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martedì 22 luglio 2014

L’azione dell’Autorità su Google: controffensiva per l’anima del nuovo secolo.


Questo blog è ospitato da un servizio gratuito di Google. E’ comodo, ben integrato e grazioso (anche se sicuramente ci sono validissime alternative); poi personalmente faccio uso di facebook, di twitter, di linekin, di alcuni servizi cloud, etc… Mi piace e lo trovo utile.
Ognuno di questi servizi ha alle spalle grandi organizzazioni e colossali concentrazioni di ricchezza. Sono tra le società più capitalizzate al mondo, e appaiono a tutti come i vincenti predestinati nella riarticolazione in corso delle modalità di produzione della società contemporanea. La ragione è che si pongono al centro dello scambio di informazioni (esplicite e soprattutto implicite) e delle relative relazioni umane. L’intuizione  di Facebook è probabilmente stata che una piattaforma facile (apparentemente con poche regole), disegnata sulle abitudini dei parlanti avrebbe attratto su di sé le interazioni, dandogli uno spazio nel quale potenziarsi. Un dispositivo capace di generare una nuova società, come la piazza nella città greco-romana.
Ma come una piazza necessita di marmo e di colonne, e di specifici edifici di servizio, come di istituzioni che amplifichino e rendano produttive le interazioni che il dispositivo spaziale attrae, così le piattaforme informatiche necessitano di progettazione, manutenzione, assistenza e di uno scopo.
Qualche giorno fa ho pubblicato l’opinione di Jaron Larnier e prossimamente posterò una lettura del suo ultimo libro; la sua opinione è che il sistema è basato essenzialmente sullo sfruttamento senza restituzione di valore al creatore di una miriade di microcontenuti che sono sommati, resi significativi dall’immensa potenza del “big data”. In un certo senso tutto il chiacchiericcio quotidiano che innerva da sempre la società, istituisce rapporti e crea legami, determina senso comune ed orienta i valori ed i comportamenti, identifica e crea individui, diventa “contenuto” capace di avere senso e utilità attraverso l’aggregazione. Attraverso una tecnologia che muove in questo millennio i primi passi maturi: la profilazione.
Come avevo scritto, questo è il punto messo in evidenza da Larnier: il segreto del successo di Google Traslate, di Facebook, di Amazon, di You Tube, è che tutti i contenuti che nelle loro mani diventano oro sono regalati. Ogni video, frammento di conversazione, traduzione modificata (scegliendo la parola più appropriata nella tendina a scorrimento), libro selezionato o commentato, oggetto comprato, “like”, “retweet”, trasmette infatti implicitamente informazioni che hanno un valore per chi le sa collegare.
La soluzione proposta dall’autore americano è di istituire un sistema di tracciabilità per consentire che ogni contenuto validato, per essere usato, sia fronteggiato da un micropagamento. A suo parere questa potrebbe essere la base di una nuova classe media non più impegnata nella produzione di beni o di servizi (che sono sempre più disintermediati dalla tecnologia), ma di idee, schemi, valori guida, messaggi o rappresentazioni.


Ora il Garante per la Privacy italiano (al quale vertice è stato a lungo Rodotà) ha rotto gli indugi e, per primo in Europa, ha imposto a Google di ottenere il consenso degli utenti se vuole trattenere, utilizzare nei suoi algoritmi di profilazione, vendere o comunque impiegare a qualsiasi fine (il più ovvio, ma temo non l’unico è la pubblicità) i dati raccolti attraverso Google, GMail, You Tube, Google Maps, Google+, e via dicendo (incluso questo blog).
Il consenso esplicito degli utenti sarà necessario e la casa dovrà spiegare come usa i dati, quando e per quanto tempo.
Il Garante ha dato 18 mesi al gigante americano per adeguarsi, ma entro il 30 settembre gli impone di proporre un Protocollo di Verifica, con i tempi di implementazione e le modalità di controllo (che dovrà prevedere anche ispezioni in America, nella sede ed ai server di Mountain View).

Il provvedimento n. 353 del 10 luglio 2014 è dunque una pietra miliare, conducendo forse il primo –e sicuramente il più importante- contrattacco dei poteri nazionali di regolazione nei confronti dei templi della modernità contemporanea. Quella assoluta libertà di disporre dei beni pubblici attraverso il loro spostamento oltre le frontiere “bucherellate” (come scrive Habermas) nazionali, che mette a grandissimo rischio la nostra libertà. Un rischio che non è reso meno grande dall’essere poco evidente.

Che male ci sarà, potrebbe dire qualcuno, dal ricevere in anticipo il libro che ancora non ho deciso di comprare (e che magari non so neppure di volere) con uno sconto a casa mia, magari previa ricezione di un sms e tramite un drone che atterra nel mio balcone? Questo servizio, che sta per essere brevettato da Amazon, mi impedisce di scoprire –chiacchierando con un amico, o passeggiando nella libreria sotto casa- una nuova prospettiva che apre il mio orizzonte. Mi impedisce di sorprendermi, di andare da un’altra parte, di cambiare.
Che male ci sarà, direbbe qualcuno, dal trovare a destra del mio schermo di navigazione, o in basso nel televisore, delle proposte commerciali così appropriate che potrebbero essere state fatte dal mio clone?
Che male ci sarà, direbbe qualcuno, se il mio “social” mi propone nuove amicizie, mi aiuta a trovare i luoghi “virtuali” in cui si parla di ciò che mi interessa, mi rende facile non sentirmi solo. Sentirmi utile.
Che male ci sarà se dà senso alle nostre vite?

Che male, …

Che bene c’è nell’avere tutta l’intelligenza del mondo, tutte le connessioni, tutte le informazioni, ogni sapere ed ogni decisione in un solo punto? Che bene, nell’essere osservati, tutti, da un solo occhio? Che bene nell’avere ogni flusso, ogni spostamento, sotto lo sguardo della piazza?



Il provvedimento n. 353 del 10 luglio 2014 è una pietra miliare.


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