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lunedì 7 aprile 2014

Tito Boeri, “Quanto costa uscire dall’Euro”


Dispiace che la causa di chi intenda continuare e conservare le attuali politiche economiche resti affidata ad argomenti così frettolosi, approssimativi e mal argomentati come quelli proposti da Tito Boeri su La Repubblica di oggi. Varrebbe alla qualità della discussione pubblica che finalmente si sta accendendo sulle politiche economiche necessarie per affrontare la crisi più grave del secolo, proporre argomenti più solidi.


Il nostro economista si propone di confutare tre argomenti “sconclusionati” che, a suo dire, sono proposti dai “no-euro” nostrani. Si tratta dell’idea che fuori dall’Euro si pagherebbero meno tasse, che il debito potrebbe essere monetizzato e che potrebbero essere avviate politiche espansive.
La sua confutazione procede dalla prima alla terza, trattandole comodamente in modo separato.
Per Boeri uscendo in modo unilaterale dall’Euro il debito pubblico “potrebbe solo aumentare”, per la buona ragione che i prestiti contratti dallo Stato Italiano sui mercati internazionali aumenterebbe in proporzione alla svalutazione della lira, d’altra parte i Titoli di Stato sarebbero ridenominati (lex monetae) e ciò porterebbe a ingenti perdite agli investitori stranieri. Bene, a questo punto la conclusione di Boeri: ovviamente ciò porterebbe alla chiusura per “un lungo periodo” dei mercati al nostro paese. Dunque per rinnovare i Titoli in scadenza sarebbe necessario pagare interessi molto alti (suppongo ai risparmiatori nazionali) e questo andrebbe finanziato con nuove tasse.
Collateralmente confuta anche l’ipotesi di Grillo di “consolidare” il debito non pagando più gli interessi (o congelando i Titoli). Questa sarebbe effettivamente una robusta patrimoniale a carico di banche (per lo più) e di risparmiatori grandi e piccoli. Boeri, naturalmente, per captare la benevolenza del lettore parla solo dei piccoli, la tassa potrebbe secondo i suoi “calcoli” arrivare “all’80% dei risparmi di una famiglia italiana”.

Il secondo argomento viene attaccato con il vecchio cavallo di battaglia di Milton Friedman: la monetizzazione del debito genera inflazione. Dunque (utilizzando l’improvvido esempio dei miniassegni degli anni ottanta) l’ex consulente del FMI teme una “inflazione a due cifre”, che certo ridurrebbe i debiti ma a danno dei creditori. Dunque imponendo la famigerata “tassa inflazione”.

Il terzo argomento viene aggredito con l’altro classico cavallo di battaglia della destra economica: la spesa pubblica è spreco ed inefficienza, avviare politiche espansive significa solo lasciare “i politici liberi di spendere e spandere” e dunque di “accordarsi lauti compensi”.

La conclusione è che “ci saranno dunque maggiori tasse in caso di uscita dall’Euro”.


Ora, io penso che l’uscita dall’Euro comporterebbe un complessivo riassetto della nostra economia nell’arco di alcuni anni, e che sia effettivamente ed obiettivamente difficile prevedere ogni possibile traiettoria (occorrerebbe un completo modello econometrico, ma ben fatto non come quelli della BCE, o come i vecchi del FMI che non prevedevano l’effetto della finanza); tuttavia alcune cose si possono dire dei sommari argomenti del nostro famoso economista:
1.      Discutere del primo “argomento” (o macchietta di argomento) senza collegarlo al secondo è voler vincere facile. Difficilmente qualcuno può pensare di uscire (soprattutto se, come immagina Boeri, avviene per un “fiat” e senza concordare le modalità) senza ridefinire il mandato della Banca Centrale Sovrana. Vorrebbe dire andare alla guerra con le mani legate dietro la schiena e gli occhi bendati. Allora meglio restare davanti all’attuale plotone di esecuzione, almeno si fa meno fatica.
2.      Passando un attimo al secondo, allora, l’idea che in ogni e qualsiasi condizione la generazione di moneta fiduciaria generi inflazione è un’idea rudimentale, contraddetta assolutamente dai fatti più recenti (come Krugman non si stanca di ricordare quasi ogni settimana sul suo blog), e persino ormai messa in dubbio dagli economisti più di destra. In sostanza con questa idea Boeri si allinea al Tea Party. Buona compagnia.
Più seriamente, l’inflazione potrebbe alzarsi (e sarebbe una benedizione in queste condizioni) solo se l’impiego dei fattori produttivi dovesse essere sopravanzato dalla domanda, cioè solo quando tutti saranno tornati al lavoro e gli stabilimenti riaperti. Bene, a quel punto avremo il problema di raffreddarla. Dio voglia.
Allora, eliminata la paura che condivide con la parte più arretrata del Partito Repubblicano americano, il primo argomento si sgonfia come un sufflè. Nessun incremento dei tassi per rinnovare il debito interno (fare altro debito, dato che siamo in avanzo primario non è necessario), la Banca Centrale farebbe il suo lavoro. Comprando i titoli non venduti, come ha sempre fatto nella storia repubblicana e monarchica fino alla decisione di separarla, presa unilateralmente da Ciampi e Andreatta, in ossequio a teorie economiche liberiste motivate in effetti dal terzo argomento di Boeri.
Ma restiamo un attimo sul secondo, perché c’è una cosa interessante che mostra lo spirito propagandista del “pezzo”: secondo il prof. Boeri la tassa patrimoniale derivante dall’ipotetico (e non necessario) consolidamento del debito colpirebbe “fino all’80% dei risparmi di una famiglia italiana”. Occorre fare qualche ragionamento: intanto letteralmente l’autore parla di “non rimborsare” i titoli in scadenza, letteralmente significherebbe annullarli. Ma questo porterebbe ad azzerare l’intero debito, un trasferimento di ricchezza da 2.000 miliardi che sottrarrebbe di colpo poco oltre il 20% del patrimonio (stimato dalla Banca d’Italia in 8.500 miliardi) agli italiani. Per la precisione ai primi due-tre decili (che ne posseggono quasi la totalità). Se, invece, come è ovvio si parla solo di allungare le scadenze e sterilizzare i rendimenti (riducendoli o annullandoli), la perdita potrebbe essere solo del reddito e non sul patrimonio. Credo che il professore conosca la differenza, dunque “i risparmi” resterebbero intoccati, ma sarebbero congelati e il reddito derivante sarebbe ridotto. Certamente è l’equivalente di una tassa, esattamente di una tassa sui redditi finanziari, ma il suo impatto (a meno di avere una famiglia che ha molti milioni di euro di Titoli di Stato) sarebbe significativo ma non devastante. Per inciso, la maggior parte del patrimonio delle famiglie italiane è detenuto in immobili, resta difficile capire come si possa –anche nell’ipotesi implausibile di confisca- perdere l’80% del patrimonio con un’azione su 2.000 miliardi di debito quando il patrimonio complessivo è di 8.500 miliardi (dati Banca d’Italia) di cui il 40% attività finanziarie. Tra l’altro solo il 5% dei patrimoni in attività finanziarie (170 miliardi) è direttamente in Titoli di Stato, il 42% (1.420 miliardi) in Fondi Comuni, cioè investimenti tramite banche in portafogli diversificati che certo comprendono anche Titoli di Stato. Argomentare in questo modo non è discutere, è fare propaganda.
3.      Ma veniamo al terzo, perché è l’argomento principe. Il vero obiettivo di tutte le politiche di austerità che sono portate avanti da decenni, e che evidentemente l’autore condivide: la politica è spendacciona (perché segue e “compra” il consenso) e va tenuta a stecchetto. Il “giogo dell’austerità tedesca” (l’”Europa che lo chiede”) è sana, perché impedisce di sprecare soldi. Sono i politici, con le loro spese pazze, che hanno creato il debito pubblico italiano e che se lasciati liberi di spendere lo farebbero esplodere di nuovo. Molto meglio sottostare alla dittatura (benevola) dei mercati, alla loro disciplina.
Io sono sempre indeciso sul punto da cui cominciare, quando incontro questo argomento: dalla fine, la dittatura per me è sempre inaccettabile, la benevolenza è una favola per bambini che non dovremmo mai farci raccontare. I “mercati” sono benevoli solo con se stessi, ciò che in effetti è successo in questi ultimi trenta anni è che i mercati finanziari si sono gonfiati di dividendi e rendite catturate dalle tasse della parte inferiore della piramide sociale. Ciò che è successo è che chi detiene un capitale (cioè è un “risparmiatore”) ha ampliato la sua rendita (che negli anni settanta era negativa, costringendolo ad investirla in attività produttive) facendosela pagare da chi lavorava. La disciplina dei mercati è questo tipo di meccanismo: devi chiedere i soldi solo a me, perché devi restare dipendente da me, in modo da impegnare ogni risorsa per ripagare il debito ed aumentare il mio saggio di profitto; non fa niente se questo sottrae risorse agli investimenti ed alla produzione, oppure alla domanda.
Buona parte della retorica nei confronti dei vergognosi (talvolta) politici, deriva da questa idea pelosa, invece di spendere i soldi derivanti dalle tasse per opere pubbliche, infrastrutture e servizi, sotto il controllo degli organi democratici, bisogna ridurli. Lasciare che lo Stato di asciughi e che il mercato sia libero. Libero di allocare le risorse dove sono più efficienti, di premiare i bravi e lasciare a se stessi gli incapaci. Libero di creare una società di vincenti.

La mia opposizione a questa idea è prepolitica e prerazionale. Io voglio una società che non lascia indietro, che aiuta a sollevare e non schiaccia, che sia amica e non patrigna. Ciò non significa che non bisogna combattere democraticamente, come abbiamo sempre fatto, il clientelismo, gli sprechi, la corruzione, le politiche sbagliate ed inefficienti. Ciò non significa che la pressione fiscale non vada ridotta ai ceti più bassi (ed alzata ai più alti). Ciò non significa che non dobbiamo sforzarci di migliorare la produttività (che dipende da molti fattori).

Ma l’austerità, la disciplina dei mercati, è parte del problema, non della soluzione.


3 commenti:

  1. A questo punto la spiegazione è una sola: malafede. Noto che gli euroTeisti si affannano ad illustrare in termini apocalittici ciò che succederebbe se uscissimo dall'euro, ma nessuno si prende il disturbo di spiegare quali sono i vantaggi a restarvi. Eppure questo sarebbe il minimo che onestà intellettuale vorrebbe, stante una crisi disastrosa che dura da cinque anni e che non accenna a finire.
    Come se ti venissero a spiegare che se tagli la corda che ti regge rischi di cadere e romperti una gamba, trascurando il fatto che quella corda ti sta strozzando.

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  3. Il vero problema che non si articola è CHI si sta strozzando e CHI si rompe la gamba. Perchè non sono la stessa persona. Il tema è che i discorsi economici sono in realtà discorsi sul potere.

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