Pagine

mercoledì 9 aprile 2014

Paul Krugman, sulla stagnazione secolare

  
Un interessante post di Paul Krugman, ritorna sul tema (sul quale, a dire il vero, torna continuamente) della ipotesi della “stagnazione secolare”. Cioè della tendenza delle economie a restare in una condizione di crescita nulla o molto bassa (stagnante) in modo permanente o quasi. Questa ipotesi, ci ricorda, fu avanzata la prima volta da Alvin Hansen, nel 1938 alla American Economic Association (sintesi di Tim Taylor qui). 

Essenzialmente la causa addotta era il rallentamento della crescita della popolazione (ovviamente una crescita della popolazione induce crescita economica per semplice espansione degli occupati e relative attività) e del progresso tecnologico. Il meccanismo ipotizzato è che questi rallentamenti indurrebbero una domanda di nuovi investimenti calante che neppure denaro molto facile (cioè tassi molto bassi) riuscirebbe a compensare.
Dunque, in questa ipotesi, non ci sarebbe da temere il progresso tecnologico (in quanto distruttore di posti di lavoro, a causa delle tecnologie labor saving) ma la sua insufficienza.
Al tempo di Hansen ciò, come ricorda Krugman, non è successo perché c’è stato il baby boom del dopoguerra e il salto tecnologico (forse indotto dai colossali investimenti in ricerca e sviluppo, oltre che in organizzazione produttiva, militari). Tuttavia il Giappone è un buon caso, abbiamo la stagnazione della popolazione, una innovazione tecnologica che dopo il 1990 rallenta e sicuramente la stagnazione.

Il problema che rende queste vecchie controversie attuali è che ora sembra che la sindrome si affacci alle nostre economie occidentali avanzate. A questo punto l’oggetto del post di Krugman: la presentazione del paper di Eggertsson e Mehrotra che il nobel americano giudica “eccellente” e che mostra come questo può accadere. Gli autori rimuovono, nel loro modello, l’ipotesi di agenti rappresentativi eterni (ogni modello introduce semplificazioni per poter padroneggiare l’infinita complessità del sistema sociale ed economico) ottenendo risultati diversi da quelli dello stesso Krugman nel suo pezzo originale del Giappone. In esso era modella la trappola della liquidità con agenti eterni. Questa semplificazione fu seguita da tutta la letteratura (“percorso di minor resistenza matematica”), ma impedisce di registrare l’effetto della stagnazione. Eggertsson e Mehrotra, mostrano che sotto questa ipotesi una trappola della liquidità può essere solo un fenomeno temporaneo guidato da uno shock temporaneo. 

Si tratta di una ipotesi ovviamente irrealistica, ma dato che era ciò che i politici volevano sentire non è mai stata rimossa. Chi voleva ascoltare questa parola rassicurante ha smesso di ascoltare un attimo dopo averla sentita (è successo lo stesso con le ipotesi del 60% di Rogoff o con l’ipotesi dell’Austerità espansiva di Giavazzi).

Il paper, però, mostra in modo meno confortante che se ci sono generazioni sovrapposte (cioè, diciamo nel mondo reale) si può effettivamente avere stagnazione secolare. 


In questo caso è necessario, per Eggertsson e Mehrotra, essere coraggiosi: l’obiettivo di inflazione può fornire l’energia necessaria per venire fuori della stagnazione (probabilmente inducendo gli investimenti) ma deve essere audace. Fermarsi al 2%, quando è necessario almeno il 4% non produce la metà dell’effetto, non ne produce affatto. Si tratta di quello che Krugman chiama trappola timidezza

Nessun commento:

Posta un commento