; poi scendono dal 79 al 83 (gli anni di Reagan) per
poi risalire dal 1983 (ultimo dell’Amministrazione repubblicana)
ininterrottamente fino al 1989 (passano da 52.000 a 60.000 $), poi
scendono per due anni per risalire initerrottamente fino al 2001. Da lì
scendono solo, restando su una specie di altopiano (magari non così alto).
Allora, si
chiede Krugman, cosa succede qui? La politica monetaria non è davvero una
questione di tecnica politicamente neutrale; ma una questione di distribuzione,
di vincere e perdere, di arricchire ed impoverire. Il discorso tecnico
sull’economia è intriso di interessi e di potere; ascoltarlo senza cercare di
vederli (sempre) significa esporsi ad essere manipolati.
Dunque torniamo
agli anni settanta, abbiamo detto che sono stati pessimi per alcuni; per chi? Esattamente per i proprietari di
attività finanziarie.
L’ipotesi
di Krugman è che queste persone si sono arricchite sempre di più, man mano che
calava la “repressione finanziaria” (cioè si riducevano le tasse ai ricchi e
l’inflazione).
In
definitiva, per Krugman, è presente un reale conflitto distributivo, “tra ciò che è buono per oligarchi e ciò che
è buono per l'economia”. Questo conflitto distorce il dibattito, impedendo
che posizioni ragionevoli emergano.
Nessun commento:
Posta un commento