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domenica 13 aprile 2014

Paul Krugman, “Oligarchia e politica monetaria”

  
Sul suo blog Paul Krugman dice espressamente, e senza perifrasi, quel che sostanzialmente penso anche io sia il punto centrale: il conflitto centrale nella lotta per rendere più equo e sostenibile (ma anche meno rischioso) il nostro sistema economico è tra chi trae il suo sostentamento e reddito dallo sfruttamento del capitale accumulato e chi dal suo lavoro. Lo dice attraverso il caso, illuminante, dell’inflazione (quindi della politica monetaria). L’inflazione, ci dicono sempre, è una cosa molto brutta, una tassa occulta, che colpisce tutti e soprattutto i più deboli, … Milton Friedman ne aveva fatto uno dei suoi cavalli di battaglia, in “Liberi di scegliere” portava l’esempio di una strada fatta dallo Stato (per dimostrare che l’inflazione è una tassa), e concludeva che colpisce tutti. Le cose non stanno così: l’inflazione colpisce soprattutto i capitali. E quindi chi trae il suo reddito da essi, mentre chi lavora (o impiega i suoi capitali per determinare nuove produzioni, di beni o servizi valorizzabili, tramite il lavoro) in effetti trasforma denaro in prodotti e questi in nuovo denaro, adeguandosi progressivamente all’inflazione (almeno entro certi limiti), chi trae reddito dal rendimento finanziario di grandi capitali rischia di vederli erosi e li deve continuamente movimentare (subendo costi) solo per conservarli. Questa è, per inciso, una delle ragioni più forti (anche secondo lo stesso Krugman) per volere più inflazione; combattere il credit crunch verso gli impieghi produttivi (si tratta di una tendenza dell’intero sistema economico occidentale, non solo italiana).

E’ piuttosto semplice, e quando una cosa lo è c’è sempre il sospetto che ci sfugga qualcosa. Per questo mi piace questo breve articolo di Paul Krugman, perché nessuno può dire che l’autore non capisca di economia, e la mette molto chiara e semplice; con le sue stesse parole: “Qual'è allora il  punto? Lasciatemi pur dire che, di fondo, questa è una questione di classe. La politica monetaria non è neutrale dal punto di vista tecnico e politico; una certa inflazione può essere positiva per l’occupazione, specialmente in presenza di una situazione di rientro da un debito eccessivo, ma è negativa per lo 0,1% più ricco della popolazione. E questo fatto finisce per esercitare un’enorme influenza sulla discussione”.
In genere, tutte le volte che si parla di inflazione, qualcuno avanza l’esempio (assolutamente mal compreso) della Repubblica di Weimar e/o degli anni settanta. Un giorno o l’altro facciamo una piccola ricerca sulla storia economica della Repubblica di Weimar e l’affermazione del nazismo, ma Krugman fa la domanda giusta sull’altro punto: perché gli anni settanta sono un periodo così brutto? I dati dicono che per le famiglie (americane) i periodi brutti sono stati quelli delle recessioni. I redditi salgono (da 52.000 a 56.000 $, quasi del 10%) dal 1975 al 1979; poi scendono dal 79 al 83 (gli anni di Reagan) per poi risalire dal 1983 (ultimo dell’Amministrazione repubblicana) ininterrottamente fino al 1989 (passano da 52.000 a 60.000 $), poi scendono per due anni per risalire initerrottamente fino al 2001. Da lì scendono solo, restando su una specie di altopiano (magari non così alto).


 Secondo le parole di Krugman: “certamente non è stato un periodo molto buono, ma i tempi davvero duri per le normali famiglie dei lavoratori sono state le grandi recessioni, che hanno avuto luogo sotto Reagan, e in qualche misura sotto il primo Bush, e soprattutto dopo la crisi finanziaria [del 2008]”. In effetti, quando anche (o persino) il World Economic Outlook del FMI, sia pure con un eufemismo, incoraggia a considerare un obiettivo d’inflazione sopra il 2%, e gli stessi economisti alfieri dei conservatori, Rogoff e Reinhart, in un importante paper del FMI hanno sostenuto che la modalità normale e più corretta per gestire il debito è la “repressione finanziaria” (cioè tassi bassi mentre sale l’inflazione), allora continuare a sostenere che l’inflazione è il nemico diventa sospetto di copertura di interessi. Il punto è che quelle sollecitate sono politiche espansive che fanno molto bene alla maggior parte delle persone ma male ad altre; secondo l’esempio di Krugman, dopo la prima guerra mondiale fu adottata l’ortodossa politica di austerità e dopo la seconda quella di repressione finanziaria. Sono andati meglio gli anni trenta o gli anni cinquanta?

Allora, si chiede Krugman, cosa succede qui? La politica monetaria non è davvero una questione di tecnica politicamente neutrale; ma una questione di distribuzione, di vincere e perdere, di arricchire ed impoverire. Il discorso tecnico sull’economia è intriso di interessi e di potere; ascoltarlo senza cercare di vederli (sempre) significa esporsi ad essere manipolati.
Dunque torniamo agli anni settanta, abbiamo detto che sono stati pessimi per alcuni; per chi? Esattamente per i proprietari di attività finanziarie. Naturalmente sappiamo che le attività finanziarie non stanno a cuore all’operaio della Fiat, o alla casalinga di Voghera (o almeno le vedono solo in televisione), mentre essi dipendono invece dal reddito da lavoro. Ma è la parte più alta della stratificazione sociale che dipende da esse; lo 0,1% trattiene il 4% del totale dei salari (quindi 40 volte più del suo numero), ma il 20% della ricchezza totale del paese (200 volte la sua numerosità). Sicuramente ancora più attività finanziarie. E questa minuscola èlite (in Italia 50.000 persone) aveva solo il 10% della ricchezza in tutti gli anni di crescita sostenuta (dal dopoguerra al 78) mentre, dall’avvio delle politiche liberiste (che in America datano ca. 1980) sale sempre, raddoppiando.


L’ipotesi di Krugman è che queste persone si sono arricchite sempre di più, man mano che calava la “repressione finanziaria” (cioè si riducevano le tasse ai ricchi e l’inflazione).

In definitiva, per Krugman, è presente un reale conflitto distributivo, “tra ciò che è buono per oligarchi e ciò che è buono per l'economia”. Questo conflitto distorce il dibattito, impedendo che posizioni ragionevoli emergano. 

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