Gli Schizzi
Pirroniani, di Sesto Empirico sono state una delle mie prime letture,
lo scetticismo, nel pensiero del medico greco del 2° secolo d.c. è l’atteggiamento
di chi esclude la possibilità di una conoscenza assoluta delle cose e del
raggiungimento della verità finale. Una tradizione che fu, appunto, iniziata da
Pirrone di Elide. Il termine deriva dal gr. σκέψις, che propriamente designa
l’esercizio dello σκέπτεσϑαι; cioè del «controllo critico» circa gli oggetti
del sapere, compiuto senza giungere a una conclusione definitiva. Il
discorso scettico è un discorso di verità, forse l’unico possibile, quello di chi sa di non averla e sospetta
che nessuno ne disponga.
In questo senso,
io, lo confesso, sono scettico. Ma
non solo sull’Euro, lo sono sull’Unione Europea, sull’Unità d’Italia, sugli
Stati Uniti d’America, sulla costruzione dello Stato Nazionale, sulla
governance internazionale espressa da FMI, WTO, Banca Mondiale, sul
capitalismo, sul socialismo, sul liberalesimo, sulla democrazia, e via dicendo.
Su tutto occorre tenere vigile il
<controllo critico>.
Da bravo “euroscettico”,
a questo punto, devo dire che l’articolo di
Francesco Daveri, pubblicato su La Voce.it e anche il suo piccolo occhiello
di lancio di Tito Boeri, su L’internazionale.it, non mi convincono.
Con molto rispetto mi sembrano troppo sicuri di avere la verità. Ma soprattutto
sono troppo polemici e rivolti a dimostrare una tesi preconfezionata (che l’Euro
non è responsabile di nulla).
Ci racconta
Daveri che i Partiti Euroscettici (ai quali, ovviamente, io non mi iscrivo, da
bravo scettico) sono tenuti insieme da un collante specifico: “il riferimento
ad un’Europa Tedesca”. E questo riferirebbe all’esistenza di un surplus
commerciale della Germania nei confronti dei partner dell’area Euro.
Poi ci racconta
che il surplus di bilancia commerciale tedesco (invero colossale, dato che è il
maggiore del mondo) di fatto è oggi simile a quello che si aveva nel primo anno
di introduzione dell’Euro (fisico), il 1999.
Ma ci evidenzia
anche che in questo sostanziale equilibrio la Francia vede, invece, crescere
costantemente il proprio sbilanciamento. Di qui il successo della Le Pen.
Conclude
affermando che “un graduale riequilibrio dei conti con l’estero della Germania
porterebbe con sé non solo una maggiore stabilità economica dell’eurozona, ma
anche una sua maggiore stabilità politica”.
Siamo d’accordo.
Lo spirito
polemico emerge, tuttavia, nelle pieghe di questo discorso fattuale: il fatto
che la bilancia commerciale si stia riequilibrando (cosa notata da molte parti,
anche dalla Commissione
Europea ad inizio di marzo) implica secondo il nostro bravo economista che “l’introduzione dell’Euro è stata neutrale
sui conti con l’estero della Germania rispetto agli altri paesi dell’Unione.”
Una tesi
frettolosa, infatti poco prima la sua onestà intellettuale lo aveva costretto a
ricordare che a metà tra il 1999 ed il 2013 c’è il 2007 (cioè la rottura
determinata dalla crisi a W nella quale siamo catturati). E che nel 2007, cioè
dopo il primo decennio (perché l’Euro come moneta di cambio parte prima), lo
squilibrio con i paesi europei era salito dal 3 a 5 %. Allora vediamo che uno
squilibrio preesistente (e che viene da lontano, dalla struttura delle rispettive
economie e modelli) quasi raddoppia negli anni dell’Euro trionfante per poi scendere di nuovo nella crisi.
Questo fatto
abbisogna di spiegazione, Daveri ne propone una: “vuoi in conseguenza di sforzi
specificamente destinati a questo obiettivo, vuoi a causa della crisi che ha
determinato una drammatica divergenza nei tassi di crescita tra le aree
centro-nord e sud dell’eurozona, i dati di export e import tedesco mostrano
che, nei sei anni che vanno dal 2007 al 2013, la Germania ha dato un contributo
non marginale alla correzione degli squilibri all’interno dell’area euro”.
Di qui la
conclusione che “Il surplus tedesco con l’Eurozona
non è eccessivo” e che non dipende da un “atteggiamento egoistico della Germania”.
Tralascerei il
fatto che il surplus della Germania sia considerato eccessivo dagli americani
(come ricorda anche Daveri), dalla Commissione Europea (come abbiamo mostrato
prima, ed anche adesso),
da Olli
Rehn a novembre, da Martin
Wolf, e che l’atteggiamento egoistico della Germania è continuamente
stigmatizzato da notissimi “euroscettici” come Jurgen
Habermas e Ulrick
Beck (per non sforzarci troppo a cercare). Ciò che mi colpisce è che la “spiegazione”
di Daveri del fatto dell’esplodere
dello squilibrio negli anni dell’Euro credibile, per poi precipitare negli anni
della crisi dissimetrica (cioè quasi solo al sud, tra i clienti) sia che “la Germania
ha dato un contributo non marginale alla correzione degli squilibri”. E quale?
L’unico
meccanismo che illustra il nostro è “la crisi che ha determinato una drammatica
divergenza nei tassi di crescita tra le aree centro-nord e sud dell’eurozona”.
Si comprende, perché è in effetti il meccanismo che anche la Commissione mette
in evidenza: la crisi, colpendo la
domanda interna dei paesi del sud, ne riduce le importazioni, dunque riduce le
esportazioni di qualcun altro. Di chi? Ma certo, della Germania (e non
solo, ovviamente, anche della Cina come vedremo bene tra poco, anche degli USA,
come sa bene Obama).
Allora io forse
ho letto troppa filosofia scettica, dunque mi scuso, ma quale è la logica di questo argomento? Se la crisi tende a
riequilibrare le bilance commerciali (riportando in zona positiva la nostra e
riducendo, con lo stesso movimento, la positività di altre) in che senso questo
è un “contributo” (dunque una politica attiva, intenzionale, voluta) della
Germania?
Casomai è un
contributo (inintenzionale) della crisi.
A meno che sia la Germania la causa della crisi. Ma anche in questo caso (che Daveri non
suggerisce, e che non suggeriamo neppure noi), non sarebbe un “contributo”, ma
al massimo un “effetto”.
Purtroppo queste
cose succedono quando si possiede la Verità, e si legge tutto a partire da
essa.
Meglio restare scettici.
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