Due articoli di qualche giorno fa introducono la
stessa riflessione, in USA e in Europa, Il New
York Times racconta
di un dibattito circa la permanenza o meno della politica di acquisti di titoli
condotta a partire dalla crisi del 2008 dalla FED.
L’autorevole giornale americano si chiede se il
QE diventerà alla fine uno strumento permanente della cassetta degli attrezzi
delle Banche Centrali, citando un nuovo documento dell’economista Benjamin
Friedman della Harward University, pubblicato da National Bureau of Economic Research
(quindi una fonte notevolmente autorevole). Dunque la tradizionale politica dei
tassi di interesse a breve termine sarà, secondo Friedman, affiancata in
avvenire dell’uso del bilancio della Banca Centrale che si è dimostrato
efficace per abbassare i tassi a lungo termine e i tassi sui prodotti più
rischiosi.
La controversia intorno a questo strumento vede
da una parte il Presidente Janet Yellen, che ne elogia l’utilità ad altri
(insieme ad eminenti economisti) a sostenere che l’utilità del programma è
calante nel tempo e non riesce ad aggredire ulteriormente la disoccupazione
(che è al 6,3%).
D’altra parte l’altra arma tradizionale, la
semplice parola, cioè l’investimento della propria reputazione per indicare il
futuro non è stato molto efficace.
Secondo Friedman l’esperienza di questi ultimi
anni “rischia si scuotere le fondamenta della teoria monetaria e il modo in cui
gli economisti pensano all’influenza della moneta sui tassi di interesse”.
Dall’altra parte dell’oceano, il Financial Times,
descrive
un’animata riunione della BCE nella quale Paul
Krugman ha teatralmente condotto una discussione restando in piedi a pochi
metri da Mario Draghi in un evento che
l'autorità monetaria della zona euro spera di far diventare la propria versione
di Jackson
Hole. La tesi di Krugman si
basava sulla sua prognosi per “la nuova normalità” che attenderebbe le grandi
economie avanzate dopo la crisi; dunque sulla valutazione che il 2 %, anche
ammesso fosse opportuno nel 1990, non lo sarà in futuro. Un insieme di
fattori come i cambiamenti demografici e la mancanza della leva finanziaria,
stanno per creare un mondo dove i livelli di domanda aggregata saranno molto
più bassi rispetto a prima dello schianto. Secondo le sue parole: “stiamo
guardando una politica di austerità naturale ... è molto facile pensare che
potrebbe spingere il tasso di interesse reale a un livello in cui è
persistentemente negativo”. Per questo sarebbe necessario definire un obiettivo
più alto allo scopo di attivare le economie che soffrono di bassa inflazione
(come la zona euro) per sfuggire alla trappola stimolando la domanda aggregata. La
spinta arriverebbe attraverso la politica di allentamento che un obiettivo più
alto implicherebbe.
Calo popolazione attiva in Europa |
La dichiarazione di Krugman ha subito incontrato
forti opposizioni: ad esempio Otmar
Issing, ex membro del Consiglio Bce e Bundesbank, a suo tempo una delle
figure più importanti nella fissazione degli obiettivi della Banca Centrale ha
difeso il suo precedente operato sostenendo la pericolosità di una inflazione
più alta “sul benessere” (non so se ha chiarito di chi). Agustin Carstens,
Governatore della Banca del Messico, ha rispolverato il sempreverde spauracchio
argentino, dove l'inflazione è aumentata rapidamente negli ultimi anni ..
James
Bullard, dalla FED di St Louis, è stato invece più solidale, concordando
con il paper, ma insieme ha dichiarato che è più facile da dirsi che da farsi. Inoltre
ha condiviso la descrizione degli effetti di benessere citata dal signor
Issing, sostenendo che l'inflazione nel corso della storia aveva colpito più
duramente i più poveri.
Altri si sono chiesti se una Banca Centrale che
non può nemmeno colpire un obiettivo del 2 % sarebbe in grado di alimentare
l'inflazione semplicemente alzando il suo obiettivo.
Una
buona domanda.
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