Dispiace che la
causa di chi intenda continuare e conservare le attuali politiche economiche
resti affidata ad argomenti così frettolosi, approssimativi e mal argomentati
come quelli proposti
da Tito Boeri su La Repubblica di
oggi. Varrebbe alla qualità della discussione pubblica che finalmente si sta
accendendo sulle politiche economiche necessarie per affrontare la crisi più
grave del secolo, proporre argomenti più solidi.
Il nostro
economista si propone di confutare tre argomenti “sconclusionati” che, a suo
dire, sono proposti dai “no-euro” nostrani. Si tratta dell’idea che fuori
dall’Euro si pagherebbero meno tasse,
che il debito potrebbe essere monetizzato
e che potrebbero essere avviate politiche
espansive.
La sua
confutazione procede dalla prima alla
terza, trattandole comodamente in modo separato.
Per Boeri
uscendo in modo unilaterale dall’Euro il debito pubblico “potrebbe solo
aumentare”, per la buona ragione che i prestiti contratti dallo Stato Italiano
sui mercati internazionali aumenterebbe in proporzione alla svalutazione della
lira, d’altra parte i Titoli di Stato sarebbero ridenominati (lex monetae) e
ciò porterebbe a ingenti perdite agli investitori stranieri. Bene, a questo
punto la conclusione di Boeri: ovviamente ciò porterebbe alla chiusura per “un
lungo periodo” dei mercati al nostro paese. Dunque per rinnovare i Titoli in
scadenza sarebbe necessario pagare interessi molto alti (suppongo ai
risparmiatori nazionali) e questo andrebbe finanziato con nuove tasse.
Collateralmente
confuta anche l’ipotesi di Grillo di “consolidare” il debito non pagando più
gli interessi (o congelando i Titoli). Questa sarebbe effettivamente una
robusta patrimoniale a carico di banche (per lo più) e di risparmiatori grandi
e piccoli. Boeri, naturalmente, per captare la benevolenza del lettore parla
solo dei piccoli, la tassa potrebbe secondo i suoi “calcoli” arrivare “all’80%
dei risparmi di una famiglia italiana”.
Il secondo argomento viene attaccato con il vecchio cavallo di battaglia
di Milton
Friedman: la monetizzazione del debito genera inflazione. Dunque
(utilizzando l’improvvido esempio dei miniassegni degli anni ottanta) l’ex
consulente del FMI teme una “inflazione a due cifre”, che certo ridurrebbe i
debiti ma a danno dei creditori. Dunque imponendo la famigerata “tassa
inflazione”.
Il terzo
argomento viene aggredito con l’altro classico cavallo di battaglia della
destra economica: la spesa pubblica è spreco ed inefficienza, avviare politiche
espansive significa solo lasciare “i politici liberi di spendere e spandere” e
dunque di “accordarsi lauti compensi”.
La conclusione è
che “ci saranno dunque maggiori tasse in caso di uscita dall’Euro”.
Ora, io penso
che l’uscita dall’Euro comporterebbe un complessivo riassetto della nostra
economia nell’arco di alcuni anni, e che sia effettivamente ed obiettivamente
difficile prevedere ogni possibile traiettoria (occorrerebbe un completo
modello econometrico, ma ben fatto non come quelli
della BCE, o come i vecchi del FMI che non prevedevano l’effetto della finanza);
tuttavia alcune cose si possono dire dei sommari argomenti del nostro famoso
economista:
1. Discutere del primo “argomento” (o macchietta di
argomento) senza collegarlo al secondo è voler vincere facile. Difficilmente
qualcuno può pensare di uscire (soprattutto se, come immagina Boeri, avviene
per un “fiat” e senza concordare le modalità) senza ridefinire il mandato della
Banca Centrale Sovrana. Vorrebbe dire andare alla guerra con le mani legate
dietro la schiena e gli occhi bendati. Allora meglio restare davanti
all’attuale plotone di esecuzione, almeno si fa meno fatica.
2. Passando un attimo al secondo, allora, l’idea che in
ogni e qualsiasi condizione la generazione di moneta fiduciaria generi
inflazione è un’idea rudimentale, contraddetta assolutamente dai fatti più
recenti (come Krugman non si stanca di ricordare quasi ogni settimana sul suo
blog), e persino ormai messa in dubbio dagli economisti più di destra. In
sostanza con questa idea Boeri si allinea al Tea Party. Buona compagnia.
Più seriamente, l’inflazione potrebbe alzarsi (e
sarebbe una
benedizione in queste condizioni) solo se l’impiego dei fattori produttivi
dovesse essere sopravanzato dalla domanda, cioè solo quando tutti saranno
tornati al lavoro e gli stabilimenti riaperti. Bene, a quel punto avremo il
problema di raffreddarla. Dio voglia.
Allora, eliminata la paura che condivide con la
parte più arretrata del Partito Repubblicano americano, il primo argomento si
sgonfia come un sufflè. Nessun incremento dei tassi per rinnovare il debito
interno (fare altro debito, dato che siamo in avanzo primario non è necessario),
la Banca Centrale farebbe il suo lavoro. Comprando i titoli non venduti, come
ha sempre fatto nella storia repubblicana e monarchica fino alla decisione di
separarla, presa unilateralmente da Ciampi e Andreatta, in ossequio a teorie
economiche liberiste motivate in effetti dal terzo argomento di Boeri.
Ma restiamo un attimo sul secondo, perché c’è una
cosa interessante che mostra lo spirito propagandista del “pezzo”: secondo il
prof. Boeri la tassa patrimoniale derivante dall’ipotetico (e non necessario)
consolidamento del debito colpirebbe “fino all’80% dei risparmi di una famiglia
italiana”. Occorre fare qualche ragionamento: intanto letteralmente l’autore
parla di “non rimborsare” i titoli in scadenza, letteralmente significherebbe
annullarli. Ma questo porterebbe ad azzerare l’intero debito, un trasferimento
di ricchezza da 2.000 miliardi che sottrarrebbe di colpo poco oltre il 20% del
patrimonio (stimato dalla Banca d’Italia in 8.500 miliardi) agli italiani. Per
la precisione ai primi due-tre decili (che ne posseggono quasi la totalità).
Se, invece, come è ovvio si parla solo di allungare le scadenze e sterilizzare
i rendimenti (riducendoli o annullandoli), la perdita potrebbe essere solo del
reddito e non sul patrimonio. Credo che il professore conosca la differenza,
dunque “i risparmi” resterebbero intoccati, ma sarebbero congelati e il reddito
derivante sarebbe ridotto. Certamente è l’equivalente di una tassa, esattamente
di una tassa sui redditi finanziari, ma il suo impatto (a meno di avere una
famiglia che ha molti milioni di euro di Titoli di Stato) sarebbe significativo
ma non devastante. Per inciso, la maggior parte del patrimonio delle famiglie
italiane è detenuto in immobili, resta difficile capire come si possa –anche
nell’ipotesi implausibile di confisca- perdere l’80% del patrimonio con
un’azione su 2.000 miliardi di debito quando il patrimonio complessivo è di 8.500
miliardi (dati Banca d’Italia) di cui il 40% attività finanziarie. Tra l’altro
solo il 5% dei patrimoni in attività finanziarie (170 miliardi) è direttamente
in Titoli di Stato, il 42% (1.420 miliardi) in Fondi Comuni, cioè investimenti
tramite banche in portafogli diversificati che certo comprendono anche Titoli
di Stato. Argomentare in questo modo non è discutere, è fare propaganda.
3. Ma veniamo al
terzo, perché è l’argomento
principe. Il vero obiettivo di tutte le politiche di austerità che sono portate
avanti da decenni, e che evidentemente l’autore condivide: la politica è
spendacciona (perché segue e “compra” il consenso) e va tenuta a stecchetto. Il
“giogo dell’austerità tedesca” (l’”Europa che lo chiede”) è sana, perché
impedisce di sprecare soldi. Sono i politici, con le loro spese pazze, che
hanno creato il debito pubblico italiano e che se lasciati liberi di spendere
lo farebbero esplodere di nuovo. Molto meglio sottostare alla dittatura
(benevola) dei mercati, alla loro disciplina.
Io sono sempre indeciso sul punto da cui cominciare,
quando incontro questo argomento: dalla
fine, la dittatura per me è sempre
inaccettabile, la benevolenza è una favola
per bambini che non dovremmo mai farci raccontare. I “mercati” sono
benevoli solo con se stessi, ciò che in effetti è successo in questi ultimi
trenta anni è che i mercati finanziari si sono gonfiati di dividendi e rendite
catturate dalle tasse della parte inferiore della piramide sociale. Ciò che è
successo è che chi detiene un capitale (cioè è un “risparmiatore”) ha ampliato
la sua rendita (che negli anni settanta era negativa, costringendolo ad
investirla in attività produttive) facendosela pagare da chi lavorava. La
disciplina dei mercati è questo tipo di meccanismo: devi chiedere i soldi solo a me, perché devi restare
dipendente da me, in modo da impegnare ogni risorsa per ripagare il debito ed
aumentare il mio saggio di profitto; non fa niente se questo sottrae risorse
agli investimenti ed alla produzione, oppure alla domanda.
Buona
parte della retorica nei confronti dei vergognosi (talvolta) politici, deriva
da questa idea pelosa, invece di spendere i soldi derivanti dalle tasse per
opere pubbliche, infrastrutture e servizi, sotto il controllo degli organi
democratici, bisogna ridurli. Lasciare che lo Stato di asciughi e che il mercato sia libero. Libero di
allocare le risorse dove sono più efficienti, di premiare i bravi e lasciare a
se stessi gli incapaci. Libero di creare una società di vincenti.
La mia
opposizione a questa idea è prepolitica e prerazionale. Io voglio una società che non lascia indietro, che aiuta a sollevare e
non schiaccia, che sia amica e non patrigna. Ciò non significa che non
bisogna combattere democraticamente, come abbiamo sempre fatto, il
clientelismo, gli sprechi, la corruzione, le politiche sbagliate ed
inefficienti. Ciò non significa che la pressione fiscale non vada ridotta ai
ceti più bassi (ed alzata ai più alti). Ciò non significa che non dobbiamo
sforzarci di migliorare la produttività (che dipende da molti fattori).
Ma l’austerità, la disciplina dei mercati, è parte
del problema, non della soluzione.
A questo punto la spiegazione è una sola: malafede. Noto che gli euroTeisti si affannano ad illustrare in termini apocalittici ciò che succederebbe se uscissimo dall'euro, ma nessuno si prende il disturbo di spiegare quali sono i vantaggi a restarvi. Eppure questo sarebbe il minimo che onestà intellettuale vorrebbe, stante una crisi disastrosa che dura da cinque anni e che non accenna a finire.
RispondiEliminaCome se ti venissero a spiegare che se tagli la corda che ti regge rischi di cadere e romperti una gamba, trascurando il fatto che quella corda ti sta strozzando.
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
RispondiEliminaIl vero problema che non si articola è CHI si sta strozzando e CHI si rompe la gamba. Perchè non sono la stessa persona. Il tema è che i discorsi economici sono in realtà discorsi sul potere.
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