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domenica 22 giugno 2014

Jeffrey Frankel, “come affrontare l’ineguaglianza”


Un recente Articolo di Jeffrey Frankel sottolinea come di recente sia nel dibattito pubblico americano come in un importante paper del Fondo Monetario Internazionale sia stata data una rilevanza fino ad ora sconosciuta al tema della “ineguaglianza”. Ormai appare evidente a tutti che negli Stati Uniti la disuguaglianza del reddito è tornato ai livelli estremi della Gilded Age (Piketty 2014). Specificatamente:
      ·        La quota di reddito detenuta dall’1% è salita dall'8%, nel 1980, al 19%, nel 2012 - un livello visto l'ultima volta nel 1928, e probabilmente il più alto tra i paesi avanzati come sottolineano Alvaredo et al nel 2014;
       ·        La quota detenuta dallo 0,1% è salita dal 2% a quasi il 9% attualmente - un livello visto solo nel 1916.
Un fenomeno simile si registra in molte parti del mondo, con l’eccezione dell'America Latina, dove è sempre stata molto alta, e di parte dell'Europa continentale, dove rimane relativamente bassa.

Il problema non è solo di distribuzione della “torta” dello sviluppo (che va per lo più alla parte alta della distribuzione), ma che:
      -         La disuguaglianza, secondo recenti ricerche, danneggia la crescita in condizioni di domanda inadeguata, soprattutto perché aumenta il risparmio (i ricchi risparmiano una quota maggiore del reddito);  
     -         Come sottolinea Rajan, in via indiretta la disuguaglianza, nello sforzo di garantire comunque i consumi in presenza di redditi inadeguati, porta ad eccessiva volatilità e instabilità (nella ricostruzione della crisi compiuta dall’ex professore di Chicago, è una delle cause primarie della crisi del 2008);
     -         Ovviamente bisogna aggiungere che una maggiore ineguaglianza, in particolare in presenza di minore mobilità sociale percepita, genera quella che l’autore chiama “invidia e infelicità”, cioè una società meno coesa e più conflittuale.

Inoltre, e questa è una delle considerazioni più forti, l’eccesso di ricchezza disponibile nella parte alta della piramide sociale crea effetti distorsivi nell'effettiva distribuzione del potere. Tramite molte vie, questa ricchezza e status, determina una sovracapacità di determinare l’agenda pubblica da parte dei “ricchi come classe” (Stiglitz). Il potere economico si traduce in potere politico. Questa ultima considerazione ha la forza di impedire l’autocorrezione (attraverso la democrazia) delle prime tre. In altre parole, la deriva oligarchica rende la deriva della concentrazione di potere economico e politico autorafforzante.
In queste condizioni, normalmente il processo politico, quindi, seleziona decisioni che non ottengono il miglior compromesso tra eguaglianza e crescita, spesso anzi danneggiandole entrambe. O meglio, danneggiando l’eguaglianza attraverso un'eccessiva crescita dei redditi di troppo pochi a danno dei più.


Se si riuscisse a superare questo nodo le politiche che andrebbero a vantaggio dell’eguaglianza a costi relativamente bassi in termini di reddito aggregato come negli Stati Uniti, secondo Franckel sarebbero:
      -         L’espansione della Earned Income Tax Credit;
      -         L’eliminazione delle tasse sui salari per i lavoratori a basso reddito; 
      -         Il taglio delle detrazioni per i contribuenti ad alto reddito; 
      -         Il ripristino di imposte di successione più elevate.

Poi potrebbero essere promosse politiche 'win-win', capaci di promuovere la crescita economica globale, riducendo insieme la disuguaglianza; tra queste:
      -         l'istruzione pre-scolastica universale;
      -         l'assistenza sanitaria universale;

Secondo Franckel queste misure sono particolarmente forti se sono finanziate da misure di incremento dell'efficienza, come l'eliminazione delle fossili sussidi, oppure l’eliminazione delle detrazioni per le stock option. 

Il problema che l’autore lascia aperto è appunto come spostare il processo politico verso migliori politiche. Creare allarme verso la deriva oligarchica, come proposto ad esempio da Stiglitz (ma anche da Krugman da qualche tempo), è secondo lui alquanto impreciso. Come tutte le semplificazioni trascura che il reddito dello 0,1% deriva anche da lavoro (il riferimento è ai top manager  del settore finanziario o alle star dello spettacolo), e non solo dal capitale ereditato (secondo la tesi Piketty).
D’altra parte la cosa veramente grave è che la necessità di farsi eleggere, da parte dei politici, rende il processo democratico molto sensibile alla ricchezza disponibile e concentrata in poche mani. Molto spesso vengono per questo motivo promosse politiche apparentemente a favore della maggioranza, ma in realtà disegnate astutamente per favorire il vertice.


La questione resta aperta.

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