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mercoledì 7 maggio 2014

Edward Hugh, Spagna. “La terra dove l’incipiente deflazione diventa una buona notizia per la crescita del PIL”


Su Ecomonitor, un articolo di Edward Hugh, pubblicato in italiano su Voci dall’Estero, ci parla della Spagna della quale nota la contraddizione tra un PIL nominale fermo ed un PIL “reale” (cioè in termini di potere di acquisto), in crescita.
Secondo la sua valutazione ciò dipende dalla deflazione dei prezzi che si prevede possa esplodere nel paese. La Banca di Spagna sostiene che l’economia spagnola nel primo trimestre è cresciuta leggermente accelerando rispetto al trimestre precedente.

PIL spagnolo

Sono buone notizie, ma la loro interpretazione resta aperta a possibili valutazioni divergenti: dal database Eurostat, si può vedere (dati aggiornati al 2012) che a metà “cura” della Troika e del Governo conservatore spagnolo mentre il saldo del conto corrente migliorava (restando in zona negativa) il costo del lavoro calava del 5% e i valori delle case del 16%, il flusso del credito privato continuava a raffreddarsi, il debito pubblico a crescere e la disoccupazione pure.

Eurostat Spagna


Che succedeva, intanto, all’Italia? Il saldo del conto corrente migliorava (restando in zona negativa in posizione inferiore a quella spagnola, -2,2% contro -3%) il costo del lavoro continua a crescere (+3% contro un calo del 5% in Spagna) e i valori delle case calano 1/3 di quelle spagnole (-5% contro il -16%), il flusso del credito privato sostanzialmente stabile mentre in Spagna cala del 10%, il debito pubblico cresce ma meno in termini percentuali e la disoccupazione cresce ma meno e restando molto lontana da quella spagnola (9% contro 22%).

Eurostat Italia


Restando in Spagna l’autore si chiede se la leggera ripresa spagnola:
-          Sia equilibrata e sostenibile;
-          Sia trainata dalle esportazioni (e dunque fragile ed esposta ad eventuali shock esterni);
-          O solo finanziata dal Governo?

Per aiutare la risposta fornisce una tabella della Banca di Spagna aggiornata al 2014.

Banca di Spagna dati PIL disaggregati


C’è più di una sorpresa: i consumi privati crescono (nel 2012 calavano, poi hanno avuto una ripresa fino a tornare in zona positiva nel II QE del 2013) ma rallentano; quelli pubblici crescono, il saldo commerciale è positivo ma calano sia le esportazioni che le importazioni (un saldo positivo in frenata dovuto alla maggiore velocità di decelerazione delle importazioni).
Soprattutto la Spagna è in deflazione ufficiale, dato che la Banca di Spagna certifica un deflattore del PIL negativo (-0,4% complessivo dei prezzi).  

Tra le tanto celebrate esportazioni (al centro della strategia economica della Troika, nell’ambito del suo gioco a somma zero con il mondo che tante volte abbiamo commentato) la parte del leone lo ha fatto il turismo, ed in generale i servizi. Mancano all’appello i beni, cioè la produzione industriale.

Export totale Spagna


Dal grafico si nota che le esportazioni totali (beni+servizi) sono cresciute in modo forte a partire dal calo del 2008-9, fino al 2011 e poi anche più di recente, malgrado due battute di arresto annuali (con la terza in vista quest’anno) quindi “secondo le ultime stime della Banca di Spagna, le esportazioni di beni e Servizi a fine marzo erano sugli stessi livelli dello scorso settembre. Questo è certamente un dato strano per un paese che attraversa uno dei suoi migliori momenti di una ripresa trainata dalle esportazioni” (come dalla vulgata ufficiale).

L’autore abbozza una spiegazione: “l’export spagnolo è cresciuto del 7% rispetto all’anno precedente, ma quasi tutta la crescita è avvenuta nel secondo trimestre del 2013, appena prima che l’azione di <tapering> della FED (avvenuta a maggio) si facesse sentire sui paesi emergenti. Suona familiare?” Questo si intende, per fragilità di una crescita trainata dalle esportazioni.
Nell’ultima comunicazione alla stampa del Ministero dell’Economia riguardo all'export (di febbraio) si legge che la storia delle esportazioni continua su basi diverse, “con la crescita dell’eurozona che recupera parte del buco lasciato dalla scomparsa della base dei consumatori dell’area monetaria, essa è molto meno vigorosa di come era prima”. Più precisamente, “mentre nel 2013 le esportazioni verso l’eurozona aumentavano solo dello 0,1%, in gennaio e in febbraio 2014 aumentavano del 5,5%, rispetto all’anno precedente. Nello stesso tempo le esportazioni verso i paesi fuori dall’Unione Europea aumentavano solo dello 0,4% rispetto all’anno prima, anche se l’export verso gli USA, la Cina e il Giappone sono tutti aumentati significativamente”.
Né la situazione dovrebbe migliorare significativamente.

Andamento Ordini


Complessivamente i nuovi ordinativi in febbraio sono diminuiti dell’1% su base annua, con gli ordini sul mercato interno – scesi del 2,2% - che fanno scendere il dato complessivo. Gli ordini esteri sono aumentati, ma ne è variata la composizione, con le richieste interne all’eurozona cresciute dell’1,6%, mentre gli ordini extra-eurozona sono scesi del 4,8%. Una situazione di ricomposizione che va avanti da un poco.



In effetti la debolezza della domanda interna non è stata scalfita dalla “ripresa”. Solo la produzione industriale è aumentata, ma in maniera molto, ma molto marginale, quasi indistinguibile se guardiamo a un periodo piuttosto lungo.

Spagna, produzione industriale


La bilancia commerciale delle sole merci (tolti quindi i servizi) è infatti tornata quasi subito in deficit (in sostanza non è mai uscita dal deficit).

Spagna, bilancia commerciale
  
Dunque un paese che sceglie di risolvere i suoi problemi, come suggerisce la Troika, facendo una violenta svalutazione interna e ottiene per questo deroghe (che l’Italia non ha avuto) per il rientro dal deficit, sta fondamentalmente recuperando un attivo solo per effetto della perdita di capacità di spesa. Un recupero “in frenata”, che non lascia molto futuro davanti.

Il deficit, nel 2009 era al 11,2% sul PIL, nel 2010 è passato al 9,7% e nel 2011 al 9,6%. Nel 2012 è ricresciuto ed ora è al 6,6% (il nostro è poco sotto il 3%). Naturalmente il debito pubblico è quindi esploso ed ora è quasi al 100% (si è quasi triplicato).
Però, sottolinea l’autore, il già enorme -6,6% di deficit si tratta di un dato cosmetizzato da due iniezioni di liquidità. Addirittura il 2% di PIL dal fondo pensione di riserva (il cui scopo sarebbe di aiutare il paese a superare la difficile fase demografica in arrivo alla fine del decennio) e un ulteriore 1% del PIL dal Fondo Fornitori (il cui scopo è quello di pagare ai fornitori le fatture precedentemente non pagate). Infine ha chiuso il bilancio al 25 novembre per non sforare anche in questo modo.
Alla fine, senza questi trucchi il deficit sarebbe ancora verso il 10%.

Per intenderci, se noi andassimo al 10% di deficit avremmo possibilità di una manovra da 119 miliardi, che a dir poco farebbe rimbalzare il PIL del 10% (applicando un modesto moltiplicatore).

Inoltre, come se non bastasse, “secondo i dati della Banca di Spagna c'erano qualcosa come 1.350 miliardi di euro di obbligazioni governative spagnole in circolazione alla fine del 2013, rispetto ai 961 miliardi di euro che vengono conteggiati come debito” … “Ancor più sorprendente è il fatto che il totale delle obbligazioni è cresciuto del 14,5% nel 2013, e che il 56% di questo aumento è avvenuto in un modo che non figura nella misura EDP”.

Spagna, debito pubblico

Ciò non significa che il debito sovrano lordo spagnolo è del 132% del PIL (come suggerirebbe una lettura superficiale) ma “è certamente molto più alto rispetto al 93,9% del PIL che risulta a Bruxelles secondo i criteri dell'EDP”. Ma ovviamente “è quasi impossibile ridurre veramente la dimensione del deficit pubblico, per quanti sforzi erculei si facciano. Il resto è semplicemente fumo negli occhi”.


Ma la questione più importante, messa in evidenza dall’autore nella sua analisi tecnica è il ruolo, nell’aggiustare la contabilità spagnola del deflattore del PIL. Il deflattore è una misura che converte un PIL nominale (cioè il PIL a prezzi correnti del singolo paese) in PIL reale (in cui esso viene rapportato al potere di acquisto). Quando un PIL nominale sale del 3% e l’inflazione è al 2%, il PIL reale è cresciuto solo del 1%.
Se si è in deflazione, ovviamente, essa si somma al PIL nominale (dunque 3% + 2% di deflazione fa una crescita del 5% del PIL reale).
Ciò che succede in Spagna con il PIL reale (l’unico che ha senso per un confronto competitivo) è che con una deflazione del 0,2%, la crescita del PIL (0,4%) dipende per metà dal deflattore. Cioè dipende dal fatto che i prezzi scendono.
Shaun Richards in un interessante Post – cosa sta succedendo alla contabilità nazionale e al PIL della Spagna? – ha affrontato l'impatto di una serie di revisioni di dati effettuata alla fine del secondo trimestre del 2013 con “qualche provocatoria conclusione”: “ci facciamo una nuova idea della Spagna osservando che (il deflatore stimato del PIL) è stato in pratica pari a zero sin dalla fine del 2008. Sto esagerando un pò in effetti, dato che in realtà è dello 0,17%, ma spero che capiate.
Le revisioni delle stime qui sono state significative, visto che in precedenza si parlava dell’1,58%! Consideriamo ora i numeri del PIL che a volte vengono variati dello 0,1% e vediamo ancora una volta che tale comportamento è bizzarro visto che non sono affatto così precisi. Davvero il 2011 sembra essere un anno travagliato per i conti della Spagna visto che il deflatore implicito dell’inflazione era lo 0,96% e ora è lo 0,02%, che è molto più simile all'1% che a 0,1%.”

In pratica c’è la possibilità che la crescita del 2014 sia interamente provocata da questo effetto contabile. “Non abbiamo ancora una stima per il primo trimestre di quest'anno, ma se vengono confermate le stime di una crescita reale dello 0,4% e di un deflatore del PIL del -0,4%, allora il PIL nominale dovrebbe essere praticamente identico a quello del quarto trimestre del 2013”.



Dunque la ripresa spagnola, malgrado le grancasse, sembra essere, come dice al Ministero dell’Economia Luis de Guindos “debole, fragile e sbilanciata”.
In effetti non sembra una ripresa dove una solida crescita dell’export alla fine si espande in un miglioramento generalizzato dei consumi interni e degli investimenti.
In sostanza la maggior parte della crescita è stata ottenuta tramite una forte contrazione delle importazioni, l’aggiustamento del calendario, le stime sulla deflazione, e un poco di polvere sotto il tappeto.

Naturalmente dare buoni numeri serve ad un Governo per dare un senso alle loro politiche, ed al traballante consenso. Ma serve anche alla Commissione Europea per giustificare l’esito delle loro politiche, sia verso l’opinione pubblica sia verso il Parlamento Europeo che, non lo dimentichiamo, ha in corso un procedimento di inchiesta.


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