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venerdì 6 giugno 2014

Circa l’azione della BCE: un passo avanti sulla stessa strada.


Ritornando sulla svolta della BCE di ieri, su stimolo di alcuni amici che mi hanno accusato giustamente di essere stato “ingeneroso” nel post di ieri, proverei a chiarire meglio in che senso essa mi pare rilevante.
Emergono abbastanza chiaramente due scopi principali nell’azione ad ampio raggio dell’Istituto economico di gran lunga dominante nella situazione europea: irrobustire il patrimonio delle banche (probabilmente anche in vista degli imminenti stress test e della procedura di Unione Bancaria all’avvio), e cercare di ridurre il cambio dell’Euro contro le principali valute estere (dollaro in primis). Attraverso l’effetto di queste due azioni, se avessero successo, l’aspettativa sembra essere che l’economia ne possa venire stimolata e dunque l’inflazione incrementata (ma sempre entro il limite del 2%).

In sostanza si tratta di un’azione dal lato della politica monetaria e indirettamente volta a stimolare effetti sull’offerta nel mercato finanziario.

E’ vero che stiamo commentando un’azione della Banca Centrale Europea, che è per Statuto indipendente dalla politica (pur avendo avuto il mandato da questa) e non può promuovere, tra l’altro non avendoli, strumenti di politica economica. Questi ultimi dipendono invece dai Governi e sono catturati nella particolarissima mancanza di governance formale che caratterizza l’incompleto Progetto Europeo. Nessuno occupa la sedia del Re, e dunque abbiamo solo una complessa corte (spesso litigiosa e fortemente orientata all’egoismo non cooperativo, su questo un bel post di Becchetti) di Principi e di Ministri e/o funzionari che si spintonano per le sedie prossime. In questi giorni e mesi assistiamo all’ennesimo rush del balletto nella nomina del Presidente della Commissione Europea.
Questo problema non può essere quindi risolto dalla BCE. Tuttavia il momento non potrebbe essere più grave; la situazione generale vede l’Unione Europea presa nella trappola determinata dalla compresenza di:
-          un’avanzata integrazione finanziaria;
-          una sbilanciata integrazione economica, in cui prevale ancora il momento competitivo sull’interdipendenza;
-          un insufficiente coordinamento politico;
-          una scandalosa carenza democratica (con inevitabile correlato di opaco esercizio del potere di influenza da parte di alcune lobby fortemente interessate alle decisioni dietro cortina di nebbia);
-          una carenza di capitale politico spendibile per incrementare la solidarietà europea, sia nei paesi che scorrettamente si sentono “creditori” e “forti”, sia tra quelli che -coltivando per questo rancore e risentimento- sono individuati come “debitori” e “deboli”;
-          un quadro internazionale non cooperativo e squassato da violente guerre monetarie.

Ed una situazione economica, in parte non trascurabile determinata o aggravata dalla situazione di cui sopra, in cui:
-          nel contesto di un sistema economico in cui vige la totale liberalizzazione dei flussi di merci e di capitali ed un’unica moneta (che elimina il principale meccanismo di mercato attivo nella riduzione degli squilibri), alcuni paesi della UE hanno sistemi produttivi fortemente orientati all’esportazione, insufficienti investimenti, contrazione della domanda interna e dei salari in rapporto alla produttività, mentre altri disponevano di sistemi economici più equilibrati;
-          ciò determina una costante perdita di posizioni di mercato, la colonizzazione progressiva della “domanda interna” dei paesi “deboli” (ma in realtà solo più equilibrati) da parte di quelli “forti” (che sono, in realtà, “esteroflessi” e quindi fragili), ciò in assenza del meccanismo automatico determinato dal mercato della moneta;
-          nei primi anni dell’Euro, come ormai universalmente noto, l’integrazione ineguale e selettiva ha portato a flussi di capitali in cerca di remunerazione e sicurezza a “scaldare” alcuni specifici mercati (in particolare, ma non solo, immobiliare) in alcuni paesi del sud Europa, determinando una condizione di sbilanciamento creditizio non corrispondente a fondamenti economici stabili, che è andata improvvisamente in shock al momento della crisi internazionale; questo antefatto spiega la motivazione di partenza della condizione di restrizione creditizia attuale, ma non la sua dinamica;
-          questa dinamica è causata da un rafforzamento interno, amplificato enormemente dalle politiche pubbliche pro-cicliche (che esasperano le normali politiche pro-cicliche delle banche private) di austerità, che scambiano ampiamente le cause con gli effetti (o meglio fingono, essendo essenzialmente politiche di potenza).

Questa situazione specifica Europea è, del resto, da inquadrare nel contesto di una crisi storica del capitalismo finanziario internazionalizzato che non sembra più capace di serbare un rapporto efficace con la produzione di beni e servizi, la sua distribuzione e dunque il sostegno degli obiettivi umani e sociali individuali e collettivi. In particolare, come dice anche Monacelli, in un articolo su La Voce,  “nel mondo c’è una fame insaziabile di liquidità e quindi di ‘titoli sicuri’. Niente di meglio che parcheggiare risorse in Bund tedeschi e, attualmente (per fortuna), anche in Bot italiani. Permane il problema di fondo però: come orientare i flussi di capitale verso investimenti reali fissi o con partecipazioni azionarie, cioè impieghi che finanzino l’accumulazione di capitale fisico. È qui il cuore del malessere europeo”. 
In altre parole i colossali flussi di capitali liberati dai vincoli istituiti dopo la crisi degli anni trenta (principalmente l’eliminazione delle restrizioni di movimento e la caduta della separazione tra banche d’affari e d’investimento) insieme a quelli messi in campo dai QE della FED, della BoE e della BoJ, determinano un ambiente nel quale nulla riesce a restare fisso. Come in una grande nave da carico nella quale una miriade di pacchi e container, grandi e piccoli, siano accatastati alla rinfusa e senza essere fissati, liberi di essere spostati anche più volte al giorno, e che incontri una tempesta, si stanno creando gravissimi rischi di perdita di stabilità.
Questi flussi, inoltre, nello sforzo di restare liquidi (anche per evitare la presa fiscale degli Stati, probabilmente), rifiutano di fermarsi su investimenti reali fissi. Per cui non determinano “accumulazione di capitale fisico”. Anzi, lo prosciugano.

Come avevo scritto nel post precedente, la dinamica caratteristica del capitalismo finanziario internazionalizzato (al cui centro è il sistema bancario ed il suo correlato sistema bancario “ombra”) determina uno scostamento tra la rendita finanziaria e lo sviluppo delle forze produttive (cioè della capacità di lavoro e del capitale fisso sociale disponibile), nel rispetto del capitale naturale. Questo è ciò che condanna in modo essenziale l’attuale sistema che non è più capace di servire la società. Prometeo dopo essere stato liberato dalle catene di ferro è stato legato da lacci d’oro.

Se questo è il quadro dei problemi, dal punto di vista della BCE enormemente aggravato dal “pilota automatico” (l’immagine è di Krugman) imposto dai Trattati e dalla ritrosia tedesca a modificare la tradizionale politica di contenimento e stabilità, il passo di ieri è sì avanti, ma sulla stessa strada.

Prendere una serie, nel loro genere anche coraggiose, di misure uniformi in un sistema continentale altamente ineguale e disuniforme, rischia quindi di aumentare gli squilibri. Se sortisse quello che è probabilmente l’obbiettivo principale di contenere il cambio dell’Euro, l’effetto più visibile sarà quello di aumentare, come dice Francis Coppola tradotta in Voci dall’Estero, lo sbilanciamento della Germania verso le esportazioni. Infatti, giunti a questo punto, l’Euro sta probabilmente iniziando, con la sua straboccante forza verso il dollaro e lo jen, a causare la deflazione per importazione (energia e merci) persino in Germania. Ma aiutare le esportazioni di tutti (e quindi principalmente della Germania) determinerà un incremento degli squilibri globali che sono uno dei motori dell’attuale guerra valutaria mondiale.
In questo quadro molto difficile, nel quale ogni azione è legata ad altre e spesso retroagisce in senso opposto, l’azione più visibile (i tassi negativi), insomma, appare di dubbia utilità. Per alcuni, come Terzi, su Keynesblog, o George Magnus su Financial Times, potrebbe essere anche controproducente. Infatti è sostanzialmente una tassa sui redditi delle banche, ha poca massa (poche centinaia di miliardi) e soprattutto non ha alcun legame con i prestiti all’economia reale (come è ormai chiaro, non sono i depositi a fare i prestiti, ma è il contrario). L’unico effetto probabile, il calo del cambio per effetto del deflusso dei capitali verso altri lidi extraeuropei di “posteggio”, è di ambigua convenienza.

In conclusione, tra gli strumenti potenzialmente utilizzabili dalla Banca Centrale, mancano ancora quelli che sarebbero invece realmente utili: acquisti discrezionali e ineguali (e dunque utilizzabili per determinare convergenza e non consolidare divergenze) di titoli dall’economia reale condotti con moneta fiduciaria creata dal nulla e non sterilizzata.


Si tratta del Full Quantitative Easing in una versione che non potrebbe che provocare furiose reazioni da parte tedesca, e che richiede una direzione politica solidale ed Europea.
Ambrose Evans-Pritchard, con l’abituale solerzia, ci racconta su Telegraph, che anche il bilanciato pacchetto di ieri (orientato a dare risposta proprio alla nascente ansia del Governo tedesco) ha provocato furibonde reazioni da parte del Capo dell'Associazione Tedesca delle Casse di Risparmio, Georg Fahrenschon, che ha accusato la BCE di espropriare i risparmiatori e di distruggerne le “attività”, o di Der Spiegel che ha addirittura parlato di “fine del capitalismo”, mentre Die Welt ha descritto il signor Draghi come il Bismarck d'Europa. 
In un contesto in cui il Ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schäuble, mette in discussione il piano di backstop per le obbligazioni italiane e spagnole di due anni fa, “dicendo che il regime non può andare avanti senza il consenso tedesco e che non ci sarà”, la domanda è “quanto la Germania è disposta ad andare avanti per tenere insieme il sistema?”.
D’altra parte anche il modesto LTRO annunciato (per quattro anni), come evidenzia FT, aiuterà solo in modo marginale. Allo stato si risolve in un trasferimento di risorse dalla BCE (cioè dal pubblico) alle banche (che si indebitano con il pubblico allo 0,25%, cioè ad un tasso reale negativo) e dopo quattro anni restituiscono meno di quel che hanno preso in termini reali. Inoltre li utilizzano per comprare Titoli di Stato con un rendimento del 3% finanziato dalle tasse, ottenendo nell’insieme un trasferimento netto di risorse e nessun rischio.

Resta dunque solo da “ingoiare il rospo” e comprare titoli, in modo adeguato (ben oltre i 1.000 miliardi qualche volta ventilati) sia dal mercato privato (che, però, ne dispone solo in modo limitato) sia da quello pubblico (che ne ha almeno dieci volte di più). In questo modo, almeno, le tasse servirebbero ad alimentare il bilancio della BCE che potrebbe essere utilmente impiegato.
Oppure, come ricorda Varoufakis nel suo blog, comprare titoli emessi dalla BEI per finanziare un Programma di Investimenti infrastrutturale europeo all’altezza delle nostre ambizioni.

Anche se questo programma porterebbe in linea di scontro con la semi-egemone Germania sarebbe l’unico modo per affrontare il reale conflitto distributivo sul quale ci stiamo letteralmente distruggendo.
D’altra parte, come ci ricorda Bechetti, nel suo blog, nelle condizioni della globalizzazione è ormai evidente che l’espansione monetaria non determina gli effetti di incremento dell’inflazione che provocava nelle economie molto più chiuse degli anni settanta. Il pensiero egemone, formatosi sulla scorta di Milton Friedman e allievi, non si è ancora accorto (completamente) che l’inflazione non può più salire perché nessuno può alzare impunentemente i prezzi e perché i capitali in eccesso, esaurite le occasioni di investimento locali, si spostano sull’intero pianeta. In queste condizioni, semplicemente, non si paga più pegno (almeno sino a valori molto alti) a creare nuovo denaro per investimenti produttivi ed impiego della capacità inutilizzata. Ma il mercato non trova abbastanza conveniente farlo, preferisce volare alto.


Questa è la strada nuova che la BCE non sembra aver preso. 

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