Federico Fubini, su La Repubblica firma un articolo
la cui tesi è che la nostra strategia (condotta da tutti i governi dal 2008,
quello di Berlusconi, di Monti, Letta e Renzi) di tenere il deficit sotto
controllo, entro i parametri di Maastricht, rifiutando la tutela della Troika e
le sue radicali politiche (in particolare del lavoro) avrebbe mal funzionato.
In particolare, secondo il giornalista economico, “i numeri dicono di no” (cioè
che non ha funzionato).
Quali numeri? Quelli proposti dalla Commissione Europea (quindi dall’aspirante
“tutelante” rifiutato, peraltro solo in parte). In particolare l’articolo
riporta questa situazione:
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La previsione di crescita per 2014 e
2015 di Italia, Spagna, Portogallo, Grecia e Irlanda sono sempre a favore degli
altri. Se l’Italia è accreditata di un +0,6% la Spagna è del 1,1% e così via;
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Madrid in particolare “ha agito poco sul
deficit, ma su richiesta europea ha cambiato le regole del lavoro in un modo
che persino Matteo Renzi riterrebbe troppo rivoluzionario: gran parte dei
contratti si fanno in azienda, non in affollati <tavoli> centralizzati
nella capitale, mentre i giudici non mettono bocca nei licenziamenti economici”.
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L’Istituto Prometeia, una SIM di indagini finanziarie, su incarico dell’Istat
e firma di Stefano Tomasini, ha ipotizzato che “il PIL dell’Italia sarebbe del
3% più alto se solo l’export fosse andato bene come quello Spagnolo”.
Questo quadro è molto
parziale ed in parte fuorviante (per un lettore non informato sui numeri). Infatti,
come abbiamo appena
visto, la crescita del PIL spagnolo è abbastanza confinante in un effetto
statistico. Sostanzialmente dipende dal fatto che la Spagna è in deflazione,
oltre che da diversi accomodamenti contabili. Ma soprattutto l’export non è
sostanzialmente cresciuto (ed il poco che c’era si è fermato quando i paesi
emergenti hanno risentito della riduzione della “droga” monetaria della FED). I
nuovi ordinativi di febbraio 2014 sono in calo (dell’1%) come effetti composto
di un calo del 2,2% del mercato interno (da cui la deflazione) e di una
crescita entro l’eurozona del 1,6% (a fronte, però, di un calo del 4,6% degli
ordini extra eurozona). Soprattutto, questa crescita modesta è da attribuire ai
servizi (turismo, trainato dalla discesa dei prezzi interni) anziché dalla vendita
di merci, che resta sostanzialmente stagnante.
Come abbiamo visto la
bilancia commerciale delle sole merci, in Spagna, è sempre in deficit.
La previsione della
Banca di Spagna per il 2014 è di un incremento del PIl del 0,4% (mentre la più
ottimista Commissione Europea l’accredita di 1,1%) e di un calo sia dell’export
(-0,6%) sia dell’import, ma maggiore (-1,2%). In calo ancora anche l’occupazione
(-0,3%).
Come si vede dalla
tabella il deflattore del PIL (-0,4%, cioè deflazione) spiega quasi interamente
la crescita del PIL stesso (la deflazione si somma al PIL nominale).
Questi sono i numeri:
non sembrano così brillanti.
Ma Fubini omette di
ricordare che quel che pudicamente chiama “agire poco sul deficit” per la
Spagna significa conservare un deficit, rispetto al PIL, che al netto dei
trucchi contabili è ancora dalle parti del 10%. Cioè è il triplo del nostro
(anche dimenticando i trucchi è comunque il doppio).
E che il debito
pubblico in Spagna è triplicato, andando ormai vicino al nostro (anche qui abbondano
gli interventi cosmetici).
La storia sarebbe
quindi più o meno questa: l’Italia ha rifiutato (più o meno) di ridurre ancora
più drasticamente i diritti
dei lavoratori, e per questa via i salari (che in Spagna sono calati
molto), per cercare di salvaguardare il mercato interno; costretta dagli
obblighi previsti nei Trattati ha comunque contenuto la spesa pubblica (con
evidenti, e drammatici effetti deflattivi), riuscendo a perdere solo il 15-20%
sul debito pubblico accumulato (ed in parte per i trasferimenti ai Fondi Salva
Stati). L’export italiano è rimasto all’incirca
stabile, con qualche settore in crescita e qualcuno no, le importazioni
sono scese, la bilancia commerciale è migliorata.
La Spagna, che ha
ceduto alla Troika: ha ridotto i salari in modo drammatico, senza guadagnare
significativamente sul piano dell’export di merci, la massiva deflazione ha
favorito una drastica contrazione delle importazioni ed il turismo (che è
contabilizzato come vendita di servizi, quindi come export), e
contemporaneamente dà la sensazione statistica di una crescita del PIL (a causa
del deflattore). A fronte di questi discutibili risultati (anche e soprattutto
sul piano della sostenibilità) il debito pubblico è cresciuto del 300%, il
deficit è completamente fuori controllo (se non si può chiamare così un livello
pari a quello del famigerato periodo degli anni ottanta italiano, non so come
si chiama).
Su questo tema avevamo già scritto qui, qui, qui, qui, qui, qui, qui, qui, qui, qui, qui, qui, qui, qui, qui, qui, diciamo che è un tema complesso; ma meriterebbe almeno una valutazione più attenta.
Su questo tema avevamo già scritto qui, qui, qui, qui, qui, qui, qui, qui, qui, qui, qui, qui, qui, qui, qui, qui, diciamo che è un tema complesso; ma meriterebbe almeno una valutazione più attenta.
Comunque, non
c’è che dire, bei “risultati”.
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