Un recente Articolo di
Jeffrey Frankel sottolinea come di recente sia nel dibattito pubblico americano come
in un importante paper del Fondo
Monetario Internazionale sia
stata data una rilevanza fino ad ora sconosciuta al tema della “ineguaglianza”. Ormai
appare evidente a tutti che negli Stati Uniti la disuguaglianza del reddito è tornato
ai livelli estremi della Gilded Age (Piketty 2014). Specificatamente:
·
La quota di
reddito detenuta dall’1% è salita dall'8%, nel 1980, al 19%, nel 2012 - un
livello visto l'ultima volta nel 1928, e probabilmente il più alto tra i paesi
avanzati come sottolineano Alvaredo et al
nel 2014;
·
La quota
detenuta dallo 0,1% è salita dal 2% a quasi il 9% attualmente - un livello visto solo nel 1916.
Un fenomeno
simile si registra in molte parti del mondo, con l’eccezione dell'America
Latina, dove è sempre stata molto alta, e di parte dell'Europa continentale,
dove rimane relativamente bassa.
Il problema non
è solo di distribuzione della “torta” dello sviluppo (che va per lo più alla
parte alta della distribuzione), ma che:
-
La disuguaglianza,
secondo recenti ricerche, danneggia la crescita in condizioni di domanda
inadeguata, soprattutto perché aumenta il risparmio (i ricchi risparmiano una quota
maggiore del reddito);
-
Come sottolinea Rajan,
in via indiretta la disuguaglianza, nello sforzo di garantire comunque i
consumi in presenza di redditi inadeguati, porta ad eccessiva volatilità e
instabilità (nella ricostruzione della crisi compiuta dall’ex professore di
Chicago, è una delle cause primarie della crisi del 2008);
-
Ovviamente bisogna aggiungere che una
maggiore ineguaglianza, in particolare in presenza di minore mobilità sociale
percepita, genera quella che l’autore chiama “invidia e infelicità”, cioè una
società meno coesa e più conflittuale.
Inoltre, e
questa è una delle considerazioni più forti, l’eccesso di ricchezza disponibile
nella parte alta della piramide sociale crea effetti distorsivi nell'effettiva distribuzione del potere. Tramite
molte vie, questa ricchezza e status, determina una sovracapacità di determinare
l’agenda pubblica da parte dei “ricchi come classe” (Stiglitz). Il potere economico si traduce in potere politico. Questa ultima considerazione ha la forza di impedire l’autocorrezione (attraverso
la democrazia) delle prime tre. In altre parole, la deriva oligarchica rende la deriva della
concentrazione di potere economico e politico autorafforzante.
In queste condizioni, normalmente il
processo politico, quindi, seleziona decisioni che non ottengono il miglior
compromesso tra eguaglianza e crescita, spesso anzi danneggiandole entrambe. O
meglio, danneggiando l’eguaglianza attraverso un'eccessiva crescita dei
redditi di troppo pochi a danno dei più.
Se si riuscisse a superare questo nodo le politiche che
andrebbero a vantaggio dell’eguaglianza a costi relativamente bassi in termini di
reddito aggregato come negli Stati Uniti, secondo Franckel sarebbero:
-
L’espansione
della Earned Income Tax Credit;
-
L’eliminazione
delle tasse sui salari per i lavoratori a basso reddito;
-
Il taglio delle detrazioni
per i contribuenti ad alto reddito;
-
Il ripristino di
imposte di successione più elevate.
Poi potrebbero essere promosse politiche 'win-win', capaci di promuovere la crescita economica globale, riducendo insieme la disuguaglianza; tra queste:
-
l'istruzione
pre-scolastica universale;
-
l'assistenza
sanitaria universale;
Secondo Franckel queste misure sono particolarmente forti se sono finanziate da misure di incremento dell'efficienza, come l'eliminazione delle fossili sussidi, oppure l’eliminazione delle detrazioni per le stock option.
Il problema che
l’autore lascia aperto è appunto come spostare il processo politico verso migliori
politiche. Creare allarme verso la
deriva oligarchica, come proposto ad esempio da Stiglitz (ma anche da
Krugman da qualche tempo), è secondo lui alquanto impreciso. Come tutte le semplificazioni
trascura che il reddito dello 0,1% deriva anche da lavoro (il riferimento è ai
top manager del settore finanziario o
alle star dello spettacolo), e non solo dal capitale ereditato (secondo la tesi Piketty).
D’altra parte la
cosa veramente grave è che la necessità di farsi eleggere, da parte dei
politici, rende il processo democratico molto sensibile alla ricchezza
disponibile e concentrata in poche mani. Molto spesso vengono per questo motivo promosse
politiche apparentemente a favore della maggioranza, ma in realtà disegnate
astutamente per favorire il vertice.
La questione
resta aperta.
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