E’ passato nel linguaggio comune il
termine “Euroscettico”, per indicare chi sottopone a critica l’utilità o l’equità
della Moneta Unica introdotta a seguito del Trattato
di Maastricht, nel contesto culturale, ideologico ed economico (oltre che
politico) degli anni novanta. Questa scelta è figlia della storia, della sua
specifica storia, e come tale andrebbe guardata nello spirito di una costante
attenzione e revisione critica. Come detto
essere “scettico”, in fondo, non significa altro che questo: tenere sempre
aperta la porta del «controllo critico» circa gli oggetti del sapere, compiuto
senza mai giungere a una conclusione definitiva.
In questa linea non sembri una condanna
ricordare che la Moneta Unica nasce, con la sua caratteristica e per alcuni
versi tragica, accelerazione rispetto al processo di formazione di uno Stato
Europeo (o di altra formazione politica alternativa, che potrebbe richiedere
diversi accordi di cambio, o diversa regolazione della Banca Centrale) sul
quale i “partner” europei non erano (come non sono) pronti, dall’insieme mai discusso adeguatamente di:
1.
Un’urgenza
geopolitica determinata dal subitaneo crollo, negli
anni 1989-93 del blocco sovietico, con conseguente liberazione dell’ampia area
economica e politica dell’Est europeo dal controllo e con la competizione
(almeno percepita tale da alcuni decisori europei, come testimonia
nel 1991 Emilio Colombo, in quegli anni Ministro degli Esteri italiano, al
Parlamento nella discussione di chiusura della ratifica del trattato) con gli
USA per l’allargamento della sfera di influenza. Aprendo una gara che vede la
Germania largamente vincitrice (ad esempio la Polonia è ormai una sorta di
protettorato tedesco);
2.
Una,
mal concepita e mal trattata, spinta a incapsulare la Germania unificata proprio in quegli anni,
in una camicia di nesso con le altre economie europee. In questa direzione sembra,
con il senno di poi, che nel gioco delle concessioni e richieste i negoziatori
tedeschi abbiano portato a casa tutta la posta, i nostri siano rimasti con
qualche briciola (come risulta anche dal dibattito
sulla ratifica, nel quale interventi come quello di Intini spiccano per la
lucidità e la pavidità al tempo), ai francesi solo l’illusione di governare l’istituzione,
ai britannici qualche maggiore margine di libertà (in primis l’esclusione dall’Euro,
che gli ha consentito di reagire molto meglio alla crisi).
3.
Una
impostazione ideologica, figlia dei tempi, che vedeva con
grande sospetto la democrazia e la politica, in favore della forza di
autoprogrammazione dei mercati economici e di istituzioni indipendenti (come la
BCE, vero dominus creato dai Trattati). Restando al dibattito per la ratifica
lo vede bene, e lo dice Petruccioli del PDS che con questo atto vede giungere
“ad un punto critico” il processo di unificazione europeo, spinto in pratica da
una concezione “limitata, asfittica” sostanzialmente riconducibile alle “forze
del mercato e quelle dei capitali”, che ignora e marginalizza la “risorsa della
volontà consapevole dei cittadini, la risorsa delle scelte e delle decisioni
assunte e controllate attraverso gli strumenti e le istituzioni della
democrazia”, cioè la “risorsa della politica”. Ancora secondo
Petruccioli, “il mancato ricorso alla risorsa politica”, derivante dall’esito
del negoziato di Lussemburgo, e l’idea che in fondo l’Unione Politica arriverà
come “conseguenza automatica e residuale di processo di unione del mercato e
della moneta”, provoca una cruciale distorsione e determina la prevalenza dei
poteri e procedure tecnocratiche ed “è probabile che possa provocare la
paralisi” (“se non peggio”). Nel 1991 potremmo candidare l’esponente politico
al Premio Profeta per questa osservazione (ma, in realtà, quello è un anno
ricco di “nomination”).
Il
punto non è solo di dare spazio ad assemblee democratiche, per un mero fatto
formalistico o ideologico, la questione è che il perimetro decisionale
determinato dalla “dinamica intergovernativa” e dagli uffici burocratici di
Bruxelles non consente “la piena espressione di tutte le posizioni
effettivamente in campo ed un costruttivo confronto tra di esse”. Dunque non
consente di individuare e soppesare gli interessi legittimi coinvolti nelle
decisioni, consente di fare violenza ad alcuni di essi.
Dei
due bracci necessari dell’Unione Europea, insomma, quello politico è
atrofizzato e resta solo quello economico. Con il solo “braccio economico”, per
Petruccioli, saranno difficili i processi di integrazione; i paesi deboli (a
cominciare da quelli ex Comecon) “resteranno isolati, saranno oggetto di
dislocazioni di produzioni per il basso costo del lavoro e l’assenza di diritti
sindacali, e saranno possibile terreno di esperienze
nazionalistico-autoritarie, costituendo sia sotto l’aspetto della competizione
economica sia sotto quello dell’incubazione di politiche reazionarie il punto
di partenza per aggredire le conquiste di cittadinanza nella Comunità europea,
dallo Stato sociale ai diritti civili”.
Le
conseguenze di tutto ciò sono che “sarà difficile evitare che anche con il Trattato di Maastricht operante si
determini un’egemonia della banca tedesca e il costituirsi, di fatto, di una
comunità del marco con dinamiche ed estensione che prescindono da quelle dell’Unione
Europea”. E, forse più importante: “sarà difficile evitare crisi di rigetto”.
Questa critica,
siamo nel 1991, non impedisce al Partito di votare a favore, contraddicendo e
rovesciando la
posizione, ben più coraggiosa che nel 1978 aveva preso il suo antesignano
PCI.
Nel quadro di queste tre determinanti
storiche della scelta, e delle tre insufficienze che comportano nel quadro
odierno (dal ’91 la globalizzazione ha totalmente cambiato il quadro, manifestando
tutta la sua capacità distruttiva, il dibattito sull’unificazione andrebbe
ripreso e non stancamente continuato; l’equilibrio delle forze e delle
influenze entro la dinamica Europea andrebbe focalizzato in modo franco e
realistico, senza indulgere in sogni ed autoinganni, e senza cinismi e
furbizie; l’assetto ideologico, tutto
politica dell’offerta e certezza nella capacità di equilibrio dei mercati, con
il connesso sospetto per la politica democratica, andrebbe aggiornato ai tempi
ed alle sfide che sono completamente diverse da quelle degli anni
ottanta-novanta) lo “scetticismo” è più che opportuno.
MA se uno non ha una posizione “scettica”,
quale ha?
Mi pare siano presenti tre atteggiamenti:
1-
“L’Eurofedele”,
colui che collega alla Moneta Unica degli investimenti identitari ed affettivi,
una posizione nel mondo secondo una rappresentazione che vede nella istituzione
monetaria la più recente incarnazione di quell’ideale di progresso, apertura,
modernizzazione, che è il sostituto funzionale contemporaneo della religione e
della trascendenza. L’Euro, ma in modo più ampio il processo di
transnazionalizzazione e di caduta delle frontiere nazionali, è lo Spirito
della Storia connettendosi a quel potente asse ideologico che muove dall’illuminismo
ad oggi la spiritualità dell’occidente. Molto spesso questa ispirazione, per
grande parte non cosciente, è quel che impedisce a chi ha una posizione
politica e culturale “progressista” di prendere le distanze dal Progetto. E’ la
ragione per cui Petruccioli, alla fine, vota a favore.
2-
“L’Eurodogmatico”,
colui
che resta prigioniero mentale di una rete di concetti ossificata in dogmi
contenuti in una tradizione culturale che ha dominato, praticamente senza
opposizione, gli ultimi trenta anni di dibattito economico e politologico, ha
avuto una rappresentazione totalizzante sui media, ha ispirato e determinato
tutte le carriere nelle istituzioni coinvolte con la gestione e programmazione
delle scelte economiche e politiche. La totale coerenza interna, l’eleganza
levigata, la massa degli studi, dei dati (derivanti, come sono, da strumenti di
rilevazione e concetti organizzativi ad essi coerenti), rende difficile per chi
è stato formato in questo milieu vederne i limiti.
Il Cardinale Bellarmino |
E’, per certi versi, come
assistere al dibattito tra il Cardinale Bellarmino (che ebbe parte centrale
nella condanna di Giordano Bruno e nel primo processo del 1616 a Galileo
Galilei, non nel conclusivo del ’33, dato che morì nel 1620) e lo stesso
Galilei: il primo era ricco di dottrina e coerenza, aveva grande dirittura morale,
ed era nella posizione di potere; il secondo aveva il futuro dalla sua, ma non
il presente, la sua posizione aveva elementi di debolezza ma ridefiniva i
parametri del sapere. Nella straordinaria lettera
che il Cardinale scrive al Priore Paolo Antonio Foscarini, che sostiene le
posizioni di Galilei, nel 1615, il primo argomento (parlare per ipotesi, cioè
per esercizio mathematico, della centralità del sole e del movimento
eliocentrico della terra è una cosa, dire che è vero supera il segno perché “è cosa molto pericolosa non solo d'irritare
tutti i filosofi e theologi scholastici, ma anco di nuocere alla Santa Fede con
rendere false le Scritture Sante”) assomiglia straordinariamente ad
alcune reazioni “Eurodogmatiche”: fino a che si critica accademicamente l’assurdità
tecnica dell’Euro va bene, ma dire che bisogna passare nel mondo reale e
revocarlo passa il segno e rischia di muovere tutti gli assetti reali del
potere, un intero mondo potrebbe essere messo in questione.
3-
“L’Eurointeressato”,
colui,
dei tre il più lucido, che ha
specifici interessi nella centralità dell’economia finanziaria, e nelle sue
istituzioni, sull’economia nazionale che l’Euro contribuisce in modo decisivo a
consolidare. Oppure, per individuare un secondo “attore” dell’alleanza, l’industriale
orientato alle esportazioni e/o alla delocalizzazione delle strutture
produttive per sfruttare il dumping salariale che la caduta di ogni barriera allo
spostamento di capitali (in primis il cambio) genera implicitamente. Infine il
politico che ha legato la sua carriera al percorso europeo e alla particolare
libertà di azione che la dinamica delle “mani legate” genera (è un
rovesciamento caratteristico: le arene decisionali opache e democraticamente
chiuse nelle quali si prendono decisioni politiche ed amministrative a
Bruxelles, limitano l’azione delle arene nazionali nelle quali la maggiore
esposizione alla sfera pubblica determina vincoli argomentativi e valoriali più
stringenti. Un politico che collochi la sua azione a cavallo delle due sfere è
singolarmente libero proprio nel “denunciare” il suo stato di “legato” dalle
decisioni europee, che in realtà ha contribuito a formare in associazione con
gli altri due attori di cui sopra).
Come ho già detto, se costretto a
scegliere, mi spiace, tra le quattro alternative scelgo di essere “Euroscettico”.
Confesso, amo Sesto Empirico.
L’ideale sarebbe, entrare nell’area
della δόξα
(doxa) cioè nel dominio dell’«opinione», sapendo di non
possedere la certezza obiettiva della verità, ma potendo formare una opinione
inter-soggettiva. Giungendo ad una vera
conoscenza (ἐπιστήμη)
tramite l’aperto e franco esercizio dialettico, partendo dalle varie dòxai.
Ma
bisogna andare oltre Bellarmino.
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