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giovedì 22 maggio 2014

Ambrose Evans-Pritchard, “Il Centro francese dell’Europa si sbriciola e i socialisti si immolano sull’altare dell’Euro”


Sul Telegraph, Ambrose Evans-Pritchard ha appena pubblicato un articolo dal titolo e dalla sostanza inquientante. In seguito a quello che chiama “la torsione di un orribile destino”, la sinistra europea è diventata la sostenitrice di “politiche economiche reazionarie”, trovandosi come intrappolata in quello che è di fatto un apologo di un regime economico deflazionistico, “modello 1930”, che produce disoccupazione di massa e sostanzialmente (“sottilmente”) favorisce gli interessi delle élite.
Chiedersi perché questo succeda richiederà tempo e riflessione, ma un fatto è certo, e il giornalista inglese lo mette bene in evidenza: ne stanno pagando il prezzo.


Un esempio portato da Pritchard è il glorioso Partito Laburista Olandese, una delle patrie del modello socialdemocratico classico e anche della sua revisione “liberale” con il “modello Polder” ha perso Amsterdam, Rotterdam, Utrecht, è calato del 10% e appoggia una politica che sta disastrosamente portando deflazione e crollo dei valori immobiliari, e ha portato l’indebitamento delle famiglie olandesi dal 230% al 250% del reddito disponibile a partire dal 2008 (in Inghilterra è sceso da 151% a 131%).
La situazione non è molto diversa dalle altre parti:
-          in Grecia il Pasok è stato svuotato da una parte dalla sinistra radicale di Syriza (Tsipras) che è al 25% e intende ridiscutere il Memorandum con la Troika, dall’altra dal ricordo vivo della caduta di Papandreu e del referendum sull’Euro che voleva promulgare;
-          in Francia, per Pritchard “l'unico paese con la statura di civiltà per condurre una rivolta e prendere in carico la macchina politica dell'UEM”, un Presidente Socialista sta procedendo in politiche (soprattutto dopo la “svolta” di fine anno, con la ripresa di politiche dell’offerta vecchio stile che porteranno alla stagnazione) che di fatto distruggono la sua Presidenza e la sua credibilità. La sua vittoria, due anni fa, era infatti stata ottenuta sulla promessa di invertire le politiche della destra e promuovere la crescita, impegnandosi a porre un veto al Fiscal Compact (negoziato dal suo predecessore Sarkozy) e sull’impegno solenne “ad invertire la curva della disoccupazione”. Purtroppo nulla del genere si vede per ora (da 10,1 a 10,4%), nell’anno passato sono stati persi 50.000 posti di lavoro ed in questo altri 23.000 nel primo trimestre. L’indice di popolarità è a dir poco tragico: 18%.
Per ora, ricorda Pritchard, la sua Presidenza è stata “uno spettacolo dell’orrore di pacchetti di austerità”; ha capitolato completamente sul Fiscal Compact, ha aumentato le tasse del 3,5% sul PIL, ma il disavanzo non è calato. Allora, dato che senza stimolo compensativo dalla Banca Centrale Europea le misure di contrazione di spesa e inasprimento fiscale producevano minore gettito e dunque maggiore deficit e debito (secondo un ovvio circolo vizioso, ben noto da ottanta anni, ma ideologicamente negato da chi teme solo il rallentamento dei propri patrimoni e non quello del reddito da lavoro che non ha) ha aumentato la dose.
Come un medico medioevale che, riscontrato che il salasso con le sanguisughe non fa abbassare la febbre (provocata da un virus di cui lui non sospetta neppure l’esistenza), passa al salasso per via chirurgica, Hollande ha raddoppiato il rigore e cambiato mix. Cambiando Premier (in Francia, come noto, nominato dal Presidente) ha accettato l’indicazione di Bruxelles di un altro pacchetto di austerità da 50 mld in tre anni, riducendo la spesa pubblica. Inoltre ha annunciato radicali riforme del lavoro sulla linea delle riforme Hartz IV che hanno contribuito a ridurre i salari in Germania (aumentando quindi il saggio di profitto del capitale, contenendo i costi dei prodotti, e soprattutto l’inflazione grazie alla riduzione della domanda interna), ma non a tutti come si vede dal grafico.


Non è una strada senza alternative: all’inizio della sua Presidenza le cose erano andate diversamente, come ricorda il giornalista inglese, una breve alleanza “latina” (insieme agli USA e al FMI) aveva messo all’angolo la Germania sulla BCE, creando lo spazio politico necessario perché Draghi annunciasse il famoso “faremo qualsiasi cosa” che, ad agosto 2012, ha fermato il crollo imminente dell’Euro.
Purtroppo questa “alleanza” di interessi si è subito sfrangiata, con la Spagna (guidata da un governo “amico” di Bruxelles, dopo la caduta di Zapatero) che ha pensato di diventare la Prussia del sud e ha potenziato le politiche della cosiddetta “austerità espansiva”, con conseguenze che si cominciano a vedere.

Il problema è che l’asfissia economica lenta che sta avvolgendo la Francia richiede, per essere rotta, un coraggio politico che Hollande non sembra avere. Bisogna in effetti modificare e rompere il progetto Europeo dalle fondamenta, rivedendo il film almeno dal Trattato di Maastricht in poi. Per farlo bisogna “rischiare la rottura dell’Euro”, sapendo che altrimenti si romperà l’Europa.
E Hollande non se la sente, giustamente Evans-Pritchard fa notare che tutta la sua vita politica, “da Mitterrand [di cui era assistente] a Maastricht è stata tessuta negli affari europei”. Dunque lui è “prigioniero dell’ideologia del progetto”, fondato sull’idea che il condominio franco-tedesco sia la base di tutto e che l’Euro lo cementi.
Ripetendo errori storici, la sinistra francese si appresta a far sgorgare il sangue per difendere un cambio fisso (come fece Pierre Laval nel 1935 con il Gold Standard, prima di essere fucilato per collaborazionismo nel 1945) ignorando l’avvertimento che arriva dal Fronte Nazionale. Immaginando che il bacino elettorale della formazione di estrema destra sarebbe stato nella contigua area Gollista, gli strateghi socialisti hanno ignorato il grido di dolore che veniva dalle tradizionali roccaforti operaie e popolari.
Il risultato è Marine Le Pen al 24% nei sondaggi, ed i socialisti al terzo posto.

L’astuta politica francese ha in sostanza aggirato a sinistra il blocco tradizionale, richiamandosi alla difesa dello Stato Sociale e del “modello francese”. Ha rigettato l’ideologia dell’ “austerità espansiva” (appoggiata normalmente dalle destre, ostili alla spesa pubblica) e le “politiche monetarie folli della BCE” che distruggono il nucleo industriale della Francia.

Questa impressionante mutazione (allontanandosi dai tradizioni temi dell’immigrazione e dell’Islam) è resa possibile (come per l’UKIP in Gran Bretagna) dalla totale demolizione dell’autorità morale del progetto di Unificazione Monetaria determinato da sei anni di sofferenza.

In Francia la demolizione dell’autorità morale è iniziata probabilmente anche prima, con il “referendum rubato”, quando il rigetto del referendum sulla Costituzione Europea fu aggirato da un testo quasi identico con altro nome a maggio 2005.  
Al momento (7/02/2008) di votare all’Assemblea Nazionale il Trattato di Lisbona che sostituiva la Costituzione, bocciata dai cittadini di Francia e Olanda, 147 deputati (in tutto sono 557) non erano presenti, 52 hanno votato contro e 22 si sono astenuti. Per far ottenere la maggioranza a Sarkozy 30 deputati socialisti hanno votato a favore.


Questo tradimento anti-democratico è una parte del debito che ora Hollande paga.

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