Su Il Venerdì de La Repubblica, è stato pubblicato un articolo
di Riccardo Staglianò (n.1372 del 4 luglio 2014) che riassume la posizione di
uno dei profeti della realtà virtuale, un tipo per un terzo musicista, un terzo
informatico ed un terzo imprenditore. Un tipico prodotto della subcultura di
Berkeley nella quale l’ipermodernità si lega ecletticamente ai linguaggi estetici
anni sessanta-settanta, e l’individualismo legittima la piena ricerca del
successo ed il più spregiudicato utilizzo dei meccanismi della moda.
Larnier si è
pentito: dopo aver sostenuto per anni che internet libererà l’uomo, che produrrà
un anarcoide e liberato mondo della piena affermazione per tutti, depurato del
potere e leggero come le idee, si è accorto che si va nella direzione opposta.
O meglio, che la libertà è per pochi.
Nel suo settore
più amato, la musica, ha visto che tutto cala man mano che il prodotto si
diffonde “liberamente”. Che le sale da incisione chiudono, i musicisti iniziano
a cambiare mestiere, i negozi restano deserti.
Ma non succede
solo nel mondo della musica (nel quale, ormai, con un i-phone ed una apposita
app, con poche centinaia di euro si possono ottenere risultati che richiedevano
decine di migliaia di euro e il lavoro di molte persone), ma ovunque. Sono nati
giganti (cui Larnier ha del resto venduto ben tre “start-up”) che impiegano la
millesima parte dei lavoratori che erano prima impegnati nei loro settori e le
strade si svuotano dei negozi.
Secondo alcune
ricerche, riportate nell’articolo, sono a rischio di ulteriore distruzione ben
il 47% dei mestieri attualmente praticati negli USA e il 40% della forza
lavoro.
Alcuni esempi
sono Kodak, che impiegava 140.000 persone, oltre ad un enorme indotto per la
distribuzione e commercializzazione di miliardi di pellicole, poi per il loro
sviluppo e conservazione, è stata praticamente sostituita dai telefonini, da
qualche app e qualche “social”. Istagram impiega 13 dipendenti, ed è stata
appena venduta per un miliardo di dollari (Kodak ne valeva 28 con tutti i suoi
stabilimenti).
Le catene di
viaggi cedono a Expedia, Orbitz; le librerie ad Amazon; le case editrici a
Kindle e al fenomeno dei libri fai-da-te; i traduttori stanno per essere
spazzati via da software di traduzione che impiegano le innumerevoli traduzioni
esistenti fatte da uomini, per automatizzarle e renderle sempre migliori con l’uso;
Skype sta per lanciare un servizio di sottotitoli automatico che “farà fuori” gli
interpreti (magari insieme a Google glass); l’istruzione universitaria potrà
essere distribuita da Berkeley in tutto il mondo, a decine di milioni di
discenti, a prezzi unitari bassissimi; una app (“Uber”) farà fuori i tassisti;
altre stanno facendo lo stesso con gli alberghi; arriveranno le Google Car, a
sfidare i camionisti; ma la cosa non dovrebbe lasciare tranquilli neppure gli
analisti di borsa (“Warren”), i giornalisti, i commercialisti, gli avvocati,
gli architetti, etc.
E’ il modello
della new economy, winner takes all.
Ed è basato
sullo sfruttamento senza restituzione di valore di una miriade di
microcontenuti che sono sommati, resi significativi dall’immensa potenza del “big
data”. Questo è il punto messo in evidenza da Larnier: il segreto del successo
di Google Traslate, di Facebook, di Amazon, di You Tube, è che tutti i contenuti
che nelle loro mani diventano oro sono regalati. Ogni video, frammento di
conversazione, traduzione modificata (scegliendo la parola più appropriata
nella tendina a scorrimento), libro selezionato o commentato, oggetto comprato,
“like”, “retweet”, trasmette informazioni che hanno un valore.
Qui la sua
soluzione, istituire un sistema di tracciabilità per consentire che ogni
contenuto validato, per essere usato, sia fronteggiato da un micropagamento.
Cosa resterà?
Sicuramente una élite dotata del capitale culturale, simbolico e informatico
per rendersi necessario nel mondo della iperappresentazione che ci si prepara;
sono i vincenti che prendono tutto.
Poi? Qui
la cosa si fa difficile; una polvere di nicchie di mestieri di cura uno-ad-uno,
autoprodotti e inventati; l’apologia dell’individualismo estremo.
In mezzo? Se
nessun meccanismo pubblico o privato (ma regolato) distribuirà le risorse che
salgono ai “vincitori”, garantendo che chi veramente le produce (e non solo chi
le rende aggregate, visibili e spendibili) ne abbia di che vivere, avremo un
centro deserto.
In quel caso non
avremo neppure i mestieri di cura. Fondamentalmente l’economia diventerà un
sistema in cui i beni sono prodotti in modo automatico da una piccolissima
parte dei lavoratori (la tendenza è scendere molto sotto il 10%, forse sotto il
5%), valgono poco e pagano stipendi molto bassi; i contenuti linguistici ed
estetici –veicoli identitari e di senso primari- sono il vero veicolo di valore
ma si concentrano in pochissime mani; il resto, la grande parte della società
resterà impegnata in circuiti di auto-cura di reciprocità, poveri dal punto di
vista monetario, ricchi da quello sociale e antropologico.
Una società che
potrebbe ricordare il medioevo.

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