Pagine

venerdì 9 maggio 2014

Elysium : dell'ineguaglianza


E’ dell’uomo che devo parlare; e l’argomento che prendo in esame mi dice che dovrò parlare a degli uomini, perché non si propongono problemi simili se si teme di onorare la verità”, Jean-Jacques Rousseau, Sull’origine dell’ineguaglianza, Parte Prima.

Elysium è un blockbuster di medio successo, con Matt Damon e Jodie Foster, il cui tema è l’estrema ineguaglianza. Racconta di un mondo, tra circa centoquaranta anni, nel quale tutto è andato storto. O bene, secondo i punti di vista.
Precisamente è andato storto per una decina di miliardi di persone e benissimo per qualche migliaia.


Nel mondo di Elysium pochissimi ricchi (circa uno su un milione) vive in una fortezza, assistito da robot e solerti funzionari e tecnici, mentre gli altri (in pratica tutti) sopravvivono a stento e muoiono in immensi slums e baraccopoli, anche quando sono verticali grattacieli (il film inventa il grattacielo-baraccopoli in una delle prime scene), assistiti in fatiscenti ed affannati ospedali, irreggimentati (i pochi che lavorano) in fabbriche-lager dalle inumane condizioni di lavoro, sorvegliati da robot-poliziotti e robot-sorveglianti a “tolleranza zero”.


La storia parte con un lungo piano-sequenza nel quale si vedono case di quella che sembra una periferia brasiliana, o messicana, un canale, seguito da una immensa discarica a cielo aperto subito dopo la quale c’è un altro quartiere di piccole case affastellate, semispontanee, degradate. Poi si apre su quello che sembra una periferia di una immensa città, andando verso il centro si vede che è una città con un centro fatto da grattacieli, in effetti è Los Angeles nel 2154. In sovraimpressione ci spiegano che “Verso la fine del XXI secolo la terra era malata, inquinata ed estremamente sovraffollata”, quindi “Gli abitanti più ricchi del pianeta fuggirono dal pianeta per conservare il proprio standard di vita”.
La stazione orbitante di Elysium è quanto di più lontano si possa immaginare dalla città. Si tratta, in effetti di una tipica campagna residenziale suburbana a bassa densità, con ville isolate, piscine, piccoli giardini e parchi.



Il tema di questo a suo modo coraggioso film è dunque quella che il grande ginevrino chiamava la “seconda forma” di ineguaglianza, “che si può chiamare ineguaglianza morale o politica, perché dipende da una specie di convenzione, ed è stabilita o almeno autorizzata dal consenso degli uomini. Questa consiste nei diversi privilegi di cui alcuni godono a scapito di altri, come di essere più ricchi, più onorati, più potenti di loro, o anche di farsi obbedire” (Rousseau, idem).

Ci sono molti modi di guardarlo: come una storia di azione (il “buono” contro il “cattivo” dal nome tedesco), come una storia di amore (il ragazzo traviato che cerca di riprendersi e viene richiamato all’umanità –sino al massimo sacrificio- dall’amore della sua vita), come una storia morale (lo scontro tra il senso per la vita e l’uguaglianza, l’altruismo infine, dei poveri e vittimizzati “latinos” –persino dei contrabbandieri di speranza-, contro il cinismo degli industriali dal nome americano e dei funzionari e politici dal nome francese), come una storia di sacrificio e riscatto (il protagonista davanti alla morte capisce, infine, il senso della favola dell’ippopotamo altruista che gli racconta la bambina, e salva il mondo a spese della vita), come una storia di liberazione (in primis dal “consenso degli uomini”, espresso all’inizio del film dalla suora che dice a Damon bambino che nel mondo c’è un posto per tutti e <bisogna accettarlo>).

Tutti hanno a che fare con il film (è ovviamente uno dei principi di costruzione di un prodotto come questo); a me piace pensare che sia un monito.


“Il primo che, recintato un terreno, ebbe l’idea di dire: questo è mio, e trovò persone così ingenue da credergli, fu il vero fondatore della società civile”. Jean-Jacques Rousseau, Parte Seconda.

Nessun commento:

Posta un commento