Ritornando sulla
svolta della BCE di ieri, su stimolo di alcuni amici che mi hanno accusato
giustamente di essere stato “ingeneroso” nel post
di ieri, proverei a chiarire meglio in che senso essa mi pare rilevante.
Emergono
abbastanza chiaramente due scopi
principali nell’azione ad ampio raggio dell’Istituto economico di gran lunga
dominante nella situazione europea: irrobustire
il patrimonio delle banche (probabilmente anche in vista degli imminenti
stress test e della procedura di Unione Bancaria all’avvio), e cercare di ridurre il cambio dell’Euro
contro le principali valute estere (dollaro in primis). Attraverso l’effetto di
queste due azioni, se avessero successo, l’aspettativa sembra essere che l’economia
ne possa venire stimolata e dunque l’inflazione incrementata (ma sempre entro
il limite del 2%).
In sostanza si
tratta di un’azione dal lato della politica monetaria e indirettamente volta a
stimolare effetti sull’offerta nel mercato finanziario.
E’ vero che stiamo
commentando un’azione della Banca
Centrale Europea, che è per Statuto indipendente dalla politica (pur avendo
avuto il mandato da questa) e non può promuovere, tra l’altro non avendoli,
strumenti di politica economica. Questi ultimi dipendono invece dai Governi e
sono catturati nella particolarissima mancanza di governance formale che
caratterizza l’incompleto Progetto Europeo. Nessuno
occupa la sedia del Re, e dunque abbiamo solo una complessa corte (spesso
litigiosa e fortemente orientata all’egoismo non cooperativo, su questo un bel post di Becchetti) di
Principi e di Ministri e/o funzionari che si spintonano per le sedie prossime.
In questi giorni e mesi assistiamo all’ennesimo rush
del balletto nella nomina del Presidente della Commissione Europea.
Questo problema
non può essere quindi risolto dalla BCE. Tuttavia il momento non potrebbe
essere più grave; la situazione generale vede l’Unione Europea presa nella
trappola determinata dalla compresenza di:
-
un’avanzata
integrazione finanziaria;
-
una sbilanciata
integrazione economica, in cui prevale ancora il momento competitivo sull’interdipendenza;
-
un insufficiente
coordinamento politico;
-
una scandalosa
carenza democratica (con inevitabile correlato di opaco esercizio del potere di
influenza da parte di alcune lobby fortemente interessate alle decisioni dietro
cortina di nebbia);
-
una carenza di
capitale politico spendibile per incrementare la solidarietà europea, sia nei
paesi che scorrettamente si sentono “creditori” e “forti”, sia tra quelli che -coltivando
per questo rancore e risentimento- sono individuati come “debitori” e “deboli”;
-
un quadro
internazionale non cooperativo e squassato da violente guerre monetarie.
Ed una situazione economica, in parte non trascurabile determinata o aggravata
dalla situazione di cui sopra, in cui:
-
nel contesto di
un sistema economico in cui vige la totale liberalizzazione dei flussi di merci
e di capitali ed un’unica moneta (che elimina il principale meccanismo di
mercato attivo nella riduzione degli squilibri), alcuni paesi della UE hanno sistemi
produttivi fortemente orientati all’esportazione, insufficienti investimenti,
contrazione della domanda interna e dei salari in rapporto alla produttività,
mentre altri disponevano di sistemi economici più equilibrati;
-
ciò determina
una costante perdita di posizioni di mercato, la colonizzazione progressiva
della “domanda interna” dei paesi “deboli” (ma in realtà solo più
equilibrati) da parte di quelli “forti” (che sono, in realtà, “esteroflessi”
e quindi fragili), ciò in assenza del meccanismo automatico determinato dal
mercato della moneta;
-
nei primi anni
dell’Euro, come ormai universalmente noto, l’integrazione ineguale e selettiva
ha portato a flussi di capitali in cerca di remunerazione e sicurezza a “scaldare”
alcuni specifici mercati (in particolare, ma non solo, immobiliare) in alcuni
paesi del sud Europa, determinando una condizione di sbilanciamento creditizio
non corrispondente a fondamenti economici stabili, che è andata improvvisamente
in shock al momento della crisi internazionale; questo antefatto spiega la motivazione
di partenza della condizione di restrizione creditizia attuale, ma non la sua
dinamica;
-
questa dinamica è
causata da un rafforzamento interno, amplificato enormemente dalle politiche
pubbliche pro-cicliche (che esasperano le normali politiche pro-cicliche delle
banche private) di austerità, che scambiano ampiamente le cause con gli effetti
(o meglio fingono, essendo essenzialmente politiche di potenza).
Questa
situazione specifica Europea è, del resto, da inquadrare nel contesto di una
crisi storica del capitalismo finanziario internazionalizzato che non sembra
più capace di serbare un rapporto efficace con la produzione di beni e servizi,
la sua distribuzione e dunque il sostegno degli obiettivi umani e sociali
individuali e collettivi. In particolare, come dice anche Monacelli, in un articolo su La Voce, “nel mondo c’è una fame
insaziabile di liquidità e quindi di ‘titoli sicuri’. Niente di meglio che
parcheggiare risorse in Bund tedeschi e, attualmente (per fortuna), anche in
Bot italiani. Permane il problema di fondo però: come orientare i flussi di capitale verso investimenti reali fissi o
con partecipazioni azionarie, cioè impieghi che finanzino l’accumulazione di
capitale fisico. È qui il cuore del malessere europeo”.
In altre parole
i colossali flussi di capitali liberati dai vincoli istituiti dopo la crisi
degli anni trenta (principalmente l’eliminazione delle restrizioni di movimento
e la caduta della separazione tra banche d’affari e d’investimento) insieme a
quelli messi in campo dai QE della FED, della BoE e della BoJ, determinano un
ambiente nel quale nulla riesce a restare fisso. Come in una grande nave da
carico nella quale una miriade di pacchi e container, grandi e piccoli, siano
accatastati alla rinfusa e senza essere fissati, liberi di essere spostati
anche più volte al giorno, e che incontri una tempesta, si stanno creando gravissimi
rischi di perdita di stabilità.
Questi flussi,
inoltre, nello sforzo di restare liquidi (anche per evitare la presa fiscale
degli Stati, probabilmente), rifiutano di fermarsi su investimenti reali fissi. Per cui non determinano “accumulazione
di capitale fisico”. Anzi, lo prosciugano.
Come avevo
scritto nel post
precedente, la dinamica caratteristica del capitalismo finanziario
internazionalizzato (al cui centro è il sistema bancario ed il suo correlato
sistema bancario “ombra”) determina uno scostamento tra la rendita finanziaria
e lo sviluppo delle forze produttive (cioè della capacità di lavoro e del
capitale fisso sociale disponibile), nel rispetto del capitale naturale. Questo
è ciò che condanna in modo essenziale l’attuale sistema che non è più capace di
servire la società. Prometeo dopo
essere stato liberato dalle catene di ferro è stato legato da lacci d’oro.
Se questo è il
quadro dei problemi, dal punto di vista della BCE enormemente aggravato dal “pilota
automatico” (l’immagine
è di Krugman) imposto dai Trattati e dalla ritrosia tedesca a modificare la
tradizionale politica di contenimento e stabilità, il passo di ieri è sì avanti, ma sulla stessa strada.
Prendere una
serie, nel loro genere anche coraggiose, di misure uniformi in un sistema
continentale altamente ineguale e disuniforme, rischia quindi di aumentare gli
squilibri. Se sortisse quello che è probabilmente l’obbiettivo principale di
contenere il cambio dell’Euro, l’effetto più visibile sarà quello di aumentare,
come dice Francis Coppola tradotta
in Voci dall’Estero, lo
sbilanciamento della Germania verso le esportazioni. Infatti, giunti a questo
punto, l’Euro sta probabilmente iniziando, con la sua straboccante forza verso
il dollaro e lo jen, a causare la deflazione per importazione (energia e merci)
persino in Germania. Ma aiutare le esportazioni di tutti (e quindi
principalmente della Germania) determinerà un incremento degli squilibri
globali che sono uno dei motori dell’attuale guerra valutaria mondiale.
In questo quadro
molto difficile, nel quale ogni azione è legata ad altre e spesso retroagisce
in senso opposto, l’azione più visibile (i tassi negativi), insomma, appare di
dubbia utilità. Per alcuni, come Terzi,
su Keynesblog, o George
Magnus su Financial Times, potrebbe
essere anche controproducente. Infatti è sostanzialmente una tassa sui redditi
delle banche, ha poca massa (poche centinaia di miliardi) e soprattutto non ha
alcun legame con i prestiti all’economia reale (come è ormai
chiaro, non sono i depositi a fare i
prestiti, ma è il contrario). L’unico effetto probabile, il calo del cambio
per effetto del deflusso dei capitali verso altri lidi extraeuropei di “posteggio”,
è di ambigua convenienza.
In conclusione,
tra gli strumenti potenzialmente utilizzabili dalla Banca Centrale, mancano
ancora quelli che sarebbero invece realmente utili: acquisti discrezionali e ineguali (e dunque utilizzabili per
determinare convergenza e non consolidare divergenze) di titoli dall’economia reale condotti con moneta fiduciaria creata dal
nulla e non sterilizzata.
Si tratta del Full Quantitative Easing in una versione
che non potrebbe che provocare furiose reazioni da parte tedesca, e che
richiede una direzione politica solidale ed Europea.
Ambrose Evans-Pritchard, con l’abituale solerzia, ci racconta
su Telegraph, che anche il bilanciato
pacchetto di ieri (orientato a dare risposta proprio alla nascente ansia del
Governo tedesco) ha provocato furibonde reazioni da parte del Capo dell'Associazione Tedesca delle Casse di
Risparmio, Georg Fahrenschon, che ha accusato la BCE di espropriare i risparmiatori
e di distruggerne le “attività”, o di Der
Spiegel che ha addirittura parlato di “fine del capitalismo”, mentre Die Welt ha descritto il signor Draghi
come il Bismarck d'Europa.
In
un contesto in cui il Ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schäuble, mette
in discussione il piano di backstop per le obbligazioni italiane e spagnole di due
anni fa, “dicendo che il regime non può andare avanti senza il consenso tedesco
e che non ci sarà”, la domanda è “quanto la Germania è disposta ad andare avanti
per tenere insieme il sistema?”.
D’altra parte
anche il modesto LTRO annunciato (per quattro anni), come evidenzia FT, aiuterà
solo in modo marginale. Allo stato si risolve in un trasferimento di risorse
dalla BCE (cioè dal pubblico) alle banche (che si indebitano con il pubblico
allo 0,25%, cioè ad un tasso reale negativo) e dopo quattro anni restituiscono
meno di quel che hanno preso in termini reali. Inoltre li utilizzano per
comprare Titoli di Stato con un rendimento del 3% finanziato dalle tasse,
ottenendo nell’insieme un trasferimento netto di risorse e nessun rischio.
Resta dunque solo
da “ingoiare il rospo” e comprare titoli, in modo adeguato (ben oltre i 1.000
miliardi qualche volta ventilati) sia dal mercato privato (che, però, ne
dispone solo in modo limitato) sia da quello pubblico (che ne ha almeno dieci
volte di più). In questo modo, almeno, le tasse servirebbero ad alimentare il
bilancio della BCE che potrebbe essere utilmente impiegato.
Oppure, come
ricorda Varoufakis nel suo blog,
comprare titoli emessi dalla BEI per finanziare un Programma di Investimenti
infrastrutturale europeo all’altezza delle nostre ambizioni.
Anche se questo
programma porterebbe in linea di scontro con la semi-egemone Germania sarebbe l’unico
modo per affrontare il reale conflitto distributivo sul quale ci stiamo
letteralmente distruggendo.
D’altra parte,
come ci ricorda Bechetti, nel suo
blog, nelle condizioni della globalizzazione è ormai evidente che l’espansione
monetaria non determina gli effetti di incremento dell’inflazione che provocava
nelle economie molto più chiuse degli anni settanta. Il pensiero egemone,
formatosi sulla scorta di Milton
Friedman e allievi, non si è ancora accorto (completamente)
che l’inflazione non può più salire perché nessuno può alzare impunentemente i
prezzi e perché i capitali in eccesso, esaurite le occasioni di investimento
locali, si spostano sull’intero pianeta. In queste condizioni, semplicemente,
non si paga più pegno (almeno sino a valori molto alti) a creare nuovo denaro
per investimenti produttivi ed impiego della capacità inutilizzata. Ma il
mercato non trova abbastanza conveniente farlo, preferisce volare alto.
Questa è la strada nuova che la BCE non sembra aver
preso.
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