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domenica 4 maggio 2014

Giuseppe Mazzini, “Pensieri sulla democrazia”


1° agosto 1846, Giuseppe Mazzini il grande rivoluzionario e politico italiano, scrive alcuni articoli per una rivista inglese; Mazzini è una figura di straordinaria importanza nello sviluppo del pensiero libero, che ispirerà una linea ininterrotta di azione e testimonianza che passa per Leon Tolstoj, per arrivare al Mahatma Gandhi. Si tratta se si vuole della seconda linea di sviluppo del pensiero radicale sull’uomo, con una forte e non nascosta componente religiosa, che procede parallela a quella laica e socialista molto più nota. Questa linea di riflessione sull’uomo, la società e la vita è stata tenuta in vita da autori come Illich, Ellul, e tra i contemporanei Zanotelli (Latouche probabilmente trae radici in entrambe).
Come sia, ogni tanto traggo giovamento dalla lettura di questi antichi testi (come in quelli dell’altra linea che per molti versi mi sono più vicini e familiari), nei quali vive una tensione verso la liberazione dell’uomo e l’emancipazione sulla quale sarebbe bene riflettere. Una tensione che il nostro tempo, rivolto alla auto-valorizzazione individuale stenta a ritrovare.

Giuseppe Mazzini scrive quindi per il “People’s journal” (ora in “Pensieri sulla democrazia in Europa”, ed. Feltrinelli) sette brevi articoli nei quali descrive, una ad una, le diverse tendenze politiche a sé contemporanee, provvedendo a sviluppare verso ciascuna accurate critiche che risuonano, peraltro, in molti casi familiari alle nostre orecchie. Certo, il suo tono è tipico del suo tempo, avvia il suo discorso inneggiando, ad esempio, alla “legge del continuo progresso – senza la quale non ci sarebbe né vita, né movimento, né religione; perché non ci sarebbe Provvidenza”. Una “legge il cui movimento ci incalza”.
Una legge che fa dire a Mazzini di lavorare, come tutto quello che chiama il “movimento democratico”, “affinché lo sviluppo della società umana possa essere, per quanto possibile, somigliante alla società divina, alla città celeste, dove tutti sono uguali, dove non esiste che un solo amore e una sola felicità.” E’ per questo che “noi protestiamo contro ogni ineguaglianza, contro ogni oppressione, dovunque siano praticate: perché noi non consideriamo nessuno come straniero, noi distinguiamo solamente il giusto dall’ingiusto, gli amici dai nemici delle legge di Dio”.
Il punto, sul quale gioverebbe riflettere ancora oggi, è che “si possono sviluppare quanto si voglia gli interessi materiali: se un rinnovamento morale non li governa, probabilmente si accresceranno le già troppo grandi ricchezze dei pochi, ma la massa di coloro che producono non vedrà migliorate le proprie condizioni: o addirittura aumenterà l’egoismo; sarà soffocato sotto i piaceri fisici tutto ciò che v’è di più nobile nella natura umana; un progresso solo materiale potrebbe sfociare in un’immobile società di tipo cinese.” (p.72)
Dunque, “noi democratici vogliamo che l’uomo sia migliore di quanto egli è; che egli abbia più amore, un maggior senso del bello, del grande, del vero; che l’ideale che egli persegue sia più puro, che egli senta la propria dignità, e abbia più rispetto per la sua anima immortale. Che egli abbia, in una fede liberamente adottata, un faro che lo guidi, e le sue azioni corrispondano a questo credo”. La Democrazia è, per Mazzini, un ideale esigente; essa dice: “lavorate tutti per associarvi. Invitate tutti al banchetto della vita. Abbattete le barriere che vi separano. Fatta eccezione per quelli dell’intelligenza e della moralità, sopprimete tutti i privilegi che vi rendono ostili o invidiosi. Rendete voi stessi eguali, per quanto è possibile. E ciò non solo perché la natura umana ha ovunque gli stessi diritti, ma perché è possibile migliorare gli uomini solo migliorando l’UOMO, solo migliorando la stessa idea della vita che lo spettacolo dell’ineguaglianza tende a peggiorare. Ogni ineguaglianza porta con sé una quantità proporzionale di tirannia; ovunque ci sia stato uno schiavo, c’è stato anche un padrone ed entrambi distorcono, e corrompono, in coloro che li vedono l’idea della vita.”

Nel secondo articolo, Mazzini, distingue due correnti nel vasto e frammentato movimento “democratico”: quella che si basa sui diritti degli individui e quella che, al contrario, fonda la propria dottrina su alcuni doveri derivanti da qualcosa di superiore agli stessi, e spesso all’intera società. E’, in effetti, la frattura tra le posizioni liberali e quelle socialiste. Naturalmente in quegli anni la prima è forte la seconda debole. Mentre la prima ha oltre sessanta anni di storia, la seconda avvia i suoi primi passi nel 1830, cioè solo quindici anni prima (è come se noi parlassimo di una tendenza politica nata nel 2000).
In questo articolo il grande ligure attacca quindi con vigore una linea di pensiero per la quale, secondo lui, “non c’è propriamente nessuna società”, in cui tutto lo sforzo è rivolto “a organizzare un sistema di garanzie contro ogni possibile abuso” contro l’individuo singolo. Si tratta di un “ognuno per se stesso” che egli trova “immorale” ed “ignobile”. Al contrario “siamo tutti vincolati gli uni agli altri”. Altrimenti, si chiede, cosa potrà trattenere dal volgere la libertà individuale (pur sacra) da mezzo a fine, e dirigerla al mero arricchimento (che per definizione non può essere di tutti)? Distruggendo gli istinti eminentemente sociali dell’uomo?

Nel terzo articolo, quindi, prende di mira direttamente Jeremy Bentham, il grande filosofo utilitarista, autore del Panopticon (sul quale Michel Foucault spese straordinarie pagine). Nel 1846 l’utilità, il sommo principio di Bentham, appare a Mazzini effetto della “incompleta conoscenza della natura umana, l’omissione di tutte le più belle, nobili, pregevoli capacità della nostra anima l’oblio della legge suprema del mondo collettivo – il continuo progredire del pensiero”. Certo, egli appartiene al XVIII secolo, il secolo della lotta al privilegio, e dunque ad essa si opponeva. Va a sua gloria esservisi opposto. Tuttavia “ora la vecchia esistenza fondata sul privilegio e la diseguaglianza è polvere e cenere”, dunque l’obiettivo non può essere così limitato. Anzi, lo scopo che Mazzini vede davanti a sé è di “far rivivere il senso del dovere nel cuore di uomini ridotti a macchine calcolatrici”, offrire a tutti “un degno obiettivo”. (p.90)
Per questo l’utilità è un obiettivo del tutto insufficiente a discriminare nei conflitti di interesse individuali, ad esempio tra “l’utilità del proprietario terriero e del fabbricante”, e quella del lavoratore, dato che interesse –e dunque utilità- del fabbricante è “prolungare la giornata di lavoro e diminuire il più possibile i salari”. Si tratta, in altre parole, di un conflitto distributivo tra utilità opposte; con le parole di Mazzini, “di concessioni e perdite da una parte e di guadagno dall’altra”. Come, conciliarle senza fare appello ad un principio superiore di giustizia?

La cosa è di grande importanza e l’abbiamo persa di vista: “se la felicità fosse quaggiù lo scopo [unico] della vita, il nostro mondo non sarebbe altro che un triste fallimento” (Mazzini, p. 95).


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